Quella che fino a pochi mesi fa sembrava un’alleanza strategica tra due icone dell’America anti-sistema — Donald Trump ed Elon Musk — è oggi sul punto di trasformarsi nel detonatore di una restaurazione dell’establishment. Il loro violento scontro pubblico, apparentemente riducibile a divergenze personali e accuse reciproche, nasconde in realtà una frattura profonda all’interno del fronte sovranista. E questa frattura, se non verrà ricomposta, potrebbe spalancare la via a un ritorno dei neoconservatori e dei globalisti.
Musk, che con la piattaforma X aveva fornito un’alternativa alla censura dei social tradizionali e promosso un’agenda tecnologica vicina ai temi MAGA, ha rotto platealmente con il presidente. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la sua critica alla proposta fiscale “One Big Beautiful Bill” di Trump, definita da Musk pericolosa per l’economia e causa di una recessione imminente (Business Insider).
Durante un’intervista alla NBC News sabato scorso, Trump ha confermato la rottura:
“Sì, suppongo che il nostro rapporto sia finito. È stato molto irrispettoso verso l’ufficio del Presidente. Non si può mancare di rispetto alla carica”.
Trump ha inoltre minacciato “gravi conseguenze” nel caso Musk decidesse di finanziare candidati democratici:
“Se lo fa, dovrà pagarne le conseguenze. Conseguenze molto gravi.”
Nel frattempo, Musk ha cercato di abbassare il livello dello scontro, cancellando diversi post incendiari su X — tra cui uno in cui insinuava che Trump fosse coinvolto nei cosiddetti “file Epstein”, e un altro in cui minacciava di sospendere il programma spaziale Dragon di SpaceX (fonte).
Tuttavia, il danno politico sembra fatto. Il vicepresidente J.D. Vance, intervistato nel podcast This Past Weekend, ha definito l’attacco di Musk a Trump “un enorme errore” (vedi Business Insider):
“Non è saggio per uno degli imprenditori più brillanti del nostro tempo mettersi in guerra con il presidente degli Stati Uniti.”
Musk ha risposto in tono più conciliante: “Fantastico”, lasciando aperta una possibile distensione. Ma nel frattempo, gli effetti collaterali si moltiplicano:
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Le azioni Tesla hanno subito un calo del 9%, bruciando oltre 30 miliardi di dollari in capitalizzazione (Reuters).
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Il valore del Dogecoin — da tempo associato a Musk — ha risentito negativamente della disputa.
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Un alto funzionario della Casa Bianca ha confermato che Trump sta valutando di vendere la sua Tesla personale.
Un’opportunità per i nemici interni di Trump
Questo scontro al vertice viene già strumentalizzato dalle élite ostili a Trump: esponenti neocon, centristi repubblicani e l’apparato mediatico liberal vedono in questa rottura l’occasione perfetta per:
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frammentare il blocco sovranista,
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isolare Trump nel GOP,
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e rilanciare una destra compatibile con l’ordine globalista post-2020.
Il rischio più concreto è che senza Musk, il movimento MAGA perda il suo principale collegamento con il mondo tecnologico e l’immagine di modernità pragmatica che lo distingueva. Trump, da figura aggregante, rischia di restare unico bersaglio di una campagna condotta contemporaneamente da democratici, finanza internazionale e “falchi” interni al Partito Repubblicano.
In questo quadro, le elezioni di medio termine del 2026 potrebbero rivelarsi cruciali. Un Congresso a guida democratica, in un contesto di disgregazione dell’area sovranista, potrebbe neutralizzare ogni tentativo di riforma profonda e ricondurre il paese sotto la guida delle élite che Trump ha sempre sfidato.
Un litigio? No, una faglia geopolitica
Non si tratta semplicemente di un alterco tra due ego monumentali. È la manifestazione visibile di una crisi sistemica del progetto sovranista americano, nel momento in cui dovrebbe consolidarsi. Se non sarà ricomposta, questa frattura potrebbe segnare l’inizio della fine di un ciclo politico, e aprire un’autostrada al ritorno delle forze che da anni lavorano per restaurare un’America sottomessa al globalismo finanziario e militare.