Il pasticcio di piazza Maidan

Per USA  e UE, p.zza Maidan è simbolo di rivolta pro-democrazia. Ma per la Crimea russofona, è solo un simbolo di arroganza anti-russa.

di Ricci Patrizio

La Crimea non è la Cecoslovacchia nel 1968 e non c’è nessun Jan Palach a immolarsi.  La presenza dei russi è stata richiesta dalla Regione Autonoma dopo l’occupazione del Parlamento ucraino. La popolazione filo-russa era decisa ad opporsi autonomamente con tutti i mezzi al nuovo governo centrale. Già prima dell’intervento russo,  aveva formato i comitati di autodifesa popolare per organizzare una resistenza contro la destituzione del presidente Yanukovich, che tuttora considerano illegale.

L’Ucraina ha due problemi: è sull’orlo della bancarotta ed è contesa da est ed ovest. Sempre alle prese con problemi economici e da aspri contrasti interni, l’Ucraina è stata sempre corteggiata dall’occidente per farla gravitare dentro la propria orbita d’influenza atlantica: tutto ciò, se l’occidente avesse semplicemente fatto ricorso al commercio  ed alla diplomazia sarebbe stato corretto, ma non è andata così.

Gli Stati Uniti, appoggiati dalla UE, hanno agito in maniera disonesta: gli USA hanno speso, 5 miliardi di dollari per sostenere le opposizioni interne, fomentare le agitazioni e trascinare l’Ucraina nella UE (lo ha rivelato l’assistente al segretario di stato USA Victoria Nuland al National Press Club sponsorizzato da US-Ukraine Foundation, Chevron e Ukraine-in-Washington Lobby Group). E giacché lo scopo era allontanare l’Ucraina dalla Russia, si sono cavalcate le conflittualità esistenti tra le diverse etnie: gli interlocutori privilegiati sono diventati le formazioni politiche antirusse, cioè quelle più sovversive e radicali nazionaliste.

Così influenzata, la piazza ha fortemente contestato la scelta del presidente filo-russo Yanukovich di accettare i più congrui aiuti economici russi (l’accordo prevedeva anche una serie di reciproci vantaggi ma bisognava rinunciare all’integrazione europea).  Nonostante le proteste, Yanukovich non desisteva dagli accordi con la Russia, è così che con l’appoggio politico occidentale (abbiamo pubblicato la settimana scorsa la telefonata dell’assistente del segretario di Stato USA, Victoria Nuland che diceva chiaramente che bisognava bloccare l’accordo) accompagnate da una sapiente campagna mediatica, le proteste sono degenerate in sommossa.  L’epilogo, la nascita di un nuovo esecutivo anti-russo, nato dalla rivolta e non legittimato da libere elezioni, coincide con l’obiettivo occidentale di strappare definitivamente l’Ucraina dalla sfera d’influenza di Mosca, costruire basi Nato a ridosso dei suoi confini, privare la Russia dell’importante porto militare di Sebastopoli.

Il resto è cronaca, le immagini della piazza Maidan sono state diffuse dai maggiori network televisivi, lasciando però passare solo la ‘pacifica rivolta di piazza degenerata per la violenza della polizia’. Invece la violenza era generalizzata e diffusa in tutta Kiev e seguiva un’agenda precisa: l’occupazione di tutti i palazzi di potere.  Anche in questi giorni, a moti di piazza terminati, la situazione non si può definire normale: la BBC riferisce che Kiev è pattugliata ogni giorno da gruppi neonazisti governativi ( https://www.youtube.com/watch?v=GkiSPMpTp_I#t=18 ).

Si tratta dei militanti del ‘Partito nazionalsocialista dell’Ucraina’ (si chiamava così fino al 1991), oggi Svoboda. Senza di loro la rivolta non avrebbe avuto successo. L’ aggressività di questa organizzazione, è stato il punto di svolta dell’insurrezione: la folla li ha accettati a migliaia tra le proprie fila. Così i militanti di Svoboda hanno risolto la cosa a ‘modo loro’: durante gli scontri hanno usato pistole, fucili di precisione, bombe molotov ed hanno trasformato la protesta in guerriglia urbana.  L’occidente non accetterebbe mai una simile violenza contro le proprie istituzioni, ma fuori dal proprio territorio ha tollerato questo tipo di destabilizzazione perché utile ai propri fini.

Allo stesso modo, nessun paese occidentale accetterebbe neonazisti nei propri governi. Invece in Ucraina si è lasciato fare. Alla fine, gli esponenti delle forze di estrema destra, hanno chiesto ‘il conto’ ad un parlamento, assediato dalla piazza, ed il parlamento ha firmato ogni cosa gli si sottoponesse.
Così il primo provvedimento adottato (insolito per un governo di transizione) è stato l’abolizione della Costituzione ed il ritorno a quella del 2007 (quella che dava più poteri al Presidente).

Ma più di tutto, quello che ha scatenato il risentimento della popolazione russofona, è stata l’abolizione della lingua russa tra quelle ufficialmente parlate.
L’orizzonte futuro non riserva buoni auspici. Gli uomini di Svoboda hanno assunto incarichi chiave nel nuovo governo. Se Oleh Tyahnybo (il leader del partito filo-nazista Svoboda) si presentasse alle prossime elezioni, potrebbe vincere: un sondaggio di dicembre lo vuole come il favorito subito dopo l’ex-presidente Yanukovich.  Particolarmente sconcertante è che Andriy Parubiy  comandante delle milizie nazionaliste che hanno condotto gli assalti alle forze di sicurezza ucraine e co-fondatore dell’antenato di Svoboda, il Partito Nazional-Socialista d’Ucraina, è stato nominato capo del Consiglio Nazionale di Sicurezza.  Parubiy, secondo il giornale Libération avrà un vice: è Dimitri Yarosh, il leader del gruppo pro-nazista ‘Rigth Sector’.

Non ci vuole molto a capire che l’occidente ha scelto di privilegiare solo una parte del popolo ucraino: quello più funzionale ai propri interessi.  Si parla sempre di una sola Ucraina, invece ci sono due Ucraine: una, russa, è stata ‘regalata’ all’Ucraina da Chruščëv nel 1954. Ed ora che le cose si mettono male, i russi la rivogliono: certo non è elegante chiedere indietro un regalo, ma in alcune situazioni ci sta.

Intanto i toni sono insolitamente accesi, mentre la situazione consiglierebbe il dialogo, sentire le ragioni altrui, la calma. Purtroppo, i vari leader mondiali non accettano le ragioni altrui, come se non esistesse nessun problema, se non le uova rotte nel paniere.

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