Verso un Medio Oriente senza Cristiani? (seconda parte)

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Vediamo in questa parte la situazione dei nostri Fratelli nella Fede in Siria ed Egitto

SIRIA

La presenza cristiana in Siria è antichissima. Le prime comunità si formarono già pochi decenni dopo la fine della missione terrena di Nostro Signore lasciando innumerevoli segni e testimonianze che sono giunte fino a noi. Basta citare la cittadina di Maaloula, un piccolo centro tra le montagne del Qalamoun non lontano dal confine con il Libano, dove si parla ancora l’aramaico antico, la stessa lingua usata da Gesù, e dove, nella chiesa di Mar Sarkis, vi è il più antico altare del mondo, ricavato direttamente da un’ara pagana.

E’ significativo ricordare che ben tre secoli dopo la conquista araba la maggioranza della popolazione in Siria era ancora cristiana, segno di una Fede profondamente radicata, e che ben sette Papi dei primi secoli erano originari della Siria.

Prima dell’inizio della guerra nel 2011 i Cristiani in Siria erano poco meno di due milioni (pari all’8% della popolazione) ripartiti secondo quel mosaico di Chiese e comunità che è una caratteristica (ed una ricchezza) della Cristianità Orientale. Melchiti (greco-cattolici), Siriaco Cattolici, Armeni Cattolici, Maroniti, Greco Ortodossi, Siriaco ortodossi, Armeni Apostolici ed una piccola comunità di Latini formano insieme una delle realtà cristiane più vive e radicate del mondo arabo e arabizzato.

Fino all’inizio della guerra la situazione dei cristiani in Siria era una delle meno problematiche all’interno del mondo musulmano. Benchè la Costituzione siriana preveda che il Capo dello Stato debba essere un musulmano e indica nel Corano la fonte del diritto, la vita delle comunità cristiane è, di fatto, libera: non vi sono limitazioni giuridiche all’accesso dei Cristiani nei posti pubblici (con l’eccezione del Capo dello Stato) e nelle scuole, il culto esterno è consentito, non vi sono difficoltà nella costruzione o ristrutturazione di chiese che, anzi, spesso viene finanziata dalla stessa autorità pubblica. Questa situazione relativamente felice è la conseguenza di tre fattori: una tradizione di tolleranza nei rapporti tra musulmani e cristiani, la natura nazionalista e laica del partito Bahat al potere, il fatto che il Capo dello Stato sia Alauita, vale a dire appartenga alla corrente islamica più aperta nei confronti dei Cristiani. La situazione ha purtroppo cominciato a deteriorarsi in alcune zone del Paese a partire già dalla fine degli anni ’90 a causa della predicazione di Imam wahabiti (provenienti o finanziati dall’Arabia Saudita) o legati ai Fratelli Musulmani che incitavano all’odio contro i Cristiani e Alauiti, suscitando in alcuni (minoritari) settori della comunità sunnita sentimenti di odio mai precedentemente conosciuti nella società siriana.

Con l’esplodere della guerra che ancora oggi insanguina la Siria la situazione dei Cristiani conosce un radicale peggioramento, soprattutto nelle aree dove dominano o sono attive le formazioni guerrigliere che sono praticamente tutte (e non solo l’ISIS) di ispirazione islamista. Fin dall’inizio del conflitto, nella primavera del 2011, i Cristiani, per la verità insieme ad Alauiti e Sciiti, finiscono nel mirino dei movimenti definiti “ribelli”. Nelle comunità cristiane vengono segnalati numerosi rapimenti (in particolare a Homs e nelle zone rurali intorno ad Aleppo e Idleb), alcuni dei rapiti vengono rilasciati dopo il pagamento di un riscatto, altri vengono uccisi. Le aree intorno ad Aleppo divengono particolarmente pericolose a causa di posti di blocco volanti organizzati dai guerriglieri. A questi posti di blocco vengono spesso fermati degli autobus, fatti scendere i passeggeri e divisi per appartenenza religiosa. I sunniti vengono di norma rilasciati, mentre cristiani e alauiti sono uccisi sul posto o rapiti.

Anche numerosi sacerdoti sono vittime delle crescenti violenze islamiste. Nel mese di ottobre 2012, vicino a Damasco, viene rapito e sgozzato padre Fadi Haddad, un parroco greco ortodosso che stava trattando la liberazione di un medico cristiano suo parrocchiano portato via da uomini armati pochi giorni prima. Il 9 febbraio 2013 vengono rapiti due sacerdoti vicino ad Aleppo, padre Michel Kayyal e padre Maher Mahfouz, mentre il loro autista, il diacono Fatha Kabboud, viene ucciso. Il successivo 22 aprile, due Vescovi, Boulos Yazigi greco ortodosso e Yohanna Ibrahim siro-ortodosso, vengono a loro volta rapiti mentre stanno trattando con i guerriglieri proprio la liberazione dei due sacerdoti. Nessuno di loro ha più fatto ritorno a casa. Nel luglio 2013, presumibilmente a Raqqa, scompare un sacerdote italiano, il gesuita Paolo Dall’Oglio, fondatore del Convento di Mar Moussa.

Nel maggio 2013 viene attaccato dai ribelli dell’ASL il villaggio cristiano di El Duwair ed i suoi abitanti che non riescono a fuggire finiscono trucidati in maniera orribile. Nel settembre 2013, in segno di risposta all’appello alla preghiera per la Siria da parte del santo Padre, i terroristi del Fronte Al Nusra attaccano, al grido “siamo qui per prendervi adoratori della croce!”, la simbolica cittadina di Maalula. Le chiese vengono devastate, alcuni abitanti catturati, complessivamente una ventina, sono uccisi per il loro rifiuto di convertirsi all’Islam, gli altri fuggono abbandonando le proprie case al saccheggio.

Nel mese di giugno del 2013 sempre i terroristi del Fronte al Nusra occupano il villaggio cristiano di Gassanhiè, compendo numerose violenze e costringendo gli abitanti a scegliere tra la conversione la fuga. Tra gli altri viene sgozzato padre Francoise Murad, il parroco del villaggio che aveva tentato di difendere e aiutare i suoi parrocchiani. Episodi di violenza contro i Cristiani si segnalano in tutta la valle dell’Oronte dove vi sono numerosi villaggi cristiani.

Intanto a Homs vengono profanate e devastate praticamente tutte le chiese e nell’aprile del 2014 viene assassinato padre Frans Der Lugt un sacerdote gesuita olandese di settantacinque anni che ha prestato per quarant’anni il suo servizio pastorale in Siria proprio nella città di Homs.

A partire dal 2014 in molte aree della Siria dilagano le bande armate che fanno capo all’ISIS e nelle zone da loro occupate la situazione dei cristiani diventa ancora più tragica. Crocefissioni e decapitazioni vengono segnalate sia da Raqqa che da Deir Ezzor dove tutte le chiese vengono distrutte o trasformate in edifici utilizzati dai terroristi talvolta addirittura come tribunali. Le reali dimensioni di tali violenze non sono ancora oggi misurabili perchè queste zone sono ancora sotto il controllo dell’ISIS. Le fosse comuni che proprio in queste ore si stanno scoprendo nella città di Palmira, da pochissimo ripresa dall’esercito siriano, autorizzano le più fosche previsioni.

Nel mese di marzo 2014 bande armate provenienti dalla Turchia attaccano e conquistano la cittadina armena di Kessab e molti abitanti vengono trucidati. Quando, due mesi dopo, l’esercito siriano riuscirà a riprendere il controllo della città la troverà completamente devastata: case distrutte e depredate, chiese sfregiate, spezzate tutte le croci ed addirittura profanata la tomba di un sacerdote.

All’inizio del 2015 le milizie dell’ISIS attaccano i villaggi assiri della regione di Hassakà (nord est della Siria) i cui abitanti si erano rifiutati di eliminare le croci dalle loro chiese. Centinaia di persone, comprese donne e bambini, vengono rapite. Alcune saranno successivamente uccise, di altre ancora oggi si ignora la sorte. Sempre miliziani dell’ISIS assediano il centro cristiano di Saddad in provincia di Homs, strenuamente difeso dall’esercito e da una milizia locale, e riescono ad assassinare quarantacinque abitanti. In un caso tutti i membri di una famiglia (tra cui due adolescenti e tre dei loro nonni) vengono gettati dentro ad un pozzo. (1)

Queste diffuse ed efferate violenze hanno costretto decine di migliaia di Cristiani, ad oggi si calcola circa 450.000 ad abbandonare le loro case ed a rifugiarsi in zone più sicure o all’estero. E’ doveroso sottolineare il fatto che i Cristiani non sono stati le uniche vittime delle violenze dell’ISIS e delle altre formazioni islamiste. Alauiti, Sciiti e in genere appartenenti alle comunità religiose minoritarie hanno pagato un prezzo altissimo alle violenze estremiste in molti casi addirittura superiore a quello pagato dai cristiani. Questo dimostra come l’attacco portato alla Siria non miri semplicemente ad abbatterne il regime, ma a distruggerne il tessuto multiconfessionale per trasformarla in uno stato dominato da una visione toralitaria dell’Islam simile a quella che soffoca l’Arabia Saudita e che si sta impadronendo della Turchia.

EGITTO

La principale comunità cristiana dell’Egitto è la chiesa Copta, separatesi dall’ecumene Cattolica dopo il concilio di Calcedonia. I Copti, contrazione linguistica di Aegupti, sono gli Egizi originari e parlavano una lingua propria semitica oggi relegata dall’arabo al solo utilizzo liturgico. La loro consistenza numerica oscilla dal sei o sette per cento della popolazione, riconosciuto dalle fonti ufficiali governative, al dieci\quattordici per cento reclamato dalla comunità. Questa notevole differenza di stima è dovuta in parte alla diaspora in parte al fatto che, vista la perdurante condizione sociale sfavorevole dei non musulmani, molti cristiani non si qualificano come tali. La chiesa Copta ha una propria gerarchia con al vertice il Patriarca di Alessandria, il Papa dei Copti, carica ricoperta, dal 17 marzo del 2012, da Teodoro II. A fianco della chiesa Copta “ortodossa” troviamo una minoritaria Chiesa Copta uniate che riconosce l’autorità del Vescovo di Roma e i dogmi della Chiesa Cattolica. Sono altresì presenti variegate confessioni protestanti che prese singolarmente sono statisticamente irrilevanti. I Copti egiziani sono stati una comunità storicamente oppressa tranne che nel periodo che va dalla fine dell’ottocento alla rivoluzione nasseriana. In questo periodo, grazie sostanzialmente al protettorato europeo sull’Egitto, la comunità ebbe un ampio sviluppo economico e una vasta rappresentanza nell’amministrazione civile del paese. Con l’instaurazione della repubblica, l’ideologia di socialismo nazionale che ne sottintendeva i fondamenti giuridici portò alla nazionalizzazione delle attività economiche e alla epurazione dei funzionari già fedeli alla monarchia. Con il conseguente esodo delle famiglie facoltose e il ritorno nella condizione di cittadini di rango inferiore degli altri.

Se pure giuridicamente non rilevante l’essere cristiani nell’Egitto repubblicano divenne fonte di discriminazione quando non di persecuzione. Bisogna dire che a questo contribuì, se pur non in maniera determinante, la copertura che alcuni ambienti protestanti egiziani dettero alle attività dei servizi israeliani nel paese e l’avventura Anglo\Francese di Suez . La persecuzione ebbe il suo picco negli anni della presidenza Sadat quando il presidente, a seguito delle proteste per un attentato che aveva provocato, tra i copti, 17 morti e centinaia di feriti, aveva ordinato a Papa Shenuda III, il capo della Chiesa ortodossa copta, di ritirarsi in esilio nel monastero di San Bishoi. In aggiunta, otto vescovi, 24 sacerdoti e molti altri eminenti personalità copte furono posti agli arresti. Sadat sostituì la gerarchia ecclesiastica con un Comitato di 5 vescovi e considerò Papa Shenuda come fosse stato deposto. Dopo la morte di Sadat, sotto la presidenza Mubarak le condizioni sono leggermente migliorate dal punto di vista ufficiale ma non nella prassi sociale. Circa tre anni dopo l’assassinio di Sadat, il Presidente richiamò dall’esilio Papa Shenuda III d’Alessandria. Il 2 gennaio 1985 questi tornò al Cairo per celebrare la festività natalizia del 7 gennaio, e la folla che lo accolse fu valutata in più di 10.000 persone. Nonostante diverse limitazioni religiose che il governo ha mantenuto e le vessazioni subite dai gruppi islamici più radicali, i cristiani copti hanno goduto di diritti umani e religiosi relativamente migliori sotto Mubarak, con la loro festività del 7 gennaio riconosciuta come festività nazionale nel 2002. Le forme di discriminazione più rilevanti riguardano, come nella maggior parte dei paesi islamici, l’accesso alle cariche pubbliche e agli alti gradi delle forze armate, la possibilità di costruire luoghi di culto e di restaurare gli esistenti anche quando rappresentino monumenti artisticamente e storicamente rilevanti. In Egitto ad esempio la costruzione di nuove chiese era libera purché questa avvenisse ad una determinata distanza da una moschea. Per cui bastava che un imam aprisse una moschea in un locale situato vicino a dove doveva sorgere la nuova chiesa perché la licenza di costruzione venisse revocata. Per i restauri invece, le lungaggini della burocrazia per avere la licenza per attuare i lavori, lungaggini spesso giustificate derisoriamente con la necessità di preservare il valore artistico del monumento, rendevano la cosa quasi impossibile. Ben più grave poi era ed è la pratica, formalmente illegale ma ampiamente tollerata , del rapimento di ragazze cristiane per darle in sposa a musulmani. Su questa pratica odiosa è stato pubblicato, nel 2009, un rapporto sul fenomeno del rapimento di ragazze copte da parte di uomini musulmani. Il documento s’intitola «La scomparsa, la conversione forzata e i matrimoni forzati delle donne cristiane copte in Egitto» ed è stato redatto da Michele Clark (docente di Tratta di esseri umani alla George Washington University) e Nadia Ghaly, avvocata copta.

Negli ultimi anni della presidenza Mubarak poi, la crescita nella società egiziana dell’influenza dei Fratelli Musulmani, formalmente al bando ma presenti in tutti gangli della società civile e dello stato, ha portato ad una radicalizzazione di una parte della popolazione e al moltiplicarsi delle aggressioni contro i cristiani culminate negli assalti periodicamente perpetrati ai danni dei fedeli in uscita dalle chiese tra cui quello sanguinosissimo perpetrato il primo gennaio del 2011 ad Alessandria d’Egitto quando un integralista musulmano si è fatto esplodere dinanzi alla Chiesa copta dei Santi, nel quartiere di Sidi Bishr, causando la morte di 23 fedeli copti e il ferimento di numerosi altri che partecipavano ad una tradizionale cerimonia religiosa per l’anno nuovo.Dopo la caduta di Mubarak a seguito della cosiddetta primavera araba il vento persecutorio ha assunto i crismi dell’ufficialità con il tentativo dei Fratelli Musulmani andati al potere di imporre al paese la shari?a come legge fondamentale. Il colpo di stato del Generale Al Sisi ha fortunatamente interrotto questo processo e la messa al bando, questa volta effettiva dei Fratelli Musulmani, ha dato speranza alle comunità cristiane in special modo alla chiesa Copta “ortodossa”. Durante la sua presidenza è notevolmente cresciuta la libertà di religione e sono migliorate le condizioni di vita dei cristiani e dei non religiosi e sono state rimosse quasi tutte le discriminazioni ai danni dei non musulmani. Tra i provvedimenti presi dal nuovo governo c’è la liberalizzazione effettiva della costruzione di nuove chiese e il contributo statale al restauro delle esistenti. Al Sisi poi è stato il primo capo di Stato in tutta la storia dell’Egitto a partecipare alla festività natalizia del 7 gennaio (secondo il calendario copto) durante la quale ha tenuto un discorso, affiancato da papa Teodoro II di Alessandria, chiedendo l’unità degli egiziani e augurando ai cristiani un buon Natale.

Va da se che non ostante la volontà del nuovo governo di crearsi una base di consenso, tra le componenti ostili ai salafiti della società egiziana, il novo corso per ora riguarda il centro, le grandi città come il Cairo e Alessandria. Nelle città di provincia e nelle campagne, aree dove l’estremismo islamico ha trovato consenso la vita dei cristiani è ancora difficile. Lo testimoniano le denunce che si susseguono di aggressioni e soprusi spesso ignorate dalle autorità locali.

1) solo dopo la fine della stesura dell’articolo sono giunte le tremende notizie sul massacro, da parte dell’ISIS,  di oltre venti Cristiani a Quryateen, poco prima che la città venisse ripresa dalle truppe regolari siriane.

Fine seconda parte  

Massimo Granata – Mario Villani

prima parte

seconda parte

terza parte

Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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