The Debater: “Non basta insegnare per essere insegnanti”

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di Michelangelo Socci – The Debater

Il dramma dell’istruzione, oggi, è la mancanza d’insegnanti con la vocazione da insegnante.

Nella “Lettera ai dirigenti dell’Unione Sovietica”, Aleksandr Solzenicyn scriveva: “avremo una scuola vera quando l’insegnamento sarà affidato a persone che ne abbiano la vocazione”.

Cosa s’intende per vocazione? Potremmo definirla come l’ “avere un talento per”, l’ “essere portati per”.

Il talento necessario, indispensabile per un professore è analogo a quello del leader.

Un leader non è tanto un trascinatore di folle o il tipico rivoluzionario anticonformista in lotta con la società. È un uomo comune, in grado di rendere una persona ordinaria consapevole della propria straordinarietà.

Qual è la straordinarietà di ogni uomo? L’esistenza.

Esistere significa, per chi lo vuole, lavorare, faticare, soffrire e gioire per uno scopo, quindi per una ragione.

Ma qual è la ragione per cui viviamo?
Una misteriosa promessa di felicità che intuiamo dietro a tutte le cose.

È misteriosa perché percepibile, ma non afferrabile. Alcuni, come i poeti, riescono a darne un’immagine più delineata, eppure resta sempre legata alla sua natura di Mistero.

È anche vero, però, che la felicità, per essere tale, dev’essere eterna, deve durare per sempre (nessuno che desideri sinceramente essere felice vorrebbe esserlo per qualche istante).

Tuttavia in questo mondo le cose passano e la promessa sembra sempre essere disattesa.

Di fronte a questa costante possiamo adottare due posizioni.

Quella irragionevole, scettica, che censura la promessa o la riduce e quella ragionevole: data la promessa, bisogna che ci sia un soggetto che promette e un oggetto promesso.

Se di quest’ultimo scorgiamo continui frammenti nelle cose belle senza mai afferrarlo del tutto, significa che la sua origine e pienezza si trovano altrove.

Allora la felicità dev’essere necessariamente legata all’Eternità. La scorgiamo, ma ancora non la vediamo.

Dunque lo scopo di ogni uomo, la sua piena realizzazione, è l’Eternità.

La vocazione del professore consiste proprio in questo: essere in grado di destare nello studente la passione, l’amore, l’ardore per il fine di tutte le cose.

Nel film “il Gladiatore”, c’è una scena in cui il protagonista afferma solennemente: “Fratelli! ciò che facciamo in vita riecheggia nell’Eternità!”

Questo significa che NIENTE di quel che viviamo è destinato a consumarsi nel nulla.

Non è forse il nulla che terrorizza ogni ragazzo (e uomo)?

Ecco perché in molti si buttano nella droga, nell’alcool, negli eccessi o si annichiliscono nelle paludi mortifere del pensiero dominante: per dimenticarsi del baratro che incombe, il nulla, cioè la mancanza dello scopo.

L’educatore, nel rispetto della libertà dell’educando, ha il compito di salvarlo da questa distrazione.

L’insegnamento dev’essere il mezzo grazie al quale l’alunno viene sempre riportato alla questione fondamentale: “Per cosa vivo? Perché vivo?” (le domande che spazzano via ogni menzogna).

Questo è possibile ad una condizione: i contenuti studiati devono essere comunicati in modo tale da essere intrinsecamente legati alla vita, allo scopo della quotidianità, all’Eternità.

C’è solo un modo per insegnare la “Vita Nova” di Dante: far capire che la commovente promessa di gioia che Dante prova guardando Beatrice è la stessa dell’alunno perdutamente innamorato della compagna di banco.

Il professore dev’essere in grado di dare le ragioni di questa somiglianza. L’insegnante lega, unisce il ragazzo alla finalità della vita attraverso la lezione.

Per questo non basta insegnare per essere insegnanti.

È necessaria la vocazione, un “di più” che non ci diamo da soli (non a caso nella Bibbia, la vocazione è la chiamata di Dio), che porti il maestro ad amare il discepolo, a camminare con lui verso una meta comune (altrimenti non c’è cammino).

Educare all’attenzione verso l’arrivo è educazione alla libertà.
È infatti libero l’uomo messo nelle condizioni di perseguire lo scopo dietro a tutte le cose.

Da quest’attenzione nasce l’intelligenza, l’abilità di intelligere, capire, comprendere le ragioni di quel che si fa.

In conclusione: cosa ci vuole affinché un professore sia professore? La capacità e l’essere disposto a dare le ragioni di un fatto: non siamo nati per morire.

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Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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