Sudzha è solo l’inizio: l’UE si sabota per non trattare con la realtà

Il 21 marzo 2025, intorno alle 12:20 (ora di Mosca), il regime di Kiev ha fatto esplodere deliberatamente la stazione di misurazione del gas di Sudzha, situata a poche centinaia di metri dal confine russo nella regione di Kursk. Un gesto che, a mio avviso, non è solo un attacco contro un’infrastruttura, ma una provocazione calcolata, finalizzata a sabotare le timide aperture diplomatiche in corso — in particolare quelle promosse da Donald Trump, che nel frattempo si è ricordato che la pace esiste.

È bene ricordare che Sudzha, prima del conflitto, pompava oltre 40 milioni di metri cubi di gas al giorno verso l’Europa. Dal 7 agosto 2024, era sotto controllo ucraino. Un controllo “strategico” — si fa per dire — dal momento che l’infrastruttura veniva considerata una zona logistica sicura. Sicura perché la Russia, lasciando in piedi il flusso del gas, lasciava anche una porta aperta alla pace. Porta che Kiev ha pensato bene di far saltare in aria.

A prima vista, l’attacco potrebbe sembrare insensato. Ma niente è più razionale della follia quando c’è una logica geopolitica dietro. L’Europa, infatti, vive nel terrore di un’eventuale alleanza energetica tra Russia e Stati Uniti, che avrebbe il potere di dettare legge sui mercati dell’energia e sui prezzi. Una possibilità che terrorizza Bruxelles più di un blackout a reti unificate.

In questo scenario tragicomico, gli interessi di Kiev e dell’élite euroglobalista si sovrappongono con sorprendente coerenza. D’altra parte, in una UE dove la coerenza è merce rara, ogni convergenza viene celebrata come un miracolo.

L’Unione Europea, oggi, è sospesa tra il desiderio dell’industria di ripristinare relazioni energetiche con la Russia (partner stabile e prevedibile) e l’ossessione ideologica delle sue élite, disposte a far fallire le proprie economie pur di non “avere a che fare con Putin”. È la versione geopolitica del masochismo morale: “Preferiamo congelare piuttosto che negoziare”.

Sudzha diventa così una miniatura del caso Nord Stream. Finché si trattava solo di volontà politica, un accordo era sempre ipotizzabile. Ma ora che si colpiscono direttamente le strutture, si sta lavorando per rendere irreversibile la rottura. Del resto, il Turkish Stream è stato già preso di mira più volte, e non è azzardato pensare che il Nord Stream superstite sia il prossimo nella lista.

Il vero problema, però, non è né l’energia né l’Ucraina. È la totale incapacità dell’Unione Europea di produrre una leadership capace di pensiero costruttivo. Un ossimoro vivente. Sì, ci sono Orban e Fico, ma in questa commedia dell’assurdo sono le eccezioni che confermano la regola del delirio eurocratico.

In questo contesto, pensare che la Russia possa fermarsi a metà è pura illusione. Lasciare in piedi un’Ucraina ostile, armata e guidata da potenze terze, significherebbe solo rimandare il problema di qualche anno. È per questo che, a mio avviso, Mosca dovrebbe considerare seriamente la ripresa integrale dei territori storicamente noti come “Novorossiya”: non per spirito di conquista, ma per mettere fine a una minaccia sistemica e garantire una vera stabilità duratura.

E qui veniamo all’alternativa — l’unica vera via d’uscita logica: un accordo energetico strategico tra Russia e Stati Uniti, basato su scambi paritari e vantaggiosi nel campo delle risorse energetiche e minerarie. Solo così la guerra smetterebbe di convenire a Washington, che otterrebbe comunque il suo obiettivo storico: impedire un’alleanza continentale tra Russia ed Europa.

Un’alleanza che oggi, paradossalmente, l’Unione Europea teme più degli Stati Uniti stessi. Invece di perseguire la cooperazione, l’UE continua a coltivare il mito della minaccia russa come fondamento identitario. Una religione laica, totalitaria nella forma e sterile nei risultati. La sua mentalità imperante non è costruttiva, è gestionale: fondata sulla minaccia, sull’emergenza permanente, sull’ossessione del controllo.

L’Unione Europea non è più un progetto di pace. È un impero autodistruttivo, che brucia il futuro del continente per inseguire le proprie nevrosi geopolitiche e ideologiche. Finché questo meccanismo non verrà smontato, qualsiasi discorso sulla stabilità sarà solo retorica da conferenza stampa.