Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha impresso una svolta clamorosa alla narrativa internazionale sulla guerra in Ucraina. Trump ha scelto Time per rilanciare il suo approccio, destinato a rompere i vecchi schemi: la guerra – ha detto – è responsabilità diretta di Kiev e di chi ha spinto per l’adesione dell’Ucraina alla NATO. Un’accusa pesante, che ribalta completamente il racconto occidentale degli ultimi anni, ovvero di chi oggi grida alla tragedia mentre si arricchisce con l’industria bellica. In un’intervista esplosiva (Time, 24 aprile 2025), Trump non ha risparmiato nessuno: né i falchi di Washington, né i leader europei, né tantomeno Volodymyr Zelensky, dipinto come un attore che recita un copione scritto altrove.
Interrogato sulla promessa di “porre fine alla guerra il primo giorno“, Trump ha risposto che si trattava di una “metafora“, utile a chiarire il concetto di fondo: “Questa guerra non ci sarebbe mai stata se fossi stato presidente. È la guerra di Joe Biden”. Una risposta tanto lapidaria quanto efficace nel puntare il dito contro la gestione democratica degli affari internazionali. Ma non è solo una questione di parole: Trump sta già muovendo le pedine per trasformare la retorica in azione, scavalcando un establishment che sembra incapace di uscire dal pantano ucraino.
Crimea, la verità scomoda
L’aspetto più deflagrante dell’intervista riguarda la Crimea: “La Crimea rimarrà alla Russia“. Trump non solo riconosce la realtà di un’annessione di fatto, ma sottolinea come sia stato Barack Obama, non certo lui, a permettere che la penisola finisse sotto il controllo di Mosca nel 2014. È una posizione che spezza il fronte dell’indignazione ipocrita: dopo dieci anni di retorica sulla “restituzione” della Crimea, Trump mette a nudo ciò che ormai è evidente a tutti ma che nessuno osa dire apertamente. La Crimea è russa, de facto e de jure, per chiunque guardi la mappa senza paraocchi ideologici. Come riportato da Reuters (26 aprile 2025) questa dichiarazione ha scatenato reazioni furibonde a Kiev e tra i falchi della NATO, ma ha anche trovato eco tra chi, in Europa e negli USA, inizia a chiedersi se valga davvero la pena morire per un’utopia geopolitica.
Diplomazia parallela: il canale Trump-Putin
Mentre il presidente parlava a Time, a Mosca andava in scena una diplomazia silenziosa ma gravida di conseguenze. Steve Whitkoff, inviato speciale di Trump, ha incontrato per tre ore Vladimir Putin. Nessun annuncio ufficiale, ma un messaggio chiaro: si cerca un terreno comune per riprendere i colloqui diretti tra Mosca e Kiev, superando il vuoto diplomatico creato dall’amministrazione Biden. Fonti vicine al Cremlino, citate da TASS (25 aprile 2025), hanno descritto l’incontro come un passo verso una “diplomazia navetta”, un canale parallelo che bypassa i rituali stantii delle cancellerie occidentali. Trump non si limita a dichiarare l’intenzione di fermare la guerra: sta già lavorando per farlo, costruendo ponti dove altri hanno eretto muri.
Questo approccio pragmatico, tuttavia, non è privo di rischi. La reazione di Kiev è stata immediata e violenta, segno che la prospettiva di un negoziato reale spaventa chi ha fatto della guerra la propria raison d’être.
Un attentato che parla chiaro
Non tutti gradiscono questa svolta. Proprio durante la visita di Whitkoff, un attentato ha ucciso a Mosca il tenente generale Yaroslav Moskalik, figura chiave dello Stato Maggiore russo. L’attacco, attribuito agli ambienti legati a Kiev (BBC, 26 aprile 2025), suona come un messaggio brutale: chi tratta la pace rischia la vita. È un’escalation che conferma come il governo Zelensky si stia radicalizzando, tentando il tutto per tutto pur di mantenere il sostegno occidentale. L’attentato non è un episodio isolato: segue una serie di operazioni coperte attribuite ai servizi ucraini, che sembrano voler alzare la posta in gioco proprio mentre il consenso internazionale per la causa di Kiev vacilla.
La coincidenza con l’ottantesimo anniversario dell’incontro delle truppe americane e sovietiche sull’Elba, celebrato il 25 aprile 1945, non può passare inosservata. Quel momento storico, simbolo di un’alleanza contro un nemico comune, è oggi un monito drammatico: l’Occidente e la Russia, un tempo alleati, sono tornati a guardarsi come nemici. Ma Trump sembra voler riscrivere questa storia, non con la nostalgia, ma con il realismo.
Zelensky in difficoltà: Roma può attendere
In questo quadro, la decisione di Zelensky di cancellare la visita a Roma per i funerali del Papa appare significativa. Evitare Trump? Evitare nuove umiliazioni pubbliche? Probabilmente entrambe le cose. Il presidente ucraino, sempre più isolato, capisce che il vento sta cambiando. La sua assenza dalla scena romana, riportata da ANSA (26 aprile 2025), è un segnale di debolezza: Zelensky sa che il suo racconto epico di resistenza sta perdendo appeal. La retorica del “combatteremo fino all’ultimo” rischia di trovare ben pochi ascoltatori, ora che l’America stessa sembra intenzionata a chiudere il capitolo Ucraina.
A Kiev, Zelensky si ritrova a gestire una situazione interna sempre più precaria. Le proteste contro la leva obbligatoria si intensificano, come documentato da Al Jazeera (20 aprile 2025) , mentre l’economia ucraina, tenuta in piedi solo dagli aiuti occidentali, è al collasso. La narrazione di un’Ucraina unita e invincibile si sgretola sotto il peso della realtà: la guerra ha devastato il paese, e la prospettiva di una vittoria militare contro la Russia è ormai un miraggio.
Europa spiazzata, ma costretta a seguire
L’Europa, nel frattempo, si trova spiazzata. I leader di Bruxelles, abituati a seguire la linea di Washington, devono ora confrontarsi con un’America che non vuole più fare la guerra per procura. La Germania, che ha investito miliardi in aiuti militari, e la Francia, con le sue ambizioni di grandeur, sono costrette a riconsiderare le loro posizioni. Come sottolineato da Le Monde (25 aprile 2025), la svolta di Trump potrebbe spingere l’Europa a cercare una propria strategia, ma il rischio è che il Vecchio Continente si ritrovi diviso, con paesi come l’Ungheria e la Slovacchia già propensi a sostenere un negoziato con Mosca.
Peraltro giunge notizia che ci sono problemi anche con il riarmo: il piano del leader della CDU/CSU, di Friedrich Merz, per superare il freno al debito tedesco (Schuldenbremse) e istituire un fondo speciale da 500 miliardi di euro per infrastrutture, difesa e transizione climatica confligge con le NORME UE. Uno studio del think tank Bruegel, riportato da Handelsblatt, sostiene che questo piano potrebbe violare le norme fiscali dell’UE, in particolare quelle del Patto di Stabilità e Crescita riformato, che limita il debito pubblico al 60% del PIL e richiede che le spese siano compensate da risparmi altrove. La Germania, con un debito al 63,4% del PIL nel 2024, è già al di sopra di questa soglia.
La pace possibile, ma a che prezzo?
E’ altamente simbolico: per Zelensky è meglio restare a Kiev, a raccogliere macerie e tweet di solidarietà. La verità, ormai, è sotto gli occhi di tutti: l’era della guerra infinita sta finendo. E a guidare il cambiamento è ancora una volta Donald Trump, in questo contesto l’unico leader che osa dire la verità: la pace non si costruisce con le menzogne, ma con il riconoscimento della realtà. Ma quale sarà il prezzo di questa pace? Per l’Ucraina, potrebbe significare accettare perdite territoriali e una neutralità forzata (ma del resto tutti i problemi erano risorvibili sin dal 2014 con la diplomazia). Per la Russia, la pace vorrà dire un riconoscimento internazionale della sua sfera d’influenza. Per l’Occidente, un’ammissione di fallimento strategico.
Trump, con il suo pragmatismo spietato, sta costringendo il mondo a guardare in faccia queste verità scomode. Questo è i motivo perchè giudico Trump migliore dei suoi colleghi europei. Una cosa è certa: il copione della guerra in Ucraina è stato strappato.