Introduzione
Lo Yemen è oggi uno dei paesi più poveri e martoriati del pianeta. Da dieci lunghi anni non conosce pace: una guerra devastante, alimentata da interessi regionali e internazionali, ha ridotto vaste aree del Paese in macerie e affamato milioni di persone. Ospedali distrutti, scuole bombardate, città fantasma: la vita quotidiana nello Yemen è segnata da privazioni estreme e da una resistenza ostinata e dignitosa.
Ma ciò che accade oggi nello Yemen va oltre la sua tragedia interna. Da metà marzo 2024, gli Stati Uniti hanno intensificato una campagna di bombardamenti sul territorio yemenita, colpendo senza sosta obiettivi strategici legati al movimento Ansarullah (i cosiddetti “Houthi”). L’azione americana è la risposta diretta al blocco imposto dallo Yemen alle navi dirette verso Israele e alla sua ostilità crescente nei confronti di Tel Aviv, in solidarietà con la popolazione palestinese di Gaza, sottoposta a una sistematica distruzione e a un vero e proprio genocidio.
Lo Yemen, dunque, si trova oggi al centro di un confronto geopolitico più ampio, che ha come sfondo la tragedia di Gaza e come posta in gioco l’equilibrio di forze in tutto il Medio Oriente. In questo contesto, la testimonianza di Pepe Escobar, tra i pochi giornalisti occidentali ad aver recentemente visitato il Paese, acquista un valore raro e imprescindibile. Il suo reportage, ricco di dettagli, nomi, incontri e impressioni dirette, ci restituisce uno Yemen vivo, ferito ma non vinto, profondamente legato alla propria identità storica e oggi più che mai protagonista della resistenza contro un ordine mondiale sempre più fondato sulla violenza e sul saccheggio. (vietato parlare)
di Pepe Escobar – Sputnik Globe
SAADA, nord-ovest dello Yemen – Sono le 14:00 di mercoledì 26 marzo, e mi trovo su un viale deserto di Saada durante il Ramadan, in silenzio, circondato dalle montagne, osservando un cartello stradale che mi indica che il confine saudita dista solo due ore di auto.
Siamo arrivati nel nord-ovest dello Yemen, culla del movimento Ansarullah, in un convoglio di SUV Toyota bianchi. In realtà, non era un vero convoglio, ma un diversivo, poiché i veicoli non viaggiavano mai insieme lungo l’autostrada dal paesaggio spettacolare, per ragioni di sicurezza molto serie.
Eravamo un piccolo gruppo di una dozzina di persone, provenienti da Oriente e Occidente, che avevano trascorso i giorni precedenti nella capitale Sanaa, in occasione di una conferenza sulla Palestina dal titolo “Non siete soli”. Come ci hanno fatto notare con gentilezza i nostri ospiti, abbiamo di fatto rotto fisicamente il blocco occidentale/arabo contro lo Yemen, essendo il primo gruppo di stranieri a visitare il Paese dopo anni.
Il gruppo comprendeva, tra gli altri, l’ex primo ministro iracheno Adel Abdel Mehdi; il professor Ma Xiaolin, uomo meraviglioso, Hui (musulmano cinese) della provincia di Ningxia e preside di un istituto di studi mediterranei nel polo tecnologico di Hangzhou; Aminurraasyid Yatiban, stimato ricercatore malese che ha tenuto un intervento sorprendente sulla militarizzazione dell’archeologia ad al-Quds; Mandla, il nipote di Nelson Mandela; e il dinamico duo irlandese Mike Wallace e Clare Daly, ex membri del Parlamento europeo.
A Sanaa ci era stato detto di aspettarci una “chiamata alla porta” alle 3 del mattino. All’ora yemenita, ciò significava le 5, con partenza un’ora dopo. Nessuna informazione aggiuntiva. Abbiamo viaggiato solo con i vestiti che indossavamo, senza caricabatterie per i telefoni, senza spazzolino, nulla. Solo a Saada abbiamo saputo che avremmo passato lì la notte. Senza alcuna connessione internet.
Ci è voluto un po’ per comprendere perché fossimo lì proprio in quel momento: faceva parte di un’operazione di sicurezza meticolosa. Non era una coincidenza: il giorno prima, il 25 marzo, ricorreva il decimo anniversario del primo bombardamento sullo Yemen da parte della proverbiale “coalizione” di volontari arabi – escluso l’Oman – guidata dall’Arabia Saudita con la Casa Bianca di Obama-Biden che “guidava da dietro”.
Nel pomeriggio abbiamo appreso che non meno di 45.000 edifici in tutto lo Yemen, in particolare nel governatorato di Saada, erano stati colpiti negli ultimi dieci anni; e ora, con il contributo diretto del Pentagono guidato dalla versione Trump 2.0 – fautore della “pace attraverso la forza” – che, come rivelato dalla scandalosa saga di Signal, ha lanciato una guerra contro Ansarullah e lo Yemen “per mandare un messaggio”.
Abbiamo visto questo “messaggio” stampato sull’ospedale oncologico in costruzione a Saada, finanziato con enormi sforzi, raso al suolo dalle bombe del CENTCOM solo due giorni prima della nostra visita. Abbiamo recuperato frammenti di bombe statunitensi, alcune con il nome del produttore e il numero del contratto, per essere analizzate da team yemeniti. Una bomba inesplosa giaceva tra le macerie dell’ospedale distrutto.
Abbiamo anche visitato il luogo in cui un autobus scolastico fu colpito da un raid saudita nel 2018: 42 bambini morirono. Le prove sono state trovate nei telefoni cellulari recuperati tra le macerie. Sono tutti sepolti in un piccolo cimitero dei martiri.
Quella notte mi è stato detto di aspettarmi un’altra “chiamata alla porta” verso le 4 del mattino. Alcuni di noi speravano nell’impossibile: un incontro faccia a faccia con il leader di Ansarullah, Abdul Malik Badr al-Din al-Houthi, che vive nel governatorato di Saada. Ma ciò avrebbe comportato un rischio di sicurezza inimmaginabile, essendo lui ormai il bersaglio numero uno del CENTCOM per una “decapitazione” in tutta l’Asia occidentale.
Yemen: l’origine di tutti gli arabi
Per comprendere le complessità dello Yemen, bisogna partire dal suo sistema di governo. Somiglia a un triangolo.
Al vertice c’è il leader, Abdul Malik al-Houthi, fratello minore del defunto Hussein al-Houthi, primo leader di Ansarullah, movimento religioso-politico-militare composto principalmente da sciiti zayditi.
Subito sotto c’è il presidente Mahdi Muhammad al-Mashat.
Agli altri due angoli: da una parte, i 9 membri dell’Alto Consiglio Politico – responsabili davanti al Parlamento, di cui abbiamo incontrato 4 membri – e dall’altra, il Parlamento stesso, che ha in effetti la precedenza sul Primo Ministro. Seguono poi le istituzioni governative, con la supremazia del sistema giudiziario.
A Saada, uno specialista dell’intelligence mi ha detto chiaramente: “Il vero potere è qui”, non a Sanaa – un chiaro riferimento al leader Abdul Malik al-Houthi.
Dopo qualche giorno di immersione totale nello Yemen, si inizia a comprendere davvero il potere del Paese – e la forza e il carattere del suo popolo. La Sacra Kaaba fu rivestita di un “Tuba” (Re) yemenita. Uno dei suoi angoli è chiamato “l’angolo yemenita”, onore storico per tutti gli yemeniti.
Lo Yemen è la pietra angolare di tutte le migrazioni arabe: dalle prime migrazioni semitiche attraverso il regno di Saba (diviso a seguito del crollo della Grande Diga di Marib – la regina di Saba, si dice, nacque a Sanaa), fino a tutti gli eserciti che diffusero l’Islam in Africa, Mesopotamia, India e Sud-Est asiatico.
Lo Yemen fu governato dalle due più grandi regine del mondo islamico: Bilqis di Saba e Arwa dello Stato sulayhide. Il Profeta Maometto pronunciò più di 45 hadith autentici sullo Yemen e gli yemeniti.
In breve: lo Yemen è la culla di tutti gli arabi. Non sorprende che i wahhabiti arrivisti, immersi in una cultura scadente e prigionieri del cattivo gusto sfarzoso, detestino lo Yemen sopra ogni cosa – specialmente dalla riunificazione del 1990.
Gli yemeniti furono i primi a scrivere in caratteri arabi yemeniti – le lettere del Musnad, l’antica scrittura sud-araba. Hanno documentato la propria storia affinché non venisse distorta, così come oggi documentano il saccheggio del proprio Paese da parte dell’oligarchia occidentale e dei suoi ignobili fantocci arabi.
La forza intrinseca dello Yemen rappresenta una minaccia diretta per il turbocapitalismo predatorio. Non sorprende che la guerra in corso da dieci anni sia stata caratterizzata da una litania di tagliagole takfiri, mercenari, governi fantoccio corrotti e una vergognosa coalizione sostenuta dalle Nazioni Unite, progettata per sottomettere gli yemeniti tramite bombe e carestia, come descrive l’opera straordinaria di Isa Blumi, “Destroying Yemen: What Chaos in Arabia Tells Us About the World.”
Trump 2.0 rappresenta la logica conclusione del processo; secondo le sue stesse parole, questi “barbari” saranno “annientati”. Perché l’unico modo che resta all’oligarchia finanziaria globale per saccheggiare le ricchezze yemenite è distruggere il Paese.
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