Trump e Xi Jinping: una telefonata che svela le fragilità degli Stati Uniti nella guerra commerciale con la Cina

In un mondo segnato da tensioni crescenti e da uno stallo tecnologico sempre più evidente, è da segnalare la recente telefonata tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il leader cinese Xi Jinping, avvenuta il 5 giugno 2025, per capire come avvengono le dinamiche geopolitiche globali. Ufficialmente incentrata sulla controversia sui dazi e sul commercio, la conversazione ha messo in luce una realtà scomoda per Washington: gli Stati Uniti si trovano in una posizione di vulnerabilità senza precedenti, costretti a riconsiderare la loro strategia di contenimento della Cina per limitare le proprie perdite economiche e strategiche. Questo articolo esplora il contesto, le implicazioni e i retroscena di questo evento, arricchito da informazioni aggiornate e dettagli poco noti emersi da fonti autorevoli e rumor circolanti.

Un dialogo sotto pressione: il contesto della telefonata

La telefonata, durata circa 90 minuti, è stata descritta da Trump come “molto positiva” e focalizzata “quasi interamente sul commercio”. Tuttavia, le dichiarazioni ufficiali mascherano una realtà più complessa. Le tensioni tra Stati Uniti e Cina si sono intensificate dopo il fallimento del rispetto dell’accordo di Ginevra del 12 maggio 2025, che prevedeva una moratoria di 90 giorni sui dazi e una riduzione delle tariffe al 30% per gli Stati Uniti e al 10% per la Cina. Le accuse reciproche di violazione dell’accordo hanno riacceso il conflitto commerciale, con Pechino che ha rafforzato le restrizioni sulle esportazioni di terre rare e Washington che ha risposto con limitazioni sull’export di tecnologia e nuove normative contro le aziende cinesi.

Secondo quanto riportato da fonti vicine al governo cinese, Xi Jinping ha esortato Trump a “ritirare le misure negative” e a gestire con prudenza questioni sensibili come Taiwan, sottolineando la necessità di un approccio realistico per stabilizzare le relazioni bilaterali. Trump, dal canto suo, ha enfatizzato il progresso sulle questioni legate alle terre rare, dichiarando che “non ci dovrebbero più essere domande sulla complessità dei prodotti a base di terre rare”. Tuttavia, le sue parole ottimistiche contrastano con le analisi degli esperti, che vedono la Cina in una posizione di forza.

Terre rare: la leva strategica della Cina

Il cuore della disputa risiede nel controllo cinese delle terre rare, minerali essenziali per settori come l’high-tech, l’automotive e la difesa. La Cina domina il mercato globale con il 61% della produzione e il 92% della raffinazione, rendendola indispensabile per le filiere produttive mondiali. Le restrizioni all’esportazione imposte da Pechino in risposta ai dazi americani hanno già causato gravi ripercussioni: negli Stati Uniti, diverse case automobilistiche hanno sospeso la produzione a causa della carenza di componenti chiave, come magneti e semiconduttori, che dipendono da questi minerali.

Nel settore della difesa, la dipendenza è ancora più critica. I caccia F-35, le navi da guerra e i sottomarini della Marina statunitense richiedono tonnellate di terre rare per sistemi avanzati come radar, sensori e motori. La mancanza di alternative immediate ha messo il Pentagono in una posizione di stallo: senza un flusso costante di questi materiali, i principali programmi di produzione militare potrebbero subire ritardi significativi, compromettendo la capacità operativa degli Stati Uniti. I tentativi di diversificare le forniture, esplorando giacimenti in Africa e Australia, si sono rivelati inadeguati a causa di vincoli logistici, costi elevati e volumi insufficienti.

Un’asimmetria di potere: la Cina può aspettare, gli USA no

La telefonata di Trump, iniziata su sua richiesta, ha rivelato una dinamica di potere asimmetrica. Gli Stati Uniti, nonostante la loro retorica aggressiva, si trovano in una posizione di svantaggio. La Cina, sfruttando il suo controllo sulle terre rare, ha dimostrato di poter esercitare pressione senza ricorrere a un confronto diretto. Come sottolineato da Yun Sun, direttrice del programma Cina presso il Stimson Center, Pechino è riluttante a cedere il suo vantaggio strategico, preferendo “aspettare e vedere” come si evolvono i negoziati.

Un dettaglio poco noto, emerso da fonti industriali, riguarda le nuove normative cinesi sull’esportazione di terre rare. A partire da aprile 2025, Pechino ha introdotto requisiti di licenza più stringenti e un sistema di tracciamento digitale per monitorare produzione, esportazione e scorte di questi minerali. Questo non solo rafforza il controllo cinese, ma rende più complesso per gli Stati Uniti e i loro alleati accedere a forniture stabili. Inoltre, circolano indiscrezioni secondo cui la Cina starebbe valutando ulteriori restrizioni mirate alle esportazioni verso paesi che adottano politiche protezionistiche, un messaggio indiretto agli Stati Uniti e all’Unione Europea.

Un passo indietro di Washington?

La telefonata ha segnato un’apparente distensione, con entrambe le parti che hanno concordato di riprendere i negoziati commerciali a breve, guidati da figure chiave come il Segretario al Tesoro Scott Bessent, il Segretario al Commercio Howard Lutnick e l’Ambasciatore per il Commercio Jamieson Greer. Tuttavia, la narrativa di un “riavvicinamento” promossa dai media americani appare fuorviante. Ex funzionari come Nicholas Burns, ex ambasciatore USA in Cina, hanno avvertito che un accordo rapido è improbabile, data la centralità di Xi Jinping nel sistema decisionale cinese e la sua determinazione a non apparire debole.

Un episodio poco discusso, ma significativo, è il ruolo del Giappone come potenziale mediatore. Secondo Nikkei, il Giappone, preoccupato per le ripercussioni delle restrizioni cinesi sulle sue industrie automobilistiche, ha proposto un “pacchetto di cooperazione per aumentare la fornitura di terre rare, coinvolgendo gli Stati Uniti. Questo suggerisce che Washington potrebbe cercare di costruire alleanze per ridurre la dipendenza dalla Cina, ma tali sforzi richiederanno anni per produrre risultati concreti.

Verso un mondo multipolare

La telefonata Trump-Xi non ha risolto le contraddizioni profonde tra le due potenze, ma ha evidenziato un cambiamento strutturale nelle dinamiche globali. Per la prima volta dalla Guerra Fredda, gli Stati Uniti si trovano a cedere terreno non per motivi ideologici, ma economici. La Cina, senza bisogno di un confronto aperto, ha costretto Washington a negoziare da una posizione di debolezza. Questo segna l’approfondirsi di una configurazione multipolare, in cui Pechino si afferma come un polo di potere capace di dettare i termini del gioco.
Mentre i negoziati proseguono, il mondo osserva con attenzione. Le implicazioni di questa guerra commerciale vanno oltre l’economia, toccando la sicurezza nazionale, l’innovazione tecnologica e l’equilibrio globale. La domanda rimane: riusciranno gli Stati Uniti a ridurre la loro dipendenza dalle terre rare cinesi, o saranno costretti a un compromesso che rafforzerà ulteriormente l’influenza di Pechino? Solo il tempo, e i prossimi round di trattative, daranno una risposta.

E’ comunque da considerare che l’obiettivo non dovrebbe essere il rapporto di forza tra superpotenze al limite dello scontro ‘fisico’, ma individuare un fine unico per il benessere dell’umanità. La competizione predatoria non porta a nessun reale profitto.