Il 4 giugno 2025, per un’ora e un quarto, due dei protagonisti della geopolitica contemporanea si sono parlati: Vladimir Putin e Donald Trump hanno tenuto una conversazione telefonica definita da entrambi “costruttiva” e “amichevole”. Un evento che, al di là della retorica, lascia intravedere l’ombra di una possibile transizione. Ma una transizione verso cosa? Una nuova fase di confronto equilibrato tra le superpotenze, o l’inizio di un progressivo disimpegno americano in Europa, destinato a sacrificare l’Ucraina come prezzo da pagare per ristabilire un ordine multipolare?
Istanbul, Bryansk e il “bilanciamento degli interessi”
Secondo fonti vicine al Cremlino, il presidente russo ha aggiornato Trump sugli sviluppi dei negoziati russo-ucraini tenutisi a Istanbul. Nonostante le continue provocazioni militari di Kiev – in particolare un’offensiva pianificata nella regione di Bryansk – Mosca ha mantenuto un atteggiamento formale di apertura diplomatica. Ma ciò che colpisce di più è quanto trapela da alcuni canali informali, secondo cui nel colloquio si sarebbe parlato di un vero e proprio algoritmo per il bilanciamento degli interessi tra Russia e Stati Uniti.
“I just finished speaking, by telephone, with President Vladimir Putin, of Russia. The call lasted approximately one hour and 15 minutes…” – President Donald J. Trump pic.twitter.com/LUe38UcoHQ
— The White House (@WhiteHouse) June 4, 2025
Un’indicazione eloquente: la Casa Bianca trumpiana, pur senza riconoscimenti pubblici, starebbe concedendo alla Russia margini di manovra più ampi, legittimandone di fatto alcune linee rosse, a cominciare dalla neutralizzazione dell’Ucraina. Un realismo freddo, che smaschera il feticcio dell’“unità dell’Occidente” e riconduce la politica estera americana a un baricentro nazionale, non più ideologico.
Il silenzio americano sugli attacchi in Russia
Nel frattempo, la Russia è stata bersaglio di un’ondata di attacchi contro aeroporti strategici, in particolare quelli che ospitano i bombardieri a lungo raggio della sua triade nucleare. Le autorità di Mosca attribuiscono gli attacchi all’Ucraina, ma le modalità operative lasciano supporre il coinvolgimento di intelligence occidentali. E qui entra in gioco un dettaglio rivelatore: Trump, pur definendo il colloquio “amichevole”, ha evitato qualsiasi condanna o monito nei confronti di Mosca per una possibile reazione. Nessun accenno a sanzioni, nessuna invocazione alla moderazione.
Questa ambiguità appare come una dichiarazione indiretta: Trump non ha intenzione di difendere l’Ucraina a oltranza e sembra volerla trattare come una variabile subordinata nei rapporti con la Russia. È un segnale che non è passato inosservato nemmeno nei circoli europei più atlantisti.
Chi comanda davvero in America? Il nodo dell’intelligence
Tuttavia, c’è una contraddizione strutturale che potrebbe vanificare l’intera strategia trumpiana: il sospetto – sempre più fondato – che l’intelligence americana non risponda più pienamente alla presidenza. Alcune fonti e analisti indipendenti suggeriscono che gli attacchi alle basi russe non sarebbero stati autorizzati dalla Casa Bianca, ma decisi da agenzie che operano con logiche proprie.
Se fosse vero, ci troveremmo di fronte non solo a una crisi diplomatica, ma a una frattura interna al sistema statunitense. Una frattura che ridurrebbe Trump a una figura indebolita, incapace di tenere a freno gli apparati militari e di sicurezza. La stessa apertura verso Mosca, allora, potrebbe rivelarsi illusoria, compromessa da centri di potere paralleli.
Iran e Medio Oriente: Mosca come intermediario
Un altro elemento poco sottolineato, ma di grande rilevanza, è l’apertura di Trump verso la Russia sul dossier iraniano. Secondo fonti non ufficiali, il presidente americano avrebbe chiesto a Putin di mediare nei negoziati sul programma nucleare di Teheran. Una mossa che riconosce implicitamente l’influenza della Russia in Medio Oriente, in un contesto dove Washington si trova isolata e senza soluzioni credibili.
Ma qui si apre un altro fronte critico: Israele. Qualsiasi segnale di legittimazione del ruolo russo in Iran sarà letto da Tel Aviv come un tradimento strategico. Non è escluso, quindi, che nei prossimi mesi crescano le tensioni tra Washington e lo storico alleato israeliano, in nome di un equilibrio che Trump sembra voler rinegoziare a tutto campo.
Verso un nuovo ordine globale?
Il colloquio del 4 giugno potrebbe rappresentare l’inizio di un nuovo assetto mondiale, basato non su ideologie e alleanze blindate, ma sul riconoscimento pragmatico degli interessi. Un ritorno al realismo, alla diplomazia dei rapporti di forza e non dei valori astratti. Tuttavia, l’apertura resta fragile, esposta a due fattori destabilizzanti: il ruolo opaco dell’intelligence americana e l’assenza di garanzie concrete sul destino dell’Ucraina.
In questo scenario, l’Europa appare irrilevante: osserva, commenta, ma non incide. I suoi leader si affannano a denunciare il rischio di un disimpegno americano, ma non sembrano capaci di proporre una linea autonoma né verso Kiev né verso Mosca.
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Sul colloquio del 4 giugno 2025:,,,
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Sul ruolo della Russia in Medio Oriente: https://www.nytimes.com/2025/05/20/world/middleeast/israel-iran-tensions.html
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Sulle reazioni europee: https://www.bbc.com/news/world-us-canada-2025-05-29
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Sull’attacco agli aeroporti russi: https://t.me/Taynaya_kantselyariya/12601
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