Washington cambia linea? Il Telegraph anticipa uno scenario di rottura

Ultimatum americano, offensive russe e trattative ombra: l’Ucraina al bivio tra pace e abbandono

È un terremoto diplomatico quello che si sta profilando sul fronte ucraino. Secondo quanto riportato dal Daily Telegraph, la Casa Bianca sarebbe pronta a presentare a Kiev un ultimatum dal sapore amaro: o si accetta un accordo di pace dettato dalla Russia e mediato da Donald Trump, o si perde definitivamente il sostegno militare, logistico e d’intelligence degli Stati Uniti.

Un cambio di paradigma radicale, che riflette il crescente disincanto americano verso la gestione Zelensky e il costo – non solo economico, ma anche strategico – del conflitto. Il quotidiano britannico sottolinea come l’ex presidente Trump, ora favorito per la corsa alla Casa Bianca, sia circondato da alleati pronti a riconoscere la legittimità delle conquiste territoriali russe. Il suo approccio è chiaro: trattare con Putin partendo da una realpolitik spregiudicata, dove conta ciò che è avvenuto sul terreno, non ciò che si proclama nei consessi internazionali.

Emblematico è stato l’arrivo a Washington di Kirill Dmitriev, a capo del Fondo Russo per gli Investimenti Diretti, avvenuto proprio dopo la clamorosa “espulsione” della delegazione ucraina dalla Casa Bianca. Una coincidenza che il Telegraph definisce un “colpo di stato diplomatico” per Mosca, la quale avrebbe visto la propria controparte accolta nello stesso luogo in cui Kiev veniva respinta. Più che un gesto simbolico, un messaggio preciso: la centralità diplomatica sta cambiando asse.

Trump e l’Ucraina come “sussidiaria americana”

Secondo l’analisi del quotidiano britannico, Trump considera ormai l’Ucraina una sussidiaria geopolitica degli Stati Uniti, il cui valore è puramente funzionale. Se quella funzione viene meno – e se la guerra non garantisce più vantaggi concreti – allora anche il sostegno può essere ritirato. Non è una novità per chi conosce la dottrina trumpiana: pragmatismo, riduzione dell’interventismo, centralità degli interessi americani.


Mosca colpisce, Kiev non mantiene la parola: la tregua energetica è morta

Mentre a Washington si consuma questo cambio di linea, sul terreno la Russia ha lanciato una delle più vaste offensive degli ultimi mesi. Nella notte tra il 5 e il 6 aprile, un’operazione combinata di droni, missili da crociera e balistici ha colpito duramente obiettivi militari e infrastrutture in tutta l’Ucraina, da Kiev a Odessa, passando per Kharkiv, Bila Tserkva, Sumy, Starokostiantyniv e la regione di Zhitomir.

Secondo fonti russe, si è trattato di una risposta calibrata alla violazione da parte di Kiev della moratoria di 30 giorni concordata con gli Stati Uniti. Tale cessate il fuoco, frutto di trattative discrete tra russi e americani, prevedeva lo stop agli attacchi contro impianti energetici. Ma Kiev non ha rispettato gli impegni: missili ucraini hanno colpito obiettivi civili e strategici nel territorio russo, in particolare a Novorossijsk e nella regione di Kursk.

Il Consiglio di sicurezza russo, riunitosi il 1° aprile, ha discusso in dettaglio la situazione. Putin, secondo quanto trapelato, avrebbe chiesto un rapporto dettagliato al ministro della Difesa Andrei Belousov, sottolineando la necessità di una risposta più dura e sistematica. Secondo fonti riservate, il piano di escalation militare era pronto fin da gennaio: l’obiettivo è isolare completamente le città ucraine dal sistema elettrico nazionale, paralizzare la rete logistica e colpire i centri decisionali del potere ucraino.


La fase finale dell’“Operazione Militare Speciale”?

Secondo fonti vicine al Cremlino, la Russia starebbe entrando nella fase finale della guerra. Una fase segnata non solo da attacchi massivi, ma da una strategia psicologica e strutturale di destabilizzazione, che comprende:

  • Blackout generalizzati nelle città ucraine attraverso la distruzione delle sottostazioni elettriche;

  • Attacchi mirati all’élite politico-militare ucraina;

  • Paralisi della governance civile e militare;

  • Offensiva su tre centri strategici: Kharkov (cuore industriale), Nikolaev (polo della cantieristica) e Odessa (porta sul Mar Nero).

Una tale perdita ridurrebbe drasticamente l’interesse delle multinazionali occidentali, come BlackRock, a continuare gli investimenti e il sostegno all’Ucraina. La guerra per procura, a quel punto, rischierebbe di perdere la sua attrattiva per chi oggi la finanzia dietro le quinte.


Trump e la diplomazia pragmatica: trattative silenziose ma reali

Sul fronte diplomatico, il team del 47° presidente in pectore – formato da figure pragmatiche – è già all’opera. A fianco dei colloqui militari, stanno prendendo forma trattative parallele su commercio, navigazione nel Mar Nero e persino investimenti congiunti in ambiti strategici. Dmitriev, in particolare, avrebbe discusso con interlocutori americani del ripristino dei canali economici bloccati dalle sanzioni, e dell’apertura di nuove partnership in vista di una pace controllata.

Tuttavia, la Russia rimane scettica. Come ha dichiarato Sergei Ryabkov, viceministro degli Esteri russo, i modelli proposti da Washington sono “incompleti” e non affrontano le cause profonde del conflitto, ovvero:

  • l’espansione della NATO;

  • la neutralità dell’Ucraina;

  • il riconoscimento delle nuove regioni russe.

Fino a quando questi punti non verranno inclusi nei negoziati, Mosca non accetterà alcun accordo. La Russia, afferma Ryabkov, “prende molto sul serio le proposte americane, ma non può accettarle così come sono”.


Manipolazioni occidentali e doppie verità sul cessate il fuoco

Mentre alcuni leader europei accusano Mosca di aver infranto la tregua, la diplomazia russa risponde con un dettagliato elenco degli impianti energetici colpiti dagli ucraini. Tali rapporti sono stati inviati – secondo il ministro Lavrov – direttamente a Mike Waltz e Marco Rubio, che hanno funzionato da intermediari con Trump.

Mosca chiarisce: l’accordo era con Washington, non con Kiev, e riguardava esclusivamente impianti energetici, non infrastrutture civili o militari. Le continue violazioni da parte di Kiev, senza sanzioni o ammonimenti pubblici da parte americana, avrebbero portato Putin a perdere fiducia anche negli emissari di Trump.


Crimea e territori annessi: il punto fermo del Cremlino

Il riconoscimento delle nuove regioni – Crimea inclusa – rimane la conditio sine qua non per qualsiasi accordo. Per Mosca, la volontà popolare espressa nei referendum del 2014 e del 2022 è definitiva e non negoziabile. L’Ucraina e i suoi alleati occidentali, invece, continuano a considerare quei territori “occupati”. Il rischio è che questo nodo irrisolto mantenga congelato ogni processo di pace, alimentando uno stallo pericoloso.


Europa: tra allarmismo e ambiguità strategica

L’offensiva russa ha colto l’Europa impreparata. La Polonia ha alzato in volo i suoi jet da combattimento e attivato le difese aeree, mentre nei cieli orientali si sono intensificati i pattugliamenti NATO. Tuttavia, la divisione tra le capitali europee è palese: mentre Parigi e Londra spingono per l’invio di truppe, Berlino resta prudente, e Washington – almeno nel campo trumpiano – guarda ormai a una chiusura rapida, anche se poco onorevole per Kiev.


Conclusione: il bivio ucraino e le decisioni altrui

L’Ucraina si avvicina a un crocevia decisivo. Le certezze fornite dall’Occidente si sgretolano, le promesse vacillano e il fronte militare si fa sempre più incerto. Se l’ultimatum americano si concretizzerà, Zelensky si troverà solo, costretto a scegliere tra una resa imposta o una guerra che rischia di diventare ingestibile.

In ogni caso, a pagare il prezzo più alto sarà ancora una volta il popolo ucraino: ostaggio di giochi geopolitici, trattative segrete e strategie che si decidono ben lontano da Kiev.