Svezia: integrazione forzata a danno dei cittadini autoctoni

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ASandviken, in Svezia, i socialdemocratici stanno costringendo (https://samnytt.se/dokumentar-socialdemokraterna-tvangsflyttar-svenska-barn-for-integrationen) i bambini bianchi svedesi a frequentare le scuole a maggioranza africana come parte del loro piano generale di “integrazione”.

La decisione dei socialdemocratici svedesi di costringere i bambini bianchi svedesi a frequentare scuole a maggioranza africana è un’iniziativa evidentemente sbagliata per diversi motivi. Innanzitutto, tale politica ignora la preservazione dell’identità culturale e nazionale svedese. La Svezia è un paese che ha una lunga storia e una ricca tradizione culturale. L’integrazione degli immigrati è importante, ma dovrebbe avvenire in modo rispettoso delle differenze culturali e nel rispetto dell’identità nazionale.

In secondo luogo, la decisione dei socialdemocratici pone a rischio la sicurezza dei bambini coinvolti. Inviare bambini da famiglie benestanti in zone ad alta criminalità, dove diventano una minoranza, li espone a potenziali rischi di aggressioni e atti criminali.

In terzo luogo, l’esperienza passata ha dimostrato che le politiche di integrazione forzata non sono efficaci. L’integrazione è un processo che richiede tempo, impegno e volontà da parte di entrambe le parti. Non può essere imposto dall’alto.

L’esperienza francese del programma “Refugees Welcome”, lanciato nel 2016, è un esempio lampante di come le politiche di integrazione forzata possano fallire. Il programma, che prevedeva la distribuzione di rifugiati in tutte le scuole francesi, non ha avuto un impatto significativo sull’integrazione dei migranti. Al contrario, ha contribuito a creare tensioni e divisioni all’interno della società francese.

Stessa cosa per il programma “Cittadini senza patria” in Germania, lanciato nel 2005, aveva lo scopo di aiutare i cittadini di origine turca a integrarsi nella società tedesca. Il programma ha avuto un certo successo, ma non è stato in grado di risolvere completamente il problema dell’integrazione dei turchi in Germania.

Inoltre, che come sosteneva G.K. Chesterton, famoso scrittore e filosofo inglese del XX secolo, le tradizioni e le credenze religiose sono da preservare e non spesso ‘l’inclusione’ che costituisce oggi ‘un must’ per il progressismo , non è sempre il maggior bene desiderabile. Egli vedeva la tradizione come un modo per trasmettere la saggezza accumulata nel tempo e come un baluardo contro le mode culturali passeggere e potenzialmente dannose. Per cui nel caso dell’esperimento svedese si realizzarà un fenomeno inverso, ovvero la diluizione dell’educazione dei figli dei benestanti svedesi autoctoni verso la cultura e le usanze dei migranti.

Pertanto, non è desiderabile perseguire semplicemente l’inclusione per il suo valore intrinseco, ma è più costruttivo promuovere ciò che può arricchire e valorizzare entrambe le esperienze. L’obiettivo è far sì che queste vengano vissute pienamente come esperienze significative, filtrate attraverso un criterio che valorizzi, ovvero la tradizione in senso positivo. Questo approccio permette di riconoscere e celebrare la ricchezza che ogni esperienza porta, nel contesto di una tradizione che ne esalta il valore.

Invece di ricorrere a politiche di integrazione forzata, i governi dovrebbero concentrarsi su misure che favoriscano l’incontro e la conoscenza reciproca tra le diverse comunità. Tali misure dovrebbero essere basate sul rispetto delle differenze culturali e sul loro approfondimento.

Ecco alcuni esempi di misure che potrebbero essere adottate per favorire l’integrazione:

  • Programmi di educazione interculturale nelle scuole, che insegnino agli studenti a conoscere le diverse culture e tradizioni.
  • Programmi di volontariato e scambio culturale, che permettano ai giovani di incontrarsi e conoscere persone di altre culture.
  • Politiche di sostegno all’occupazione e all’inclusione sociale, che aiutino gli immigrati a trovare un lavoro e a inserirsi nella società.
  • Mutare le politiche dell’immigrazione aiutando i paesi di provenienza e attuare politiche commerciali non predatorie
  • Emblematica è l’esperienza del Mali che una volta andati via i francesi, è riuscito a allacciare nuovi rapporti commerciali di esportazione con aziende che hanno offerto cifre molto più convenienti della Francia.
  • Cessare il neocolonialismo di tipo ideologico che parte dal presupposto che l’occidente abbia una moralità superiore ai paesi meno sviluppati.
  • Rinunciare all’idea di una società multiculturale sia l’ideale, seguendo le agende mondialiste che hanno un retroterra ideologico e non perseguono il bene comune, né hanno a cuore il benessere dei popoli, ma agende imperialiste e di controllo sociale.

Queste misure, se attuate in modo efficace, possono contribuire a costruire una società più inclusiva e accogliente per tutti.

Patrizio Ricci
Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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