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Libia: uso abituale della tortura

by Patrizio Ricci
5 Ottobre 2021
in Cultura e Società
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Libia: uso abituale della tortura
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Amnesty International

Amnesty International ha denunciato oggi che negli ultimi mesi, fino alle recenti settimane, numerosi detenuti sono morti nelle carceri libiche dopo aver subito torture e che il ricorso alla tortura nei confronti di presunti combattenti e lealisti pro-Gheddafi è altamente diffuso.

I delegati attualmente presenti in Libia hanno incontrato detenuti nelle carceri della capitale Tripoli e dei suoi dintorni, di Misurata e Gheryan, che recavano visibili segni delle torture: ferite ancora aperte sulla testa, sulle braccia, sulla schiena e su altre parti del corpo.

Le torture sono inflitte da appartenenti alle forze di sicurezza e militari ufficialmente riconosciute, così come dalle moltitudini di milizie armate che operano al di fuori di qualsiasi contesto legale.

“Dopo tutte le promesse di porre i centri di detenzione sotto controllo, è terribile constatare che non c’è stato alcun passo avanti per porre fine all’uso della tortura” – ha dichiarato Donatella Rovera di Amnesty International. “Non siamo a conoscenza di alcuna indagine adeguata sui casi di tortura né di alcuna procedura per cui le vittime della tortura o i parenti di chi è morto sotto tortura abbiano potuto chiedere giustizia e risarcimento. Alcuni detenuti ci hanno raccontato le torture, altri si sono rifiutati, limitandosi a mostrarci le ferite, nel timore di poter subire un trattamento peggiore”.

I detenuti, sia libici che stranieri provenienti dai paesi dell’Africa subsahariana, hanno riferito ad Amnesty International di essere stati appesi in posizioni contorte, picchiati per ore con fruste, cavi, tubi di plastica, catene, sbarre di metallo e bastoni di legno e di aver subito scariche elettriche sia con gli elettrodi che con congegni simili alle pistole taser.

Referti medici esaminati da Amnesty International hanno confermato l’uso della tortura su parecchi detenuti, alcuni dei quali morti in carcere.

I detenuti sono stati di solito torturati immediatamente dopo l’arresto da parte delle milizie armate locali e poi durante gli interrogatori, anche all’interno di luoghi ufficialmente riconosciuti come centri di detenzione. Finora i detenuti non sono stati autorizzati a incontrare i loro avvocati. Diversi di essi hanno detto ad Amnesty International di aver confessato reati mai commessi pur di far cessare le torture.

A Misurata, le torture proseguono nel centro adibito agli interrogatori della Sicurezza militare nazionale e nel quartier generale delle milizie armate.

Numerosi detenuti sono morti mentre erano in custodia delle milizie armate a Tripoli, nei dintorni della capitale e a Misurata, in circostanze che fanno pensare alla tortura.

Il più recente caso di morte in carcere a seguito di tortura di cui Amnesty International è a conoscenza è quello di Ezzeddine al-Ghool, un colonnello di 43 anni padre di sette figli, arrestato dalle milizie armate a Gheryan, 100 chilometri a sud di Tripoli, il 14 gennaio. Il suo corpo è stato riconsegnato ai parenti il giorno dopo, pieno di ematomi e ferite. I medici hanno confermato che è morto di tortura. Diversi altri detenuti sono stati torturati nello stesso periodo e otto di loro sono stati ricoverati in ospedale per le gravi ferite riportate.

Amnesty International sta investigando su altre denunce analoghe che ha ricevuto di recente.

Nonostante le ripetute richieste fatte sin dal maggio scorso, Amnesty International rileva che le autorità di transizione della Libia, sia a livello locale che a livello nazionale, non hanno condotto reali indagini sui casi di tortura e sulle morti sospette in custodia.

Il funzionamento delle forze di polizia e del sistema giudiziario rimane discontinuo nel paese. In alcune zone della Libia i tribunali si occupano dei casi civili ma non di quelli “sensibili” relativi ad aspetti politici e di sicurezza. In loro vece, una serie di organismi non ufficiali, con nessuno statuto legale, compresi i cosiddetti “comitati giudiziari”, svolgono interrogatori nei centri di detenzione al di fuori di ogni controllo.

“Finora, chi controlla il potere non ha minimamente preso provvedimenti concreti per porre fine alle torture e ai maltrattamenti e chiamare i responsabili a rispondere dei loro crimini. Non stiamo sottostimando la complessità dei problemi che le autorità transitorie libiche devono affrontare per riprendere il controllo sulla moltitudine di milizie armate che operano in tutto il paese, ma pretendiamo che assumano iniziative ferme contro la tortura. Nell’interesse della costruzione di una nuova Libia basata sul rispetto dei diritti umani, questo tema non può essere lasciato in fondo all’agenda”.

Amnesty International chiede alle autorità libiche di adottare con urgenza le seguenti misure:

chiudere tutti i centri non ufficiali di detenzione e istituire meccanismi per porre tutti i centri di detenzione sotto il controllo delle autorità, assicurando effettivi controlli sulle procedure e sulle prassi adottate al loro interno;
assicurare immediate indagini su tutti i casi noti o denunciati di torture e maltrattamenti, rimuovendo subito i responsabili da incarichi relativi alla detenzione in attesa dell’esito delle indagini; dove vi siano sufficienti prove, processare i responsabili secondo procedure eque e senza ricorso alla pena di morte;
assicurare che tutti i detenuti abbiamo accesso agli avvocati;
assicurare che i detenuti siano sottoposti a regolari esami medici e che i certificati medici da cui risultino ferite che potrebbero essere state causate dalla tortura siano consegnati ai detenuti e alle autorità giudiziarie.

FINE DEL COMUNICATO Roma, 26 gennaio 2012

Patrizio Ricci

Associato alla Freelance International Press (FLIP), Autore sul Sussidiario, La Croce, LPLNews24. Cofondatore del Coordinamento Nazionale per la pace in Siria, Membro del direttivo Osservatorio per le Comunità Cristiane nel Medioriente…

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