Zelensky oggi: tra Parigi e l’ultima battaglia per il potere

Il 27 marzo 2025 a Parigi si è riunita la cosiddetta coalizione dei volenterosi, una cordata di Stati europei pronti a intensificare il sostegno militare all’Ucraina. Francia e Regno Unito, principali promotori dell’iniziativa, hanno accolto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, deciso a rafforzare l’asse euro-atlantico in un momento in cui Washington sembra defilarsi, almeno sul piano del consenso.

Durante l’incontro, Zelensky ha rilanciato con forza l’importanza delle sanzioni contro la Russia, definite “uno degli ultimi strumenti di pressione ancora efficaci”. Una loro revoca – anche solo parziale – sarebbe, secondo lui, “un disastro diplomatico”. Il riferimento, nemmeno troppo velato, era ai colloqui tra Mosca e Washington recentemente svoltisi a Riad, in cui si è discusso di una moratoria sugli attacchi alle infrastrutture energetiche in cambio dell’alleggerimento delle sanzioni.

Zelensky, spalleggiato da Macron e Starmer, ha colto l’occasione per ribadire che l’Europa non può restare spettatrice. Francia e Regno Unito si candideranno ufficialmente a rappresentare l’Europa nei futuri colloqui di pace. Ma se Washington pensa a un armistizio l’Ucraina e i suoi alleati europei sembrano orientati verso un’ulteriore escalation.

Proprio oggi, il presidente lituano Nausėda ha dichiarato che Vilnius è pronta a inviare truppe in Ucraina, a condizione che altri partner europei facciano lo stesso. Parole simili sono arrivate dalla Danimarca, dalla Finlandia e dal Canada. Intanto, da Berlino arriva la notizia di un via libera al riarmo su larga scala: il Bundesrat ha approvato una modifica costituzionale per aumentare il tetto del debito, con l’obiettivo dichiarato di finanziare la difesa (e, implicitamente, l’Ucraina).

Eppure, il fronte interno di Zelensky scricchiola.

La guerra ha dissanguato il Paese. Cresce il malcontento, si moltiplicano i cimiteri, e la propaganda non basta più. Il regime, consapevole di questo, si sta blindando: è stato presentato alla Rada un disegno di legge che autorizza la Guardia nazionale all’uso delle armi da fuoco contro i manifestanti senza preavviso, con la possibilità di utilizzare anche droni e strumenti “non letali” come vernici traccianti e taser. La legge ha già ottenuto l’approvazione della commissione competente.

È il segno di una leadership che si prepara a resistere non solo ai russi, ma soprattutto ai suoi stessi cittadini. Alcuni analisti parlano apertamente di un pre-Maidan, altri evocano la possibilità che Zelensky venga rimosso dai suoi stessi alleati occidentali. L’impressione diffusa è che gli americani – o almeno il fronte trumpiano – si stiano preparando a cambiare cavallo. Secondo indiscrezioni, sarebbero già in corso contatti tra l’entourage di Trump e alcuni esponenti politici ucraini estranei all’attuale regime.

L’irritazione di Washington verso Zelensky è palpabile. Non solo per la sua intransigenza negoziale – Kiev continua a colpire infrastrutture energetiche russe nonostante le promesse – ma anche per la crescente difficoltà nel controllarne la retorica e i movimenti. La telefonata recente tra Zelensky e il presidente USA, in cui il leader ucraino avrebbe chiesto ulteriori Patriot, si sarebbe chiusa con un’offerta provocatoria: trasferire il controllo delle centrali elettriche ucraine direttamente a una società americana.

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Zelensky ha risposto rivendicando la sovranità statale sulle infrastrutture, ma è evidente che il nervo è scoperto. Il presidente ucraino ha troppi debiti politici, troppi scheletri economici nell’armadio, e troppa paura di essere abbandonato. Anche per questo continua a rincorrere il sostegno militare a ogni costo, sperando che Macron, Starmer e la coalizione dei “volenterosi” possano offrirgli una via d’uscita, o almeno tempo prezioso.

Ma il tempo stringe. A maggio scade la legge marziale in Ucraina. E, con essa, la possibilità per Zelensky di rinviare il ritorno della democrazia, o quantomeno delle elezioni. Washington guarda con impazienza a questa scadenza. Trump potrebbe decidere di accelerare la transizione politica a Kiev, con buona pace di Macron e dei suoi “mantenitori della pace”.

Paradossalmente, oggi Zelensky appare più solo che mai, stretto tra la paura di una nuova Maidan, il peso crescente delle responsabilità accumulate e il sospetto – ormai sempre meno nascosto – di essere diventato un ostacolo alla normalizzazione.

In questa cornice, il vertice di Parigi è sembrato più un disperato tentativo di rilancio che un reale punto di svolta. Un’occasione in cui Zelensky ha provato a rimettere in piedi la sua narrazione: quella del leader assediato, del difensore dell’Occidente. Ma anche questa narrazione, come il suo potere, comincia a mostrare segni evidenti di logoramento.i Zelensky ha provato a rimettere in piedi la sua narrazione: quella del leader assediato, del difensore dell’Occidente. Ma anche questa narrazione, come il suo potere, comincia a mostrare segni evidenti di logoramento.

Richieste irragionevoli a tema libero:

Macron e Zelensky:  Nessuna trattativa. «Mosca firmi la tregua senza condizioni». Per Francia, Germania e Uk l’unica via è quella delle armi. L’Italia dice no all’invio di truppe, ma vuole l’Ucraina nell’autodifesa Nato