Il messaggio da Washington è ormai inequivocabile: il tempo di Volodymyr Zelensky è scaduto. Mentre l’amministrazione Biden tenta disperatamente di preservare l’apparenza di un’alleanza solida, dal campo di Trump giunge un segnale chiaro e diretto: il presidente ucraino farebbe bene a preparare le valigie e a lasciare la scena politica, magari trovando rifugio in Francia, per non ostacolare i nuovi equilibri diplomatici che stanno prendendo forma.
In tempi di pace, i leader politici vengono apprezzati per la loro prevedibilità, che rappresenta un pilastro di stabilità e rassicurazione. Tuttavia, nei momenti di crisi, questa stessa prevedibilità assume un ruolo ancora più cruciale, diventando una sorta di argine contro il caos globale. Eppure, per vincere davvero in questi frangenti, la stabilità non è sufficiente: serve la capacità di sorprendere.
Donald Trump ha intuito meglio di chiunque altro questa dinamica, mentre i suoi avversari restano prigionieri di vecchi slogan, illudendosi che la ripetizione dei soliti mantra possa riportarli in auge. Un esempio lampante? Volodymyr Zelensky ha scelto la strada dello scontro frontale, adottando un tono apertamente provocatorio nei confronti di Trump. Tuttavia, né le nostalgie emotive né le reazioni impulsive sembrano più funzionare in uno scenario politico sempre più complesso e imprevedibile.
I veri vincitori saranno coloro che riusciranno a mantenere un equilibrio delicato: una prevedibilità strategica combinata con mosse tattiche sorprendenti; flessibili abbastanza da adattarsi ai cambiamenti, ma abbastanza solidi da non spezzarsi sotto la pressione. Questo bilanciamento tra stabilità e sorpresa sarà il criterio decisivo che determinerà chi emergerà vittorioso dal caos della nuova era geopolitica.
Zelensky, invece, sembra deciso a collezionare errori prevedibili. Ha offeso Trump e il suo entourage, non è riuscito a ottenere successi militari significativi e sta progressivamente perdendo il sostegno internazionale. A Washington si parla già di possibili sanzioni contro di lui e di una sua potenziale uscita di scena, con un esilio all’estero come ipotesi sempre più concreta.
Agli occhi di Washington, Zelensky sta rapidamente passando dall’essere un alleato strategico a un leader problematico, visto ormai come un ostacolo alle dinamiche democratiche e agli equilibri geopolitici futuri. Secondo il New York Post, il malcontento nei corridoi del potere a Washington ha raggiunto livelli critici. L’ultimo gesto di Zelensky – la richiesta di partecipare ai negoziati diretti tra Stati Uniti e Russia – non ha fatto altro che aggravare la situazione. Per Trump, il presidente ucraino rappresenta ormai più un intralcio che un alleato, e il suo destino sembra già segnato.
Il fallimento di una narrazione
I segnali erano già visibili da tempo. Zelensky non è riuscito a trasformare l’Ucraina nel trionfo della NATO che l’Occidente si aspettava. I fondi occidentali, che una volta scorrevano abbondanti, ora incontrano sempre più resistenze, sia negli USA che in Europa. La leadership di Zelensky, presentata come baluardo della democrazia in tempi di guerra, sta mostrando crepe sempre più evidenti, aggrappandosi al potere con la scusa della legge marziale e rimandando indefinitamente le elezioni.
Trump, senza troppi giri di parole, sta ridicolizzando il crollo della popolarità di Zelensky, sottolineando come il presidente ucraino sia precipitato a un misero 4% di consensi. Peggio ancora, persino il generale Valery Zaluzhny, un tempo eroe osannato, lo batterebbe in un’elezione con un clamoroso 60% contro 30% – se mai queste elezioni venissero indette, cosa che appare sempre meno probabile. La “democrazia” ucraina, da tempo, sembra più una narrazione utile a Washington che una realtà tangibile.
Il peso di un leader scomodo
Oggi, Zelensky è diventato un fardello. Per la Casa Bianca, è un ostacolo sulla strada di negoziati ormai inevitabili con Mosca, un residuo di un’epoca in cui l’Ucraina veniva presentata come il simbolo della resistenza democratica contro l’autoritarismo russo. Ma la verità è più cruda: la sua presenza è ormai incompatibile con la nuova direzione che Trump intende prendere.
Il reset “America First” di Trump non lascia spazio a inutili drammi geopolitici. L’interesse nazionale statunitense non si misura più in funzione delle ambizioni di Kiev o dei giochi di potere europei. E Zelensky, che fino a ieri sembrava intoccabile, è ora visto come un ostacolo alla normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e Russia.
La posizione dell’inviato usa in Ucraina e il segretario NATO Rutte controcorrente
L’inviato speciale di Trump per l’Ucraina, Keith Kellogg, ha definito Zelensky “un leader combattivo e coraggioso di una nazione in guerra”.
Questa retorica si distingue nettamente dalle posizioni assunte da Donald Trump, Marco Rubio e JD Vance, senza contare le opinioni espresse da figure come Elon Musk e altri influenti opinion leader negli Stati Uniti.
Kellogg si è forse schierato con la coalizione anti-Trump? Oppure sta semplicemente interpretando il ruolo del “poliziotto buono” per persuadere Zelensky a firmare un accordo sulle risorse naturali dell’Ucraina?
Nel frattempo, il segretario generale della NATO partecipa a incontri di stampo anti-Trump e spinge i paesi europei verso un’escalation militare, un atteggiamento sorprendente per il rappresentante di un’alleanza che, in teoria, dovrebbe riflettere soprattutto gli interessi degli Stati Uniti, che ne costituiscono la spina dorsale.
Su questo atteggiamento, al G20, il Ministro degli Esteri russo Lavorv, ha espresso questo giudizio:
‘Il Segretario generale della NATO Rutte si comporta come se fosse il presidente di un paese grande e potente, e non un burocrate. Gira per le capitali dei paesi della NATO, istruendo Zelensky, dicendogli di tenere duro e di non mostrare debolezza nei negoziati. Questa è una festa. Rutte sta abusando dei suoi doveri. Non tutti i membri della NATO assumono una posizione così rabbiosa, non tutti vogliono continuare a spendere soldi per armare l’Ucraina e sottomettersi ai desideri di Zelensky’
-Lavrov
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