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Home Asia Cina

Attacco anticinese a 360°: rivendicazione dei diritti o guerre commerciali?

2 Maggio 2020
in Cina, ULTIMI POST
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Attacco anticinese a 360°: rivendicazione dei diritti o guerre commerciali?

Photo by Volodymyr from Pexels

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Si moltiplicano le critiche verso la Cina da parte degli Stati Uniti ed adesso anche da parte della UE (vedi qui). Tutto ciò è legittimo se le critiche si basano sulla verità, ovvero su fatti reali e si usano mezzi leciti. Altra cosa è la campagna in atto a latere delle notizie vere e documentate.

Mi spiego meglio: è democratico criticare qualsiasi paese se si ritiene che reprima gravemente le principali libertà ma altra cosa è lanciare campagne di PR per rovinare ulteriormente un certo paese attenzionato usando i diritti umani in modo strumentale a coprire altri interessi, in questo caso probabilmente geopolitici ed economici.

Nel contesto della guerra commerciale con la Cina – così come del progetto in via di sviluppo “One Belt, One Road” – gli Stati Uniti beneficiano di una crescente ostilità tra i cinesi e i popoli dell’Asia centrale. Washington probabilmente non è contenta delle prospettive per la Cina e per i suoi partner della Silk Road che entreranno nei mercati europei. E’ poi abbastanza chiaro che anche da parte UE, l’offerta della Cina all’Italia – che amplifica le spinte centrifughe durante la corrente recessione – non sia affatto gradita.

Ovviamente anche per il Covid-19 esiste uno scambio reciproco di accuse: gli USA hanno attribuito il virus alla Cina fino a studiare e chiedere una qualche forma di risarcimento. Da parte cinese si è fatto la stessa cosa, attribuendo la responsabilità a Washington.  In realtà i tempi e la responsabilità di diffusione del virus sono tutt’altro che chiare (ad esempio, la rete televisiva israeliana Channel 12 qualche giorno aveva sostenuto che addirittura nella seconda settimana di novembre i servizi segreti americani erano a conoscenza della situazione a Wuhan), per cui si questa vicenda si è sviluppata un’ampia letteratura senza però una chiarezza definitiva.

La domanda è quindi che spazio questi fattori occupino nello scontro in atto e in che misura le reciproche accuse siano strumentali e in che misura amplificate.

Ciò che è certo è che in questo contesto, con il pretesto della lotta per i diritti e le libertà delle minoranze etniche in Cina, gli USA e la UE  cercheranno di limitare o fermare completamente l’attuazione del progetto “Una cintura – una via” nella regione. Allo stesso modo – ma in modo protezionista – la Cina cerca, con la propaganda,  di migliorare la propria immagine all’estero. La domanda è quindi che spazio questi fattori occupino nello scontro in atto.

Credo che in proposito varrebbe la pena  fare un ulteriore approfondimento.

Nel frattempo, ciò che voglio qui sottolineare, è invece il fatto che sui social – ed in particolare su facebook – negli ultimi mesi nascono con frequenza sempre più crescente profili personali contenenti esclusivamente articoli monotematici. Questi account sono focalizzati sugli abusi del governo comunista cinese contro i cristiani, le minoranze e altro. Recentemente ho ricevuto alcune richieste di amicizia provenienti da profili facebook  fortemente caratterizzati in questo senso. Siccome mi ha insospettito la mono-tematicità sino-fobica e l’apertura molto recente di questi account, non ho accettato.

Ho anche notato che alcuni di questi profili pubblicano articoli e foto ingannevoli e descrivono circostanze non sempre documentate.

foto – Pexel – Shangai

Ieri, ad esempio, su un account facebook di un gruppo cristiano ho visto condiviso un post sulle torture ai cristiani. Dopo un controllo con ‘google image’ ho appurato che la foto in questione era stata scattata nel 2004 a Chigago durante una dimostrazione della minoranza fulana locale. Si trattava di specie di mostra per sensibilizzare l’opinione pubblica sul trattamento riservato alla minoranza fulani ed in genere sui trattamenti inumani in regime di detenzione in Cina.

Ebbene la foto era divulgata come autentica, era presentata come fosse stata scattata oggi o almeno in epoca recente. Penserete forse “…e con questo, cosa cambia?’. Beh non è esattamente così, se è vero che in Cina i trattamenti illegali in regime di detenzione continuano, è anche vero che anche Human Rights riconosce che da tempo essi sono diminuiti. In questo senso, la stessa ONG  già nel rapporto annuale del 2015 certifica che esistono leggi promulgate dal governo cinese per  diminuire gli abusi, tra cui l’uso obbligatorio di videoregistrare gli interrogatori.

Following the 2009 cases, the government announced various measures to curb torture as well as convictions based on evidence wrongfully obtained. The measures included legislative and regulatory reforms, such as prohibitions on using detainee “cell bosses” to manage other detainees, and practical steps such as erecting physical barriers to separate police from criminal suspects and videotaping some interrogations.

Purtroppo Human Rights fa anche rilevare che esiste un apparato statale ed anche locale che persiste con i vecchi sistemi ma è da provare fino a che livello sia presente connivenza da parte degli organi di controllo, quanto sia il grado di corruzione, quanti siano i rapporti di forza all’interno delle istituzioni e quanta sia la loro volontà di cambiamento.

L’approccio deve essere perciò misurato, qui non è a tema il “dove tu vivresti meglio?” , bisognerebbe avere un approccio differente sulla realtà partendo anche delle caratteristiche culturali e storiche di altri popoli e non traslare sempre l’attenzione su di sé giudicando realtà completamente diverse con i nostri strumenti abituali.

Realtà diverse e mentalità diverse vanno approcciate con un approfondimento delle caratteristiche che le sono proprie. Questo non vuol dire addomesticare il proprio giudizio morale ma non scivolare sempre negli stessi archetipi che riducono la realtà.  Noto invece che immancabilmente  i passi fatti, la prospettiva che la Cina si pone, la pluralità di pensiero e di confronto in atto sono a noi sconosciute.

L’evidenza è quindi che siamo al centro di una campagna premeditata per cambiare la percezione della gente nei confronti dei cinesi. Ciò si inserisce in una vera guerra in atto che non ha raggiunto ancora il suo culmine.

E’ significativo che solo io – al di fuori di ambiti e circoli filo-comunisti – mi trovo a dire certe ovvietà. Tuttavia la mia posizione è molto semplice: rifiuto le campagna disinformative finanziate dai governi e delle associazioni finte-filantropiche.
Le critiche e le condanne sono sacrosante ma vanno fatte sempre nell’ambito della verità. Viceversa, un approccio ideologico precluderà la reciproca comprensione e allontanerà ogni prospettiva di miglioramento delle situazioni.

Naturalmente le campagne di PR sono reciproche  ma appunto per questo, l’esigenza che dovremo sentire come urgente è quella di un lavoro su noi stessi per saper meglio discriminare il falso dal vero. Ciò a cui dovremmo tendere è un lavoro culturale e di libertà di giudizio che affermi il positivo e non la sostituzione di un odio con un altro. Credo che solo lo spirito di fratellanza fra gli uomini e la reciproca comprensione varranno ad aiutare a fare passi sostanziali di umanità e non le contrapposizioni sterili. Purtroppo non vedo grandi uomini e grandi leader che sappiano rispondere a queste sfide, per questo il compito di costruire il mondo secondo basi diverse, è solo nostro, nella misura in cui noi saremo attaccati al Tutto.

patrizioricci by @vietatoparlare

 

Tags: CINAPechinopropagandapropaganda anticinesesinofobia
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Patrizio Ricci associato Freelance International Press (FLIP), socio dell’ass. Blogger Samizdatonline, Autore sul Sussidiario, La Croce, LPLNews24. Coofondatore del Coordinamento Nazionale per la pace in Siria, Membro del direttivo Osservatorio per le Comunità Cristiane nel Medioriente…

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