Trump, Zelensky: posture, diplomazia e prospettive di guerra

Durante il funerale di Papa Francesco, si è consumato un momento chiave nelle trattative per la fine della guerra in Ucraina e per le sorti dell’Europa e del mondo intero: l’incontro tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky.

Sebbene rapido, l’incontro ha offerto preziosi indizi sullo stato delle relazioni tra Washington e Kiev, non solo attraverso le parole, ma soprattutto tramite il linguaggio del corpo dei due leader. La breve interazione, analizzata nei dettagli da esperti di comunicazione non verbale, ha mostrato un Trump meno energico del solito, con postura leggermente chiusa e piedi arretrati, a segnalare una forma di resistenza e prudenza. Zelensky, invece, inizialmente fiducioso e aperto, ha cambiato rapidamente espressione passando a un evidente nervosismo quando ha capito che avrebbe dovuto affrontare Trump senza l’appoggio di Emmanuel Macron, come sperava (vedi qui: “Body Language Analysis of Trump and Zelensky’s Vatican Meeting”).

La rimozione preordinata della terza sedia, orchestrata da Trump per impedire a Macron di partecipare, ha chiarito plasticamente il suo intento di gestire da solo l’incontro, mantenendo pieno controllo sull’interazione. Questo linguaggio del corpo incerto di Trump si riflette anche nelle sue recenti scelte politiche. Se da una parte il presidente americano ha mostrato segni di maggiore ragionevolezza rispetto al suo predecessore, dall’altra permangono ancora incertezze significative sulla sua capacità di indirizzare una politica estera coerente con il suo originario intento di far ‘terminare la guerra in 24 ore’.

Non si può infatti dimenticare il fatto che il suo predecessore, Joe Biden, sia stato definito da un giudice degli Stati Uniti come “incapace di intendere e di volere” nel contesto della causa sui documenti top secret custoditi nel suo garage. Una dichiarazione di gravità inaudita, che rivela due verità fondamentali e drammatiche: in primo luogo, che per anni la principale superpotenza mondiale è stata guidata da un uomo considerato giuridicamente incapace di assumersi responsabilità legali; in secondo luogo, che il potere esecutivo era di fatto esercitato da forze esterne alla presidenza, quelle che Trump denuncia da tempo come ‘Deep State’.

Una consapevolezza che oggi pesa anche sull’attuale presidenza, rendendola vulnerabile alle stesse enormi pressioni occulte, capaci di orientare politiche e decisioni ben oltre la volontà ufficiale del Presidente. Nonostante le parole spesso dure verso Zelensky e la sua rigidità, Trump non ha interrotto il supporto a Kiev. Anzi, dopo il colloquio con Zelensky, ha minacciato di imporre nuove ulteriori pesanti sanzioni contro Mosca, criticando apertamente Vladimir Putin per i recenti attacchi missilistici su obiettivi civili in Ucraina: “Troppe persone stanno morendo!!!”, ha scritto su Truth Social (questo è stato riferito al presidente dell’Estonia e riportato da fonti come MSN ).

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Questa posizione appare ancora più significativa alla luce del fatto che l’accordo USA-Russia prevede il riconoscimento della Crimea come parte della Russia — una concessione che sembrava indicare un allentamento della pressione americana su Mosca. Tuttavia, il 26 aprile, nonostante tale ipotesi di accordo fosse già discussa, l’Ucraina ha ugualmente  preso di mira la Crimea con una serie di attacchi condotti tramite droni. Inoltre, è rilevante che proprio durante i colloqui tra l’inviato russo per negoziare la pace con Putin a Mosca, l’Ucraina abbia ucciso un alto ufficiale russo dello Stato Maggiore, sempre nella Capitale (il capo della Direzione Operativa Principale dello Stato Maggiore delle Forze Armate russe, Yaroslav Moskalik).
Questi attacchi avrebbero dovuto ragionevolmente indurre Trump a opporre a Zelensky un ultimatum e ad assumere una posizione più dura. Tuttavia, invece, la faccenda si è inopinatamente risolta con la minaccia di ulteriori sanzioni contro la Russia. Onestamente è difficile captare il senso di un simile comportamento da parte del presidente statunitense.

Questo fa restare ancora più sconcertati, visto che il Washington Post ha rivelato che l’amministrazione Trump sta negoziando accordi commerciali con 75 paesi per aumentare le esportazioni statunitensi. Tra questi, spicca l’Ucraina, che avrebbe proposto di acquistare armi americane 50 miliardi di dollari,, in un piano che mira sia a rafforzare la difesa contro la Russia sia a stimolare l’industria bellica americana. Tale vendita sarebbe inserita in un possibile “accordo di pace definitivo”, ma si tratta al momento di ipotesi più vicine ai desideri di alcuni ambienti neoconservatori che a una realtà concreta.

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Non è quindi strano che Mosca si muova sulla sua strada in modo indipendente e con un certo scetticismo. È stata confermata la presenza di truppe nordcoreane a supporto della Russia nella regione di Kursk, in base all’accordo di partenariato strategico firmato tra Mosca e Pyongyang. Questo sviluppo indica la nascita di una vera e propria alleanza militare eurasiatica, che complica ulteriormente le possibilità di un rapido cessate il fuoco.

Fa da corollario a tutto questo l’escalation tra l’India e il Pakistan e l’esplosione del principale porto iraniano (e non proseguo elencando tutte le altre aree di crisi aperte attualmente in Siria, Gaza, Yemen, ecc.).

In questo contesto, il sogno di Trump di chiudere rapidamente il conflitto “in 24 ore” rischia di naufragare, anche a causa della freddezza con cui l’Europa accoglie i suoi tentativi di mediazione. Senza un cambiamento improvviso e al momento imprevedibile, è plausibile che la guerra continui seguendo il suo corso attuale, fino a una probabile resa di Kiev.

Trump troppo incerto tra “interessi” nazionali e pace

Alla luce di quanto osservato, il presidente Trump appare oggi come una figura sospesa tra ragionevolezza e incertezza. Se da un lato ha compiuto passi concreti per mantenere il sostegno a Kiev e mostrare fermezza verso Mosca, dall’altro il suo atteggiamento esitante — tanto nel linguaggio del corpo quanto nella gestione politica — rivela una leadership fortemente condizionata da forze esterne.
L’evidenza che un presidente americano sia stato dichiarato incapace di intendere e di volere svela senza possibilità di smentita l’esistenza di centri di potere paralleli e indipendenti, capaci di governare oltre i risultati elettorali.
Queste dinamiche non sembrano essersi esaurite e continuano a influenzare profondamente la Casa Bianca, lasciando aperti dubbi inquietanti sulla reale autonomia di chi oggi guida gli Stati Uniti.
In tale scenario, la possibilità di porre fine rapidamente al conflitto appare per ora allontanarsi: le forze in gioco sembrano decise a trascinare la guerra fino al suo epilogo naturale, con tutte le tragiche conseguenze che questo comporterà in termini di distruzione, di caduti in guerra e di vittime civili.