Il Kurdistan è un piano israeliano per la regione

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Salman Rafi Sheikh New Eastern Outlook 03.10.2017
Cominciamo dal fatto che alcun altro attore, nemmeno i curdi stessi, guadagnerà dall’istituzione del Kurdistan indipendente più d’Israele. Il sostegno israeliano a uno Stato curdo ha una base materiale. Ciò rende l’intera questione curda assai debole e soggetta ai cambiamenti da espedienti e ricorsi geopolitici, come e quando promossi. Ma cosa spiega il sostegno d’Israele al Kurdistan? È abbastanza semplice da capire: infliggerà molti danni ai principali rivali nella regione: Iran, Iraq, Turchia e Siria, e darà ad Israele un vantaggio strategico. Infatti, la cooperazione d’Israele coi curdi ha una lunga storia, risalente agli anni ’60 e ’70 quando Israele armò le milizie curde nel nord dell’Iraq per destabilizzarlo. A quel tempo, il principale attore curdo era il capo del clan dei Barzani, Mullah Mustafa Barzani, il cui figlio Masud è ora presidente (autodichiarato) della regione curda dell’Iraq.

I curdi sono circa il 22% dei 37 milioni di iracheni; il 20% dei 79 milioni di turchi; il 15% dei 18,5 milioni di siriani e circa il 9% degli 80 milioni di iraniani. Se i numeri non giustificano di per se l’esistenza delle condizioni per un Kurdistan indipendente, indicano il danno che uno Stato curdo indipendente può infliggere a questi Paesi. Oltre a ciò, l’altro fattore importante che fa d’Israele un grande sostenitore del Kurdistan è il petrolio. Ciò spiega perché i circoli politici israeliani e i media mainstream sostengono apertamente il referendum, anche sulla base della lunga storia di “persecuzioni” dei curdi, per colpa di ciò che Haaretz definisce “i leader tirannici di Iran, Iraq, Siria e Turchia“.

Nonostante la simpatia che Israele tende ad invocare ogni tanto, ciò che attrae veramente è il petrolio che i curdi iracheni controllano, e questo petrolio dovrà continuare a fluire in Israele. Nell’agosto 2015 Israele già importava i tre quarti del petrolio dalla regione curda irachena. Ciò accade da allora, e anche da prima, nonostante l’Iraq non riconosca Israele e non abbia rapporti ufficiali. Israele, pertanto, ha un rapporto speciale con il governo regionale curdo (KRG), ed è nel suo interesse che uno Stato curdo nasca.

Pertanto, non sorprende che la leadership israeliana sostenga il Kurdistan. Pochi giorni prima i media israeliani citavano la ministra della Giustizia Ayelet Shaked dire che “è d’interesse israeliano e statunitense che ci sia uno Stato curdo, soprattutto in Iraq. È il momento che gli Stati Uniti l’appoggino“. Mentre il “fattore petrolifero” indica la dimensione economica del sostegno d’Israele al Kurdistan, i fattori strategici non sono minori. Questi sono stati perfettamente spiegati in un articolo del 28 settembre di Haaretz: “Oltre l’amicizia storica tra le due nazioni, è chiaro perché gli israeliani sostengano i curdi. Il Kurdistan si trova nella congiunzione strategicamente cruciale tra Iran, Iraq e Siria, area in cui l’Iran spera di stabilire il suo corridoio della “Mezzaluna Sciita”, permettendo d’inviare armi e combattenti direttamente nelle fortificazioni di Hezbollah in Libano.

Un Kurdistan libero e pro-Israele sulle frontiere dell’Iran non solo ostacola i piani dell’Iran, ma sarà anche un importante patrimonio strategico nella regione”. Riconoscendo la difficoltà di realizzare effettivamente l’idea di uno Stato curdo in Medio Oriente, la relazione menziona un possibile modo di procedere: “L’unica opzione per i curdi è la diplomazia della pazienza per negoziare la rottura ordinata con l’Iraq e una forma di rapporti commerciali coi vicini ostili. Gli Stati Uniti, che hanno una certa leva su Turchia e Iraq, potrebbero aiutarli da dietro le quinte e Israele certamente farà appello all’amministrazione di Trump su ciò”.

Gravi problemi all’orizzonte!
Tuttavia, mentre gli Stati Uniti non hanno ufficialmente sostenuto il referendum, continuano a puntare sui curdi, cosa che la Turchia, nella NATO, vede con grande preoccupazione, portando a una rottura grave nelle relazioni bilaterali tra i due alleati nella NATO. Non sono però solo gli Stati Uniti che Israele deve convincere a sostenere il Kurdistan. Le divisioni tra i curdi stessi sono una sfida seria, ancor più l’opposizione combinata di Iran, Iraq, Siria e Turchia all’idea di uno Stato curdo.

Per esempio, la Turchia è vitale per le esportazioni di petrolio del KRG verso Israele e altri Paesi. Il KRG, quindi, non può permettersi di offendere Erdogan. Ma questo non è nemmeno il problema fondamentale. Il problema è che Erdogan vuole in cambio l’impensabile: il KRG deve costringere PKK in Turchia e YPG in Siria a stare fermi. Mentre Barzani potrebbe essere disposto a farlo per avere il sostegno turco, per il PKK Barzani non è altro che un criminale e un capo illegittimo dei curdi, quindi, incapace di esercitare qualsiasi influenza reale. Ciò che aggrava il problema è che persino i curdi iracheni e siriani non sono d’accordo sul fine del Kurdistan. I curdi siriani, incoraggiati dal sostegno statunitense, pensano d’istituire una propria federazione in Siria.

Mentre i curdi siriani contano circa l’8% della popolazione, controllano il 25% del territorio e il 40% delle risorse in petrolio e gas, se avranno il controllo della provincia di Dayr al-Zur ricca di petrolio e gas, potendo tradurre questa fonte in potere politico. Le elezioni comunali locali già avvengono e le elezioni parlamentari ci saranno il prossimo anno.

Questo, se si materializzasse, alleerà Siria e Turchia contro i curdi. Una ricca federazione curda in Siria e uno “Stato” in Iraq porranno sicuramente una grave minaccia alla Turchia e un’alleanza Ankara-Damasco obbligherà la Siria a chiudere un occhio sulle forze turche presenti nel nord del Paese e a rinviare la liberazione di tutto il suo territorio.

Ciò metterà in modo permanente i curdi contro due Paesi, creando uno stallo. Tuttavia, ciò non significa che la questione curda perderà peso nel Medio Oriente post-SIIL, per via delle chiare difficoltà sulla via del Kurdistan. Con due diversi territori curdi in Iraq e Siria, ciò che è possibile aspettarsi in futuro è altro caos, e alcun altra potenza sarà più attiva a favorire conflitti di Israele, perché Israele vede nella questione curda un’opportunità senza precedenti per destabilizzare tutti i principali rivali, e assicurarsi una grande fonte di petrolio.

Salman Rafi Sheikh, analista delle relazioni internazionali e degli affari esteri e nazionali del Pakistan, in esclusiva per la rivista online New Eastern Outlook.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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Patrizio Ricci
Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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