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Il mito della piena occupazione in Germania

by Patrizio Ricci
3 Giugno 2018
in Economia
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Il mito della piena occupazione in Germania
La Große Koalition e i media mainstream tedeschi continuano a pompare il mito filo-governativo della piena occupazione e del grande Jobwunder tedesco (miracolo del lavoro). Siccome ai miracoli credono in pochi, se si guardano un po’ piu’ da vicino i dati ci si accorge che le cose non stanno esattamente come ci viene ripetuto ogni giorno. Ne parla l’ottima Susan Bonath su RT Deutsch.
Ci stiamo avvicinando alla piena occupazione. Cosi’ ripete ad esempio il think tank della Bundesagentur für Arbeit (BA), vale a dire l’Institut für Arbeitsmarkt-und Berufsforschung (IAB). I partiti dell’Unione, CDU e CSU, da mesi ormai non parlano altro che di un obiettivo possibile: il pieno impiego entro il 2025. Il nuovo Ministro del Lavoro della SPD Hubertus Heil avrebbe già realizzato anche un piano per centrare questo obiettivo: far partire un mercato del lavoro sovvenzionato per i disoccupati di lungo periodo. Non tutti gli economisti pero’ sembrano essere convinti della validità del progetto. Per quelli riuniti intorno al gruppo di lavoro “Alternative Wirtschaftspolitik” la tesi della piena occupazione per ora resta solo una favola.
Precarizzazione dei lavoratori dipendenti
L’ultimo dato sulla disoccupazione ci dice che i senza lavoro sono meno di 2.5 milioni e ad un rapido sguardo potrebbe sembrare un dato positivo. Nel calcolo pero’ non viene considerato chi si trova in una misura di riqualificazione professionale, chi svolge un “Ein-Euro-Job”, chi è temporaneamente malato oppure chi ha piu’ di 58 anni di età. I disoccupati che rientrano in questa definizione sono circa un milione. A questi si aggiungono tutte le persone non incluse nel calcolo che non hanno né un lavoro né hanno accesso ad Hartz IV, perchè ad esempio il reddito del partner è troppo alto.
Nel complesso: le riforme del mercato del lavoro introdotte nel 2003 dall’ex cancelliere Gerhard Schröder (SPD) insieme ai Verdi, all’Unione e alla FDP con l’obiettivo dichiarato di creare il piu’ grande settore a basso salario in Europa e rafforzare la posizione economica della Germania hanno spinto molti lavoratori in una situazione di permanente precarietà. Circa 9 milioni di persone  attualmente lavorano per meno di dieci euro lordi l’ora, otto milioni dipendono da un sussidio di sicurezza di base. Molte di queste persone hanno un lavoro. Le situazioni familiari oppure le qualifiche non adatte alle posizioni aperte bloccano la strada a chi vuole uscire da questa condizione.
Alla presunta situazione di quasi piena occupazione bisogna aggiungere la cosiddetta sottoccupazione, che la BA quantifica separatamente. Secondo questi dati nel marzo 2018 oltre 3.4 milioni di lavoratori part-time erano alla ricerca di un lavoro con un maggiore numero di ore e una retribuzione corrispondentemente piu’ alta. Sicuramente i politici e le autorità tedesche sono felici di festeggiare i circa 44 milioni di occupati. Ma in realtà i lavoratori coperti da un’assicurazione sociale obbligatoria sono circa 32 milioni. Il numero dei posti di lavoro a tempo pieno è addirittura inferiore rispetto a quello del 2000: all’epoca, secondo l’Institut Arbeit und Qualifikation (IAQ) c’erano 23.9 milioni di lavori full-time. A fine 2017 le persone che lavoravano per piu’ di 35 ore alla settimana erano 23.2 milioni.
Riduzione dell’orario di lavoro senza compensazione salariale
Ad essere cresciuto piu’ di tutti è stato il lavoro part-time, soprattutto nel settore a basso salario. Una tendenza che emerge chiaramente da tutte le statistiche. I quasi quattro milioni di posti di lavoro a tempo parziale del 2000, lo scorso anno erano diventati quasi 9 milioni. Oltre un terzo di tutti i posti di lavoro con assicurazione sociale NON sono lavori a tempo pieno. 
Ad essere colpite sono soprattutto le lavoratrici dipendenti. Quasi la metà di queste (47.5%) nel 2017 ha lavorato con un contratto part-time. Secondo l’IAQ sono quasi il doppio rispetto a 20 anni fa. Per gli uomini questo rapporto nello stesso lasso di tempo si è addirittura triplicato, ma con l’11% è ancora di molto sotto il dato relativo alle donne. Per le persone colpite si tratta soprattutto di precarizzazione. Perché la riduzione dell’orario di lavoro non si accompagna ad una compensazione salariale.
Nel suo “Memorandum 2018”, di recente pubblicazione, il gruppo di lavoro “Alternative Wirtschaftspolitik” ha cercato di quantificare con dei numeri. questo trend di impoverimento di ambi ceti sociali Nel calcolo ha messo insieme i cosiddetti sottoccupati e i disoccupati, che insieme raggiungono una quota di quasi il 14%. Il tasso di disoccupazione ufficiale in Germania è  iinvece del 5.5%.
“Lo schwarze Null serve solo ad esacerbare i problemi”
Lo “schwarze Null” un tempo sostenuto da Wolfgang Schäuble (CDU) nel frattempo è stato fatto proprio anche “dal nuovo Ministro delle Finanze della Spd Olaf Scholz, che lo mostra come fosse un ostensorio, ma che invece ha dei costi sociali sempre piu’ alti”, constatano gli autori del gruppo di lavoro. Continua di conseguenza a crescere il divario fra i ricchi e i poveri. “I problemi  sociali in questo modo non vengono risolti ma tendono solo ad aggravarsi”, criticano gli economisti.
Le conseguenze possono essere avvertite già da tempo: “milioni di posti di lavoro precari hanno portato a stipendi da fame e porteranno in seguito ad una situazione di povertà in vecchiaia”, scrivono gli economisti. Cio’ costringe sempre piu’ persone ad avere vite lavorative frustranti e senza prospettive. Per la coesione democratica e solidale della società cio’ è “altamente pericoloso”.
Un indicatore della situazione occupazionale lo individuano nella quota salari, misurata sul reddito nazionale. Di recente nel 2017 è cresciuta marginalmente fino al 68.5%. Resta tuttavia ampiamene al di sotto dei valori degli anni ’90, quando era costantemente oltre il 70%. E anche il recente aumento minimale, nell’ordine dei decimali, è stato preceduto da molti anni a crescita zero o negativa, che per molti gruppi di lavoratori dipendenti ha significato una perdita in termini di reddito reale. Negli stessi anni, riassumono gli autori, i redditi da capitale hanno continuato a crescere.
(….) Per il gruppo di lavoro soprattutto una cosa è chiara: “la Germania con la sua ideologia dei tagli e dell’austerità economicamente non è ancora arrivata nel ventunesimo secolo”. La “mentalità meschina della politica dominante” non solo danneggia lo sviluppo sociale in Germania ma ostacola anche la necessaria ripresa economica  nell’unione europea e nell’area dell’euro.

Source link: ‘voci dalla Germania’

Patrizio Ricci

Associato alla Freelance International Press (FLIP), Autore sul Sussidiario, La Croce, LPLNews24. Cofondatore del Coordinamento Nazionale per la pace in Siria, Membro del direttivo Osservatorio per le Comunità Cristiane nel Medioriente…

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