Vescovo Moscone: una voce profetica contro l’ipocrisia delle guerre

Hanno suscitato scalpore e un’ondata di polemiche le parole pronunciate da mons. Franco Moscone, vescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, in occasione della manifestazione regionale per la pace e contro il riarmo dell’Europa, tenutasi a Bari. Il suo intervento, lungi dall’essere una provocazione, è stato un grido accorato per la pace e per la dignità dell’uomo. Tuttavia, le sue frasi hanno generato dure reazioni, in particolare da parte dell’Ambasciata israeliana presso la Santa Sede, che ha accusato il vescovo di antisemitismo.

Ecco le parole esatte pronunciate da mons. Moscone, che hanno scatenato la controversia:

“Dietro questo campo di concentramento a cielo aperto e di sterminio, con il silenzio del mondo e dell’Europa, quello che mi ha sempre fatto effetto è che dietro questo campo di concentramento ci sia quel popolo che di sterminio è stato succube fino alla fine della seconda guerra mondiale. Insieme alla Palestina dobbiamo liberare anche lo stato di Israele da una situazione e gestione contraria alla sua stessa natura, visto che sa benissimo cosa è stato il Genocidio e Shoah. Stiamo assistendo ad un autentico crimine di genocidio mondiale. Se si risolve la situazione in Palestina si risolve veramente quello che è il cammino verso la pace in tutto il mondo, perché è lì dove l’odio nasce e si fomenta, si fomenta per interessa ovviamente per chi le armi le produce. Questa Europa alla quale sono stato sempre legato, dopo l’ultimo atto del Parlamento europeo, del ritorno al riarmo in questo modo mi vergogno di essere europeo. Non è l’Europa dei padri, del trattato di Roma del 25 marzo 1957. Era l’Europa per la pace. Poi quando ho visto il kit per la guerra, è una buffonata e presa in giro della ragione. Un kit per tre giorni, basta quello per risolvere i problemi di guerra”.

E ancora:

“Non è il riarmo la via per giungere alla Pace, ma è esattamente l’opposto, è il disarmo; incominciando a disarmare i nostri pensieri, i nostri cuori, i nostri modi di pensare e di credere. […] Per me, se sto al Vangelo, il riarmo non sono i missili, ma il riarmo è la preghiera che disarma i cuori, le menti, le azioni e forse anche le Istituzioni che fanno sulle armi i loro interessi di parte contro tutti”.

Le accuse di antisemitismo si fondano sull’interpretazione, a tratti strumentale, di alcune espressioni forti, come l’accostamento tra la Shoah e la condizione attuale del popolo palestinese. Ma come hanno chiarito vari osservatori, tra cui il direttore di Voci e Volti Alberto Cavallini, il vescovo non ha mai fatto un’equazione tra l’Olocausto e quanto sta avvenendo oggi a Gaza. Ha piuttosto sottolineato, con evidente dolore, il paradosso storico di un popolo che ha subito lo sterminio e che ora, tramite le proprie istituzioni statali, opprime un altro popolo. Questo non è antisemitismo, ma un doloroso appello alla coerenza e al rispetto della dignità umana.

Le sue parole sono pienamente condivisibili sul piano etico e spirituale. Ma dal punto di vista analitico, è necessario fare alcune distinzioni fondamentali. Purtroppo, l’accostamento tra la tragedia palestinese e la scelta europea di tornare a investire massicciamente nel riarmo, pur essendo animato da un desiderio di pace, rischia di confondere due questioni profondamente diverse.

Da un lato, il conflitto israelo-palestinese è una ferita storica che dura da decenni, aggravata da gravi responsabilità internazionali, omissioni colpevoli e da una gestione disastrosa da entrambe le parti. L’attuale condotta di Israele a Gaza, che coinvolge bombardamenti su civili, ospedali, infrastrutture vitali, è inaccettabile secondo il diritto internazionale e rappresenta una crisi umanitaria senza precedenti. Ma non si può omettere che la comunità internazionale, per troppo tempo, ha mantenuto un atteggiamento ambiguo e non ha fatto abbastanza per prevenire l’attuale disastro. Allo stesso tempo, la scelta del popolo palestinese di affidarsi a Hamas, un’organizzazione armata con una visione integralista, ha portato a un ulteriore deterioramento della situazione. È quindi doveroso distinguere tra la questione dei diritti umani, sacrosanta e non negoziabile, e la questione politica, molto più opaca.

Dall’altro lato, la corsa europea al riarmo, innescata dal conflitto in Ucraina e giustificata come difesa dei valori occidentali, è una decisione gravemente colpevole. Essa tradisce lo spirito originario dell’Unione Europea, nata sulle macerie della guerra per costruire un continente di pace. In questo caso la responsabilità è diretta: Stati Uniti ed Europa hanno alimentato il conflitto tra Ucraina e Russia, contribuendo a una spirale bellica che distrugge entrambi i popoli. Chi nega questa evidenza spesso lo fa per ignoranza, cattiva coscienza o calcolo politico. Come ha ricordato recentemente anche il professore John Mearsheimer, padre della teoria del realismo offensivo, “gli Stati Uniti hanno deliberatamente provocato la Russia sull’Ucraina, e ora si stupiscono delle conseguenze”.

Dunque, il discorso di mons. Moscone va difeso, non solo per il coraggio pastorale, ma per il valore di testimonianza in un tempo in cui dire la verità è diventato pericoloso. Come scrisse Gilbert K. Chesterton, “verrà il tempo in cui sarà considerato rivoluzionario affermare che le foglie sono verdi in estate”. Ebbene, quel tempo è arrivato.

Nel silenzio complice delle istituzioni, la voce del vescovo Moscone emerge come un segno di speranza. È il segno che non tutto è perduto. Che c’è ancora chi ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Per questo, l’eco delle sue parole merita di essere amplificato. Perché, come afferma il titolo di questo blog, è proprio oggi che “vietato parlare” è diventato profetico. Parlare è un atto di resistenza. E la parola, come ci ricorda il Vangelo, libera.