A seguito di una sentenza della Corte costituzionale (ST), che consente alle coppie dello stesso sesso di prendere dieci giorni di congedo dopo la nascita di un figlio, Mons. Zbigniew Stankevich, arcivescovo della Chiesa cattolica a Riga(Lettonia), ha auspicato la possibilità del riconoscimento legislativo delle unioni di fatto (finora assente):
Di conseguenza, non ha più senso parlare separatamente della registrazione di unioni di coppie di sesso diverso: se la Lettonia introduce un tale istituto, dovrà essere esteso alle coppie dello stesso sesso, che lo vogliano o no.
Quindi la pressione della Conferenza del vescovo di Riga e della Conferenza Episcopale lituana, è rilevante. Specialmente in quando il governo ha una posizione contraria rispetto a tale riconoscimento.
Della vicenda ne ha parlato diffusamente la Nuova Bussola Quotidiana con l’articolo “Clamoroso in Lettonia: sono i vescovi a volere le unioni gay” del 21.12.2020.
Nell’articolo, tra l’altro, viene detto che il vescovo di Riga e la stessa Conferenza Episcopale cattolica lettone “hanno fatto pressioni affinché fossero riconosciute legalmente le unioni omosessuali, per «mettere da parte tutte le ideologie». Inoltre, mons. Zbignevs Stankevics ha detto di non polarizzare ‘le opinioni’ per non provocare ‘ritorsioni e odio’:
A seguito di quanto viene illustrato nell’articolo, ho effettuato altre ricerche ed invero la vicenda è stata descritta correttamente, con tutta la pericolosità ed ambiguità che implica. Infatti, quando i confini si assottigliano ad eliminarli basta un po’ di ‘burocratichese’ per far sì che le cose cambino generando caos in nome delle libertà individuali.
Tuttavia, il vescovo Zbigniew Stankevich – direi abbastanza ingenuamente – ha tenuto a ribadire che:
Secondo l’arcivescovo la sicurezza dei bambini dovrebbe essere considerata prioritaria rispetto alla istituzione del matrimonio. Egli ha precisato che la chiesa riconosce il matrimonio solo come un’unione legalmente costituita tra una donna e un uomo sulla base delle leggi dello stato, mentre la famiglia è un’istituzione basata sul matrimonio che include anche bambini e parenti stretti.
Come vedete, benché si ribadisca che il matrimonio è tra un uomo ed una donna, viene scisso il significato di ‘famiglia’ rispetto al matrimonio. Chiaramente, la chiesa dovrebbe valorizzare e sostenere soprattutto quella unità nel sacramento del matrimonio, un uomo e una donna con i figli. Inevitabilmente, scindendo i due significati come se fossero due ambiti diversi, prevale un indistinto significato sociologico ed emozionale che si basa soprattutto sugli affetti, posti al di fuori di un significato e di un compito a cui aderire.
Silenzio sul matrimonio cristiano
Il punto che osservo è che ogni cedimento in tema di famiglia, lo si fa costantemente nel nome dell’affetto e per evitare le privazioni psicologiche, il dolore, l’ingiustizia a qualcuno. Secondo una tale logica, persino la parola ‘vincolo’ del matrimonio, è percepito negativamente nell’ambito dei diritti dell’uomo.
Ma scindere i due significati ‘famiglia’ e ‘matrimonio’ mi pare un lavoro di pura ingegneria decostruttivista. Per capirci, sta avvenendo quanto accade nel caso dell’Alitalia, laddove siccome la compagnia aerea è in forte difficoltà, una delle proposte ‘risolutive’ è quella di dar vita a a due rami: una ‘BAD Alitalia’ che prenda tutti i debiti e un’altra buona, in buona salute, che raccolga il suo valore. Questa non è affatto una buona idea. L’esigenza dell’uomo non è affatto trovare sempre un modo per vedere come si può fare per eliminare il dolore e la morte. L’esigenza dell’uomo è trovare il suo significato. C’è un compito e una responsabilità di fronte al mondo. Mentre per converso, la caparbietà di eliminare la morte ed il dolore può ispirare le ideologie più distruttrici. Lo abbiamo visto molte volte nella storia (e ci ricaschiamo nell’affrontare questa pandemia).
E’ abbastanza ovvio che minimizzando sulla Grazia santificante che agisce nel sacramento del matrimonio, ogni altra forma di convivenza è paritetica o quasi. Se non esiste la valorizzazione del sacramento del matrimonio e del suo significato, lo si può scindere tra istituto del matrimonio e famiglia. Se il matrimonio viene ridotto solo nell’ambito dell’amore (che tutti pensano di avere e di non imparare), ogni variante più arguta ed equa è preferibile. Si scade perciò anche questa volta nei diritti – in questo caso dei diritti dei bambini – anche questa volta per giustificare la scelta giudicata ‘meno peggiore’.
Ovviamente ci sono anche matrimoni di laici che percepiscono e recepiscono le leggi del vivere – perchè la religione cristiana non fa che riconoscere, senza inventare nulla. Allo stesso modo, occorrerebbe parlare anche di responsabilità ad una paternità, anche la di fuori del matrimonio, questo si chiama vocazione. Ma il taglio preso dalla discussione in atto in Lettonia sembra escludere un tale orizzonte (ma qui andremmo lontano e me lo riservo per un altro momento).
Di cosa hanno bisogno i figli?
Inoltre, mi pare che sia mal posta anche la questione dei figli. In proposito le parole del vescovo , secondo le quali l’adozione dei figli da parte di coppie dello stesso sesso sarebbe sconsigliata perché nuoce “allo sviluppo armonioso e pieno di un bambino richiede genitori di entrambi i sessi uniti da legami coniugali ”, sono del tutto fuorvianti . Infatti se da una parte si auspica viluppo armonioso e pieno del bambino, dall’altra non c’è alcun accenno di cosa questo significhi sul piano spirituale: la trascendenza della vita è inspiegabilmente del tutto estromessa. Assente anche il concetto di paternità, di comunicazione della fede alla prole. Sono questioni sottovalutate e non vedo grandi passi di miglioramento nelle posizioni che si intrecciano a Riga, fino a scomparire le une dentro le altre.
E’ così che, inesorabilmente, sui libri di storia, il tempo continua stupidamente ad essere raccontato dalle conquiste , dalle guerre ed dai disastri, mentre in realtà la storia è segnata dal percorso di redenzione dell’uomo: la storia ha un solo significato ed è quello della redenzione.
Perciò, a mio avviso, oltre alle conseguenze della pericolosa forzatura di certi confini – che significa non rispondere alla verità – è da notare che la Chiesa sempre più spesso si trova a prendere posizione per difendere queste situazioni cosiddette ‘dolorose’; allo scopo di ‘unificare‘, si muove per ‘non dividere‘ e ‘accogliere‘ l’umanità secondo ‘misericordia‘. Tutti notiamo che questa è la sottolineatura più frequente. Ma il compito della Chiesa non è ricercare per essere più empaticamente vicina al mondo. Non è compito della Chiesa ‘abbracciare’ l’umanità per farsi più incontro e partecipe ad un mondo che cambia ed alle terre desolate degli uomini. Perché queste ‘terre desolate’ potranno tornare ad essere felici e ridenti solo se la Chiesa trasmette il valore dell’uomo che ha trovato nel Divino che si è compiaciuto di farsi uomo in una donna , Maria e che ha dato la vita per tutti noi, risorgendo il terzo giorno. La Chiesa è nella storia come testimone dell’Avvenimento di Cristo, della sua Passione, morte e Resurrezione. Per questo Dio padre la accompagna costantemente.
Evidentemente, tutti gli altri aspetti cruciali della società, sono secondari e possono essere leniti dall’Onu e da Ong efficienti (a patto che questi non vogliono sostituirsi al Sacro, come stanno facendo attivamente, nell’indifferenza dei nostri responsabili religiosi). Non dico con questo che la carità cristiana non debba essere esercitata ma se nella carità cristiana è assente un giudizio ispirato dalla dottrina sociale della Chiesa e dalla fede, la carità cristiana è un fardello.
Quindi, è chiaro che ci troviamo al centro di in un passaggio cruciale che inciderà molto sul presente e sui tempi a venire. E’ il passaggio tra il relativismo ed il pensiero unico. Anche i singoli fatti di cronaca rivelano continuamente di questo percorso inesorabile di formazione di un unico pensiero. Ormai tutto ciò che è al di fuori di questo pensiero unico – che avoca a sé ogni intenzione più nobile e qualità più umane – è illegittimo.
Il problema muta e resta, come il virus.
patrizioricci by @vietatoparlare
La tutela che concepisce il mondo è un’altra e lo abbiamo visto in questo tempo di pandemia.
Quindi, è ingenuo pensare che ‘leggi e norme facilitatici’ possano sollevare l’uomo; l’uomo può essere sollevato solo dalla conversione e dell’incontro con la rivelazione del Mistero.
In questo, penso che sia emblematica anche la scelta fatta di optare per i vaccini rispetto alla ‘cura’ della persona. Specialmente quando – come in questo caso – si parla di un virus con bassa letalità e facilmente aggredibile con terapie precoci e immunizzanti.
La scelta per il vaccino appare evidente nella sua motivazione: il vaccino ‘ottimale’ dovrebbe risolvere una volta per tutte il ‘problema’, mentre la ‘cura’ esporrebbe ad un rischio ed ad una personalizzazione maggiore, ma avrebbe lo stesso risultato pratico, se non maggior efficacia. Scegliere tra l’una o l’altra opzione la dice lunga sulla mentalità che ispira una scelta rispetto all’altra. Scegliere di curare equivarrebbe a mettere mano ad una ricostruzione della sanità ed una minore standardizzazione dell’approccio terapeutico (e riformare l’approccio stesso della sanità moderna verso i cosiddetti ‘pazienti’). Un’attenzione maggiore all’uomo rispetto alla malattia, farebbe scoprire molte cose insospettate.
Tutto questo, in termini economici, vorrebbe dire forti investimenti di risorse. Ma queste risorse si preferiscono far convergere nel green e nella digitalizzazione. E’ l’occasione per ricominciare meglio, dicono. Ma insieme ad una maggiore modernizzazione, certe scelte – e la mentalità che le accompagnano – porteranno inevitabilmente al transumanesimo e all’apertura a teorie maltusiane e genetiche sempre più estreme, nella illusoria riconcorsa di risolvere ogni cosa.
Rīgas arhibīskaps: lemjot par viendzimuma pāru aizsardzību, ir jāatmet ideoloģija un reliģiskie uzskati https://t.co/psXj3Y7dLT
— Jauns.lv (@JaunsLV) December 15, 2020