Ucraina, il Festival LGBTQ+ comincia il Venerdì Santo. Davvero non c’era una data migliore?

Nel pieno di una guerra che ha sospeso le elezioni, chiuso partiti d’opposizione e messo sotto controllo la stampa, l’Ucraina trova però piena agibilità e risorse per ospitare un festival cinematografico LGBTQ+, il Sunny Bunny Queer Film Festival. Fin qui, nulla da eccepire se non fosse che l’evento ha avuto inizio proprio il Venerdì Santo, giornata centrale della fede cristiana, durante la settimana di Pasqua. Una coincidenza difficile da archiviare come casuale, soprattutto in un Paese in cui milioni di fedeli vivono ancora con serietà e devozione le ricorrenze religiose.

Un contesto di guerra ma libertà selettive

La questione non è tanto il contenuto del festival, quanto la stridente dissonanza tra ciò che viene consentito e ciò che viene soppresso nel Paese. L’Ucraina è in guerra dal 2022. Le elezioni politiche sono sospese a tempo indefinito, interi partiti sono stati sciolti con accuse di filorussismo, molti media indipendenti sono stati oscurati, e l’espressione del dissenso è fortemente limitata.

Tuttavia, l’organizzazione di un festival dedicato all’universo LGBTQ+ non solo è permessa, ma persino celebrata con grande visibilità e sostegno pubblico, compresi fondi, patrocinio internazionale e spazi pubblici riservati. Siamo di fronte a una libertà di espressione a geometria variabile, in cui alcune identità possono essere promosse senza riserve, mentre altre (politiche, religiose, culturali) vengono fortemente ridimensionate o persino silenziate.

Un festival “inclusivo”, ma solo per alcuni

Il Sunny Bunny Queer Film Festival è stato presentato come un gesto di resistenza culturale, con film da tutto il mondo, documentari, retrospettive storiche e perfino una sezione per bambini dai 12 anni in su. Ma qui sorge un paradosso: se l’inclusività è davvero il valore fondante, ha senso organizzare un festival che segrega per orientamento, creando un ambiente esclusivamente queer, con l’obiettivo dichiarato di “visibilizzare” una comunità, ma al prezzo di una nuova forma di separazione?

L’antidiscriminazione autentica, infatti, tende a normalizzare la presenza delle diversità nella società intera, non a costruire eventi dedicati a un’unica identità. Quando si eleva un’identità a protagonista assoluta, si rischia di scivolare dalla parità all’egemonia culturale. In questo senso, l’idea stessa di un festival “per” e “solo” LGBTQ+ finisce per rappresentare una forma di settarismo invertito, dove il dialogo con l’altro (culturale, religioso, tradizionale) viene escluso o addirittura irriso.

Il Venerdì Santo come simbolo di frattura

A tutto questo si aggiunge la scelta della data: il 18 aprile 2025, Venerdì Santo. Gli organizzatori si sono giustificati affermando che “l’Ucraina è uno Stato laico”. Ma uno Stato laico non è uno Stato anticristiano. Il rispetto per le minoranze – siano esse sessuali, religiose o politiche – dovrebbe valere per tutti, anche per chi crede. Far iniziare un evento così controverso proprio nel giorno in cui milioni di cristiani commemorano la crocifissione di Cristo appare come una provocazione gratuita, oppure come l’ennesimo segnale di una secolarizzazione aggressiva, in cui le sensibilità religiose sono trattate con sufficienza o, peggio, disprezzo.

Conclusione

Sia chiaro: nessuno mette in discussione il diritto di ogni persona a vivere la propria identità senza persecuzioni o discriminazioni. Ma c’è un limite tra libertà individuale e imposizione culturale. Quando uno Stato in guerra sospende la democrazia, ma promuove con orgoglio ideologie identitarie, celebrando pubblicamente ciò che dovrebbe rimanere nella sfera privata e ignorando volutamente i sentimenti religiosi del proprio popolo, qualcosa non torna.

Forse la domanda da porsi non è solo “perché proprio il Venerdì Santo?”, ma che tipo di libertà vogliamo davvero difendere.