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Un nuovo principe ereditario per Riad: pessima notizia per il Qatar

by Patrizio Ricci
28 Giugno 2017
in Post vari
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Laura Lesevre for the Reporter Day

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Il 23 giugno è stata consegnata al Qatar la lista di tredici punti per porre fine all’isolamento economico e diplomatico con cui l’Arabia Saudita sta strangolando la piccola autocrazia: chiusura della base militare turca, oscuramento del canale Aljazeera, interruzione dei rapporti con l’Iran. “Proposte irricevibili” secondo il Qatar, che attende con ansia lo scadere dell’ultimatum, fissato per il 3 luglio. Nel frattempo, il re saudita ha ufficializzato che il trono passerà al giovane figlio Mohammad Bin Salman, temperamento focoso e già artefice della guerra in Yemen: tutto lascia presagire che la disputa tra Riad e Doha si risolverà con le armi.

Occhio, Qatar: il nuovo delfino saudita ha il sangue caldo

Per interpretare correttamente gli avvenimenti internazionali bisogna liberarsi della mentalità “occidentale” per indossare i panni degli stranieri: quasi sempre l’operazione implica l’abbandono della visione immobile, decadente ed arrendevole della nostra società per abbracciarne altre, più dinamiche e vitali. All’infuori dell’Occidente, il mondo è ancora giovane e gli Stati sono ancora abituati a sudare, sanguinare e morire per raggiungere i propri scopi, giusti o sbagliati che siano. Analizzare il braccio di ferro in atto tra Qatar e potenze sunnite e prevederne l’esito, necessita questa capacità di immedesimazioni: parliamo di società demograficamente giovani, maschiliste, abituate da sempre a tenere in massima considerazione attività come la guerra ed il saccheggio. È improbabile che la crisi in corso nella Penisola Arabica si concluda con un nulla di fatto. Più facile, invece, che si la situazione evolva verso le estreme conseguenze: l’escalation militare e la sopraffazione dello sfidante più debole, il Qatar.

Nel precedente articolo evidenziammo come all’origine della disputa tra il Qatar “islamico-rivoluzionario” ed il blocco “reazionario” capitanato dall’Arabia Saudita, ci fosse una questione di supremazia all’interno dello schieramento arabo sunnita: archiviata l’amministrazione Obama che tanto investì sulla Fratellanza Mussulmana, la posizione del Qatar, che cavalcò sin dalle Primavere Arabe del 2011 la tigre dell’islam politico, si è fatta molto precaria. Sono trascorsi meno di sei mesi dall’insediamento di Donald Trump perché la “reazionaria” casa dei Saud ricevesse dal nuovo inquilino della Casa Bianca l’avvallo per soffocare il piccolo emirato che, durante gli otto anni dell’amministrazione democratica, sembrò ergersi a nuovo padrone del Medio Oriente, finanziando rivoluzioni e partiti islamisti in Tunisia, Libia, Egitto, Siria, etc. etc.

Il 5 giugno piomba sul Qatar il rigido isolamento economico e diplomatico: la misura è, storicamente, il prodromo della guerra. Immediata scatta la reazione degli alleati di Doha e di quelle potenze che hanno interesse a sfruttare l’improvvisa crepa che si è aperta nello schieramento sunnita. La Turchia di Recep Erdogan, che dalla Libia all’Egitto cavalcò col Qatar e l’amministrazione Obama la rivoluzione “islamista” post-2011, si affretta a soccorrere l’alleato, dichiarandosi pronta ad inviare 3.000 soldati nella base qatariota di recente costituzione; l’Iran, accantonando il dossier siriano, si dimostra improvvisamente benevolo e prodigo verso la piccola autocrazia, fornendole per via aerea quei beni di prima necessità che non entrano più dall’Arabia Saudita; ampi settori dell’establishment atlantico (il Dipartimento di Stato americano, il Pentagono e capitali europee come Londra, Parigi e Berlino) esprimo il proprio dissenso contro l’isolamento del Qatar, legato all’Occidente da investimenti miliardari e connivenze politico-terroristiche.

La morsa dei sauditi, però, non si allenta: c’è la certezza che Donald Trump sosterrà fino in fondo Riad nel braccio di ferro col minuscolo ma influente vicino (“l’isolamento del Qatar ‘potrebbe essere l’inizio della fine del terrorismo” sostiene il presidente americano1) e che gli estremi tentativi qatarioti di accattivarsi le simpatie americane (vedi l’acquisto di aerei F-15 per un valore di 12 miliardi di dollari2) cadranno nel vuoto. Il 21 giugno si consuma in Arabia Saudita un “colpo di scena” solo apparentemente slegato dalle vicende qatariote: l’anziano re nomina come principe ereditario il 31enne Mohammed Bin Salman, scavalcando nella successione il cugino Mohammed Bin Nayef. Bin Salman non è un personaggio qualsiasi: nominato Ministro della Difesa nel gennaio 2015, a distanza di due mesi lanciò l’operazione militare in Yemen per “contenere l’Iran”, rapidamente trasformatasi, com’era facile prevedere, in un “Vietnam saudita”. Il giovane principe ereditario è noto per il suo temperamento focoso ed è considerato in profonda sintonia con l’attuale asse Trump-Netanyahu: l’ufficializzazione della sua investitura, nell’aria da due anni, indica che l’Arabia Saudita ha optato per una politica estera muscolare ed aggressiva. Anche nel vicino Qatar.

Il 23 giugno, non a caso, Riad ed i suoi alleati consegnano al piccolo emirato un ultimatum che, come ai tempi d’oro della politica di potenza ottocentesca, sembra essere scritto per essere respinto. Tredici richieste tra cui figurano l’oscuramento del canale Aljeezera con cui Doha ha diffuso la voce dell’islam rivoluzionario, la fine di qualsiasi sostegno alla Fratellanza Mussulmana, l’interruzione dei rapporti con gli sciiti dell’Iran e di Hezbollah, la rimozione della base militare turca in via di rafforzamento. C’è anche, secondo il classico copione, una scadenza dell’ultimatum: dieci giorni dalla data di recapito che, calendario alla mano, sposta l’attenzione di tutti gli osservatori internazionali al 3 luglio.

Che accadrà in quella data, constato il rigetto da parte di Doha delle richieste saudite? L’interrogativo non è di poco conto, considerando che Ankara ha già iniziato il dispiegamento di truppe e mezzi corazzati nella minuscola protuberanza della Penisola Arabica3.

Bene, è facile prevedere che il perdurante isolamento diplomatico ed economico del Qatar e l’emergere del giovane ed ardente “falco” Bin Salman come re in pectore siano i segnali di una prossima evoluzione militare della crisi. Il sostegno al golpe egiziano del 2013 contro la Fratellanza Mussulmana e la recente avventura in Yemen evidenziano come la casa regnante dei Saud non disdegni una politica estera spregiudicata e conservi nel suo Dna il retaggio dei predoni del deserto: forte dell’appoggio di Donald Trump e del premier israeliano Benjamin Netanyahu, il focoso principe ereditario Bin Salman aspetterà lo scadere dell’ultimatum preparando l’invasione del Qatar od una defenestrazione, tramite colpo di palazzo, degli odiati emiri Al-Thani. Le forze angloamericane, schierate nell’imponente base aerea di Al Udeid, sarebbero costrette a rimanere neutrali di fronte al fatto compiuto e la questione si risolverebbe con conflitto tra le esigue forze armate qatariote, sostenute dal contingente turco, e le preponderanti risorse militari di Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti.

Inglobando il Qatar o installando un regime fantoccio in sostituzione degli Al-Thani, l’Arabia Saudita soddisfarebbe numerosi appetiti, economici e politici: con una mossa degna dei predoni del deserto si accaparrerebbe le enormi risorse finanziarie e naturali della piccola autocrazia (il Qatar ha il più alto PIL pro-capite al mondo ed il suo fondo sovrano vale 335 $mld4), auto-finanzierebbe il costo delle operazioni militari con l’improvvisa fiammata del barile di greggio ed eliminerebbe un fastidioso contraltare politico, riconquistando l’indiscussa egemonia del mondo arabo-sunnita, ricompattato attorno ai Saud. Troppi, ghiotti, obbiettivi perché il giovane ed ambizioso Bin Salman se li lasci sfuggire.

Bisogna quindi attendere con trepidazione la scadenza dell’ultimatum del 3 luglio, perché è altamente probabile che il principe ereditario saudita cerchi, sfidando il Pentagono ed il Dipartimento di Stato americano e contando sull’appoggio personale di Trump, la legittimazione interna ed esterna con una guerra contro l’odiato Qatar. Storie di Medio Oriente, dove gli uomini uccidono ancora con la spada e non soltanto con la penna.

1http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2017/06/06/qatar-trump-inizio-fine-terrorismo_b53086cf-a12d-4c71-81c3-5dfda4f120b1.html

2http://it.reuters.com/article/businessNews/idITKBN1960PF-OITBS

3http://www.telegraph.co.uk/news/2017/06/26/bahrain-accuses-qatar-military-escalation-turkish-tanks-roll/

4https://www.bloomberg.com/news/articles/2017-01-11/qatar-sovereign-wealth-fund-s-335-global-empire

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Patrizio Ricci

Associato alla Freelance International Press (FLIP), Autore sul Sussidiario, La Croce, LPLNews24. Cofondatore del Coordinamento Nazionale per la pace in Siria, Membro del direttivo Osservatorio per le Comunità Cristiane nel Medioriente…

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