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L’imperialismo americano e il testo confuciano Chung Yung: il centro della lotta contro l’oppressione globale.

by Redazione online
7 Giugno 2023
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L‘imperialismo americano è diventato il nemico dei popoli di tutto il mondo e che la loro lotta contro di esso otterrà sicuramente vittorie sempre più grandi. Il testo confuciano Chung Yung, insegna a sviluppare la capacità di perfezionare sé ed il mondo mediante la comprensione delle cose e la consapevolezza della propria azione. Il nome mandarino della Cina, Chung Kuo, significa “Paese del Centro” e la Cina occupa la posizione strategica più forte rispetto ad altri subcontinenti dell’Eurasia. La natura ha posto la Cina in una posizione decisiva tra India, Giappone, Siberia e Pacifico, ed è inattaccabile grazie ad una cultura antica e all’esperienza della storia del mondo.

Fonte: eurasia-rivista:

“Spadroneggiando dappertutto, l’imperialismo americano è divenuto il nemico dei popoli di tutto il mondo e si è sempre più isolato. (…) L’ondata di collera dei popoli del mondo contro gli aggressori americani è irresistibile. La loro lotta contro l’imperialismo USA e i suoi lacchè otterrà sicuramente vittorie sempre più grandi”.

(Mao Tse-tung, Dichiarazione in appoggio alla giusta guerra patriottica del popolo panamense contro l’imperialismo USA, 12 gennaio 1964)

Dall’interesse di Ezra Pound per l’insegnamento confuciano[1] nacque, tra l’altro, una versione italiana del Chung Yung[2], il testo canonico attribuito a Tzu-ssu[3], nipote di Confucio vissuto nel V sec. a.C. In esso “la moralità assume funzione cosmica, in quanto l’uomo opera la trasformazione del mondo e continua, quindi, nella società, il compito creativo del Cielo”[4]; insomma, il Chung Yung “insegna a sviluppare la capacità di perfezionare sé ed il mondo mediante la comprensione delle cose e la consapevolezza della propria azione”[5]. Il commento che tradizionalmente accompagna questo testo spiega che chung è “quello che non si sposta né da una parte né dall’altra” e che yung significa “invariabile”, sicché Pound scelse di rendere il titolo dell’opera con L’asse che non vacilla[6], mentre i traduttori successivi hanno optato per soluzioni quali Il costante mezzo[7] o Il giusto mezzo[8].

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Il medesimo significato “assiale” risuona nel nome mandarino della Cina, che è Chung Kuo[9], “il Paese del Centro”, “l’Impero di Mezzo”. Se è vero, come fa notare Carl Schmitt, che fino all’epoca delle grandi scoperte geografiche “ogni popolo potente si considerava il centro della terra e guardava ai propri domini territoriali come alla casa della pace, al di fuori della quale regnavano guerra, barbarie e caos”[10], in buona misura ciò sembra vero anche nel caso della Cina odierna, la cui oggettiva centralità geografica e geopolitica è efficacemente descritta da Heinrich Jordis von Lohausen (1907-2002) in Mut zur Macht. “Fra tutti i subcontinenti dell’Eurasia – scrive il generale austriaco –  la Cina occupa la posizione strategica più forte: la triplice copertura delle montagne e dei deserti dell’Asia interiore, la corona delle isole periferiche e la barriera insormontabile della razza, della lingua e della scrittura che si erge contro ogni guerra psicologica delle nazioni bianche (…) la natura l’ha posta vicino all’oceano, le ha dato una posizione decisiva tra l’India e il Giappone, tra la Siberia e il Pacifico. Sulla costa occidentale del Pacifico, la Cina si presenta come il baricentro naturale, il centro fisso da sempre. Tutte le questioni relative all’equilibrio mondiale trovano risposta a Pechino. (…) I tentativi di una presa di potere economica o militare non possono nulla contro di essa, poiché la sua estensione è troppo vasta. È di un’altra razza e di una cultura antica, molto più antica. Ha accumulato in sé tutta l’esperienza della storia del mondo e resiste ad ogni trasformazione. Essa è inattaccabile”[11].

Il fatto che la Cina sia oggi in procinto di riacquisire il ruolo assiale al quale sembrano destinarla una posizione geografica centrale e un’esperienza storica di cinquemila anni ossessiona da tempo gli strateghi e gl’ideologi dell’imperialismo statunitense, i quali ormai scorgono nella Repubblica Popolare una “minaccia peggiore dell’Asse [Roma-Berlino-Tokio] nel XX secolo”[12] e vedono nella solidarietà sino-russo-iraniana un nuovo “Asse del Male”.

A Richard Nixon, che dal 21 al 29 febbraio 1972 si trattenne in Cina nel corso di una visita ufficiale che sanciva il disgelo dei rapporti tra gli Stati Uniti d’America e la Repubblica Popolare Cinese, viene attribuita la frase seguente: “Basta fermarsi un momento a riflettere su cosa accadrebbe se qualcuno capace di assicurare un buon sistema di governo riuscisse a ottenere il controllo di quel territorio. Buon Dio, nessuna potenza al mondo potrebbe… Voglio dire, mettete 800 milioni di cinesi al lavoro con un buon sistema di governo, e diventeranno i leader del mondo”[13].

Un quarto di secolo dopo, l’incubo della “Sfera di coprosperità della Grande Asia orientale” (in giapponese Dai Tōa Kyōeiken) tornava ad agitare i sonni degli yankee, poiché il teorico statunitense dello “scontro delle civiltà” assegnava alla Repubblica Popolare Cinese l’eredità del progetto imperiale nipponico, il cui obiettivo era stato quello di creare un’unione economica e politica coi paesi dell’area del Pacifico, dell’Asia orientale, dell’Asia centrale e dell’Oceano Indiano. “Quello di ‘Grande Cina’ – scriveva nel 1996 Samuel P. Huntington nel paragrafo La Grande Cina e la sua ‘sfera di coprosperità’ – non è dunque semplicemente un concetto astratto, ma al contrario una realtà economica e culturale in rapida espansione, e che ha cominciato a diventare anche una realtà politica”[14].

Il quadro dipinto da Huntington veniva ulteriormente arricchito dall’ex consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski, il quale insisteva sul tema della centralità della Cina e sulla naturale espansione dell’influenza cinese verso le aree circostanti. “La storia – scriveva Brzezinski – ha predisposto l’élite cinese a pensare alla Cina come al centro naturale del mondo [the natural center of the world]. In effetti, la parola cinese per la Cina – Chung-kuo, o ‘Regno di Mezzo’ – trasmette la nozione della centralità della Cina [China’s centrality] negli affari mondiali e riafferma l’importanza dell’unità nazionale. Tale prospettiva implica anche un’irradiazione gerarchica di influenza dal centro alle periferie, sicché la Cina come centro [China as the center] si aspetta deferenza dagli altri (…) È quasi certo che la storia e la geografia renderanno i Cinesi sempre più insistenti – ed anche ‘carichi’ sotto il profilo emotivo – circa la necessità dell’eventuale riunificazione di Taiwan con la terraferma (…) Anche la geografia è un fattore importante che guida l’interesse cinese a stringere un’alleanza col Pakistan e a stabilire una presenza militare in Birmania (…) E se la Cina dovesse controllare lo Stretto di Malacca e la strettoia geostrategica a Singapore, essa controllerebbe l’accesso del Giappone al petrolio mediorientale e ai mercati europei”[15].

In un dibattito del 2011 che annoverava Henry Kissinger tra i suoi partecipanti, un professore di storia dell’economia dell’università di Harvard che di Kissinger era il biografo ufficiale, Niall Ferguson, disse: “Ritengo che il XXI secolo apparterrà alla Cina, perché lo sono stati quasi tutti i precedenti secoli della storia. Il XIX e il XX rappresentano un’eccezione. Per ben diciotto degli ultimi venti secoli la Cina è stata, in vario grado, la maggiore economia mondiale”[16]. L’ex segretario di Stato nordamericano replicò al suo biografo: “Il punto non è se il XXI secolo apparterrà alla Cina, bensì se, in questo secolo, riusciremo a integrare la Cina in una visione più universale”[17] – dove “visione universale” deve essere ovviamente inteso come “visione occidentalista del mondo”. In che cosa consistesse il compito proposto da Kissinger risulta chiaro da una risposta che egli diede nel corso di un’intervista da lui rilasciata in quello stesso anno: “Dobbiamo ancora vedere che cosa produrrà la Primavera araba. È possibile che in Cina ci saranno rivolte e manifestazioni (…) Non mi aspetto però sommovimenti della stessa portata della Primavera araba”[18]. Kissinger infatti escludeva, giudicandola fallimentare, l’idea di applicare alla Cina la strategia perseguita a suo tempo dall’Occidente contro il blocco guidato dall’URSS: “Un piano americano che si proponesse esplicitamente di dare all’Asia un’organizzazione capace di contenere la Cina o di creare un blocco di Stati democratici da arruolare in una crociata ideologica non avrebbe successo”[19].

La tesi americana relativa alla translatio imperii dal Giappone alla Cina sotto l’insegna della “coprosperità” si è ripresentata nel saggio di Graham Allison Destined for War: Can America and China escape Thucydides’ Trap? L’autore, professore emerito di Harvard ed ex consigliere e assistente alla Segreteria della Difesa nelle Amministrazioni che si sono succedute da Reagan a Obama, lancia un avvertimento che è un autentico grido d’allarme: “Una volta che il mercato economico dominante della Cina, come pure le sue infrastrutture fisiche, saranno riusciti a integrare tutti i paesi limitrofi nella più vasta area di prosperità della Cina, per gli Stati Uniti diventerà impossibile mantenere il ruolo avuto in Asia nel secondo dopoguerra. Invitato a impartire un messaggio da parte della Cina agli Stati Uniti, la risposta di un collega cinese è stata: fatevi da parte. Un collega di quest’ultimo, però, ha suggerito una sintesi ancora più schietta: fuori dalle scatole. (…) Di recente, il tentativo di persuadere gli Stati Uniti ad accettare la nuova realtà si è fatto più risoluto nel Mar Cinese Meridionale. (…) Mentre continua lentamente a spingere gli Stati Uniti fuori da queste acque, la Cina sta anche fagocitando nella sua orbita economica le nazioni di tutto il Sudest asiatico, attirandovi pure il Giappone e l’Australia. Finora ci è riuscita senza che avvenissero scontri. Qualora però dovesse rendersi necessario combattere, l’intenzione di Xi è quella di vincere”[20].

Perciò l’esigenza fondamentale avvertita dagli analisti statunitensi è quella espressa da John J. Mearsheimer, secondo il quale è indispensabile arginare l’ascesa della Cina[21]. Il teorico del cosiddetto “realismo offensivo” esorta quindi l’attuale Amministrazione a “lavorare assiduamente per migliorare le relazioni con gli alleati asiatici dell’America e creare un’alleanza efficace che possa tenere a bada Pechino”[22]. Ma per conseguire un tale obiettivo, argomenta Mearsheimer, è indispensabile attirare la Federazione Russa in una coalizione anticinese: “Oggi è Pechino, non Mosca, a rappresentare la principale minaccia per gli interessi degli Stati Uniti, e la Russia potrebbe essere un prezioso alleato nell’affrontare tale minaccia”[23]. Si tratta, come è evidente, della stessa tattica suggerita a suo tempo a Donald Trump dai suoi strateghi e teorici conservatori e populisti e condivisa dagli ambienti “sovranisti” occidentali. Ma questa soluzione “richiederebbe di abbandonare la tradizionale russofobia dei democratici nordamericani di cui lo stesso Biden (…) si è spesso fatto portavoce”[24].

E così alla fine la Casa Bianca e il Pentagono hanno scelto di arginare la Cina attraverso il “contenimento” della Federazione Russa: il minaccioso avvicinamento della NATO ai confini russi, che il Cremlino è stato obbligato a contrastare dando il via all’Operazione Militare Speciale, si inquadra infatti in una più ampia strategia nordamericana di “contenimento” anticinese, oltre che antirusso. Consapevole dell’obiettivo delle manovre nordamericane in Europa, la Cina “si è vista costretta a consolidare il suo partenariato strategico con la Russia fino a trasformarlo in un’alleanza; di qui, per definirne i particolari, il viaggio del Presidente Xi”[25] a Mosca e i colloqui al vertice col Presidente Putin.

La visita di Xi Jinping nella capitale russa richiama inevitabilmente alla memoria quella compiuta settant’anni fa da un altro Presidente cinese: il 15 febbraio 1950 Mao Tse-tung sottoscrisse con Stalin a Mosca un Trattato di Alleanza e Mutua Assistenza che sanciva la nascita di un grande blocco eurasiatico, esteso da Pankow a Mosca a Pechino a Pyongyang. L’alleanza russo-cinese dovette affrontare la sua prima prova soltanto quattro mesi più tardi, allorché la Repubblica Popolare Democratica di Corea intraprese la “Guerra di liberazione della Patria”[26], che i Cinesi chiamano “Guerra di resistenza all’America e in aiuto della Corea”[27]. Grazie all’intervento diretto della Repubblica Popolare Cinese, che inviò 100.000 combattenti, e grazie al sostegno materiale fornito dall’URSS, il conflitto militare si concluse nel 1953, quando le forze degli Stati Uniti e le truppe ausiliarie di altri diciassette Paesi furono ricacciate a sud del 38° parallelo.


NOTE

[1] Cfr. C. Mutti, Pound contra Huntington, “Eurasia. Rivista di Studi Geopolitici”, a. III, n. 1, Genn.-Marzo 2006, pp. 17-25.

[2] Pinyin: zhōngyōng.

[3] Pinyin: Zǐsī.

[4] Pio Filippani – Ronconi, Storia del pensiero cinese, Paolo Boringhieri, Torino 1964, p. 52.

[5] Pio Filippani – Ronconi, op. cit., p. 204.

[6] Ezra Pound, Ciung Iung. L’asse che non vacilla, Casa Editrice delle Edizioni Popolari, Venezia 1945. Nuova edizione: Chung Yung, in Ezra Pound, Opere scelte, Mondadori, Milano 1970, pp. 503-601. “Dopo il 25 aprile praticamente tutte le copie [della prima edizione] vennero date alle fiamme in quanto il titolo avrebbe potuto far pensare ad un testo propagandistico in favore dell’Asse… Roma-Berlino” (Gianfranco de Turris, “L’asse che non vacilla”. Ezra Pound durante la RSI, in Autori vari, Ezra Pound 1972/1992, Greco & Greco, Milano 1992, pp. 333-334).

[7] I colloqui; Gli studi superiori; Il costante mezzo, traduzione di Rosanna Pilone, Rizzoli, Milano 1968. Il costante mezzo e altre massime. Perle di un’antica saggezza, versione e presentazione di Francesco Franconeri, Demetra, Sommacampagna 1993.

[8] La grande dottrina; Il giusto mezzo, a cura di Leonardo Vittorio Arena, Rizzoli, Milano 1996. I dialoghi; La grande dottrina; Il giusto mezzo, Fabbri, Milano 1998.

[9] Pinyin: Zhōngguó.

[10] Carl Schmitt, Stato, grande spazio, nomos, Adelphi, Milano 2015, p. 294. La storia delle religioni conferma che “l’uomo delle società premoderne aspira a vivere il più possibile vicino al Centro del Mondo. Sa che il suo paese si trova effettivamente nel centro della Terra; che la sua città è l’ombelico dell’Universo, e soprattutto che il Tempio o il Palazzo sono veri e propri Centri del Mondo” (Mircea Eliade, Il sacro e il profano, Boringhieri, Torino 1967, p. 42).  Per quanto riguarda in particolare la Cina, “Nella capitale del sovrano cinese perfetto, lo gnomone non deve dare ombra nel mezzogiorno del solstizio d’estate, perché questa capitale sta al centro dell’Universo, accanto all’Albero miracoloso ‘Legno Eretto’ (Kien-mu) , dove si intersecano le tre zone cosmiche: Cielo, Terra, Inferno” (Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino 1972, p. 388).

[11] Jordis von Lohausen, Les Empires et la Puissance, La géopolitique aujourd’hui, Le Labyrinthe, Paris 1996, pp. 127-128.

[12] Clyde Prestowitz, The World Turned Upside Down: America, China and the Struggle for Global Leadership, Yale University Press, 2021.

[13] AA. VV., Il XXI secolo appartiene alla Cina?, Mondadori, Milano 2012, p. 12.

[14] Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 2000, p. 245.

[15] Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard. American Primacy and Its Geostrategic Imperatives, Basic Books, New York 1997, pp. 158, 164-165.

[16] AA. VV., Il XXI secolo appartiene alla Cina?, Mondadori, Milano 2012, p. 12.

[17] AA. VV., Il XXI secolo appartiene alla Cina?, cit., p. 23.

[18] Conversazione di John Geiger con Henry Kissinger, in: AA. VV., Il XXI secolo appartiene alla Cina?,  cit., p. 74.

[19] Henry Kissinger, Cina, Mondadori, Milano 2011, pp. 441-442.

[20] Graham Allison, Destinati alla guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?, Fazi Editore, Roma 2018, pp. 208-211.

[21] Testualmente: “the dominating issue is how to contain a rising China” (John J. Mearsheimer, Joe Biden Must Embrace Liberal Nationalism to Lead America Forward, “The National Interest”, 29 dicembre 2020).

[22] “the Biden administration should work assiduously to improve relations with America’s Asian allies and create an effective alliance that can keep Beijing at bay” (Ibidem).

[23] “It is Beijing, not Moscow, that poses the main threat to U.S. interests today, and Russia could be a valuable ally in addressing that threat” (Ibidem).

[24] Daniele Perra, Stato e Impero da Berlino a Pechino. L’influenza del pensiero di Carl Schmitt nella Cina contemporanea, Anteo, Cavriago 2022, p. 141.

[25] “In response, China felt compelled to consolidate its strategic partnership with Russia to the point of turning it into an entente, hence the purpose of President Xi’s trip to work out the finer details of this” (Andrew Korybko, President Xi’s Trip To Moscow Solidifies The Sino-Russo Entente, https://korybko.substack.com/, 20 marzo 2023.

[26] In coreano: Choguk haebang chŏnjaeng.

[27] Pinyin: kàng Měiyuán Cháo.

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Patrizio Ricci associato Freelance International Press (FLIP), autore sul Sussidiario, La Croce, LPLNews24. Coofondatore del Coordinamento Nazionale per la pace in Siria, Membro del direttivo Osservatorio per le Comunità Cristiane nel Medioriente…

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