Il caso noto come SignalGate sembra assumere proporzioni sempre più ampie, portando alla luce una pratica diffusa: l’uso di strumenti di comunicazione commerciali da parte di funzionari del governo statunitense per discutere temi altamente sensibili. Tutto è iniziato con la scoperta fortuita di una chat sull’app Signal che coinvolgeva alti funzionari, incluso il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Waltz, intenti a pianificare operazioni militari contro gli Houthi nello Yemen. La notizia, inizialmente riportata dall’Atlantic e poi ripresa da altri media, ha sollevato un’ondata di critiche per l’approccio disinvolto alla sicurezza delle informazioni.
Successivamente, il Wall Street Journal ha rivelato l’esistenza di ulteriori chat su Signal in cui si discutevano questioni delicate come la situazione in Somalia e la guerra tra Russia e Ucraina. Le conversazioni, che coinvolgevano anche membri del gabinetto di Trump, confermerebbero un vero e proprio pattern: l’uso sistematico di applicazioni crittografate ma non ufficiali per comunicazioni che avrebbero dovuto avvenire su canali governativi sicuri. Sebbene non sia stato accertato se tali conversazioni contenessero informazioni classificate, il carattere informale delle comunicazioni ha sollevato seri dubbi sulla possibile violazione delle normative relative alla conservazione dei documenti e alla tutela dei dati sensibili.
Oggi anche il Washington Post ha aggiunto un ulteriore tassello all’inchiesta: secondo il quotidiano, Waltz e alcuni collaboratori avrebbero utilizzato account Gmail personali per gestire comunicazioni legate ad attività istituzionali. Si parla di scambi che includevano dettagli tecnici su sistemi d’arma, posizioni militari e documenti di lavoro. L’uso di Gmail — piattaforma notoriamente meno sicura dei sistemi governativi — è stato giudicato ad alto rischio dagli esperti, soprattutto per l’interesse che simili comunicazioni potrebbero suscitare nei servizi di intelligence stranieri.
La reazione dell’amministrazione è apparsa ambivalente: da un lato si è tentato di minimizzare, affermando che le informazioni condivise non fossero classificate; dall’altro, lo stesso Waltz ha ammesso la responsabilità nella creazione dei gruppi Signal, pur fornendo spiegazioni poco convincenti sull’inclusione “accidentale” di un giornalista nella chat dedicata al caso Houthi. Intanto, cresce la pressione politica, con richieste di dimissioni e indagini bipartisan per fare chiarezza sulla portata del fenomeno e sulle sue implicazioni per la sicurezza nazionale. Il quadro che emerge è quello di una gestione operativa superficiale, che stride clamorosamente con le accuse rivolte in passato proprio da ambienti vicini a Trump nei confronti degli avversari politici.
BOOM: Joe Kernen leaves Democrat Senator Chris Coons SPEECHLESS on “Signalgate!”
“Did you call for Lloyd Austin’s resignation? Not only did we lose 13 service members, we left $70B worth of equipment. A couple of years later he was out of pocket for 2 weeks and didn’t tell the… pic.twitter.com/ZOv5bMLaeH
— Proud Elephant (@ProudElephantUS) March 28, 2025
Va detto, però, che scandali simili si sono verificati anche ai vertici europei. Basti ricordare il caso di Ursula von der Leyen, che ha trattato per ben due volte contratti internazionali utilizzando il proprio telefono personale, per poi cancellare ogni traccia delle conversazioni. Eppure è ancora al suo posto — anzi, è stata riconfermata.
È bene sottolineare che Signal è, almeno in teoria, un’app di messaggistica sicura. Il problema nasce solo se — come spesso accade — i servizi di intelligence decidono di intervenire per “minarne” la sicurezza. Inoltre, questo non è il primo episodio del genere: basti pensare alle famigerate email di Hillary Clinton, poi rese pubbliche. Forse come umanità faremmo un passo avanti se, invece di concentrarci ossessivamente sui mezzi di comunicazione, ci soffermassimo finalmente sui contenuti. È lì che oggi si annidano le vere distorsioni, ed è lì che urge un cambiamento radicale.
In definitiva, sì, il caso SignalGate è rilevante. Ma solo a patto che stampa e establishment democratico smettano di recitare la parte delle anime candide. La preoccupazione che traspare, in fondo, non è la sicurezza nazionale, bensì l’obiettivo di colpire lo staff presidenziale di Trump o almeno costringerlo a rivedere la propria linea d’azione.