Le ragioni della repressione della manifestazione di Navalny a Mosca

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articolo originale: “Si fottano Amnesty, gli USA e Sky: Putin fa bene a reprimere. Fra dissenso e golpe, esiste differenza” (Rischio Calcolato)

di Mauro Bottarelli

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Ve lo avevo detto la scorsa settimana: attenzione al 12 giugno e alle manifestazioni anti-corruzione che l’infiltrato di Soros in Russia, Alexei Navalny, ha organizzato in concomitanza con la festa nazionale, oltretutto premettendo che le stesse si sarebbero svolte anche senza il via libera delle autorità. Di fatto, già così – in base alle legge russa sulle manifestazioni pubbliche – il pasionario globalista poteva essere posto in stato di fermo, se la Russia fosse il regime impietoso e liberticida che dipingono.

Non è accaduto, si è atteso fino all’ultimo e a Navalny e ai suoi è stato garantito il diritto di manifestare in viale Sakarhov, liberamente. Ma quando domenica notte, il blogger ha invitato i suoi sodali a cambiare luogo di incontro, scegliendo la centralissima via Tverskaya, le autorità hanno drizzato le antenne.


E non tanto per la palese violazione della legge a fronte di una scusa idiota, mancanza dell’impianto di amplificazione, bensì proprio per la concomitanza della festa nazionale, la quale ha visto per le vie di Mosca circa 2,5 milioni di persone. Ora, al netto della russofobia imperante che vedrebbe Putin criticato anche se facesse una donazione all’Unicef, vi pare così folle – con l’aria che tira, tra furgoni killer e pazzi assortiti – evitare che una manifestazione politica apertamente provocatoria e anti-governativa vada a mischiarsi con famiglie in festa, offrendo un bersaglio perfetto a eventuali terroristi e rischiando anche di innescare scontri fratricidi con simpatizzanti di Putin?

Le eventuali vittime russe valgono meno di quelle di Manchester o Londra? Di più, l’intento mediatico dell’operazione di Navalny era chiaro: riunirsi dove si festeggiava la festa nazionale, in modo da mischiarsi e vendere all’informazione occidentale, consenziente e prona, i numeri che si vogliono, trasformando un raduno di qualche migliaio di persone in un’adunata oceanica del popolo russo contro Putin.

 


Non a caso, il governo aveva concesso una location nel nord-est cittadino, lontano dal centro e dai festeggiamenti: davvero dei fascisti senza redenzione al Cremlino, non si lasciano prendere per il culo come gli europei! Ma qual è la notizia? Alexei Navalny arrestato, mentre usciva di casa per andare al corteo.

Si chiama prevenzione, quando hai a che fare con certi elementi. O vale soltanto per i pachistani dell’East End londinese la presunzione di colpevolezza su base preventiva e l’arresto a casaccio*?

Si chiama ordine pubblico, per le persone di buon senso ma, quando tocca alla Russia, si trasforma immediatamente in palese violazione dei diritti umani, roba da denunciare in prima pagina a caratteri cubitali. E, infatti, Sky, La7 e “Repubblica” in prima fila hanno immediatamente colto la palla al balzo, evitando accuratamente di raccontarvi l’intero iter e denunciando i fermi indiscriminati, ovviamente rilanciando solo le cifre dei media anti-governativi: 750 a Mosca (150 per il ministero dell’Interno e 900 a San Pietroburgo, dove la protesta non era autorizzata da principio.


Ora, basta guardare i filmati delle tv occidentali per notare una cosa: i manifestanti era al 90% studenti, ragazzi tra i 15 e i 23 come quello nella foto di copertina, tipicamente russo in tutti i tratti. Vuoi dire che dagli under 30 in su, ai russi piace essere governati da corrotti? O, forse, si tratta della generazione più globale e soprattutto social, quella più facilmente reclutabile per proteste di massa, come accaduto in USA nelle marce contro Trump in campagna elettorale? Magari, con la promessa di qualche dollaro facile. E attenzione, nessuno qui è così mainstream da negare l’evidenza. Questo grafico

elaborato da Statista su dati dell’istituto demoscopico indipendente russo Levada Center ci mostra chiaramente come la corruzione sia un problema percepito come endemico dai cittadini, quindi un qualcosa che va affrontato. C’è però un problema: in una situazione come quella che stiamo vivendo, cos’è prioritario per Vladimir Putin? Rischiare l’implosione del governo e di ampi strati dell’amministrazione nazionale per estirpare la mala pianta corruttiva o tenere insieme il Paese di fronte alla sfida del terrorismo e della destabilizzazione globale? Una “Mani pulite” russa non è forse ciò che gli Stati Uniti stanno cercando di far scoppiare da anni, pur di eliminare Putin dalla scena senza bisogno di una guerra? E poi, al netto della sacrosanta lotta al malaffare in politica, non sono emerse forse prove di malversazione, spionaggio e ostacolo alla giustizia durante le presidenziali USA? E la morte di Seth Rich, mai finita su un giornale italiano nemmeno per sbaglio, non merita la ricerca della verità, almeno quanto la lotta “spontaneista” di Andrei Navalny contro la corruzione?

Inoltre, il Levada Center ci dice anche altro, rispetto alla vulgata mediatica italiana, la quale ieri sera parlava di repressione preventiva perché, in vista delle presidenziali dell’anno prossimo, Vladimir Putin teme la crescente popolarità di Alexei Navalny, di fatto suo competitor naturale. Bene, questa tabella


ci mostra una rilevazione compiuta a fine aprile, dalla quale si desume che se si fosse andati alle urne la domenica successiva al sondaggio, il presidente russo avrebbe potuto contare sull’83% di consenso. E il suo competitor, l’uomo che i media europei stanno trattando come un nuova Lech Walesa? Il 2%. Ora, al netto della rimonta di Jeremy Corbyn che ha risvegliato antichi turgori, pensate che sia un gap colmabile a colpi di manifestazioni di liceali? Direte voi, allora perché non lo lascia sfilare? Al netto che è stato Navalny a rompere i patti, cambiando location senza autorizzazione, quando invece le autorità avevano garantito agibilità alla protesta, penso che Putin sarebbe il primo a voler evitare che mezzo mondo gli cammini sui testicoli con i tacchi a spillo del politicamente corretto ogni volta che Navalny decide di protestare. C’è però un problema: il precedente che si crea.

In un Paese come la Russia, le regole vanno fatte rispettare: e alla gente va bene, perché al netto dei “ragazzi della 3 C” portati in piazza via social, non vediamo il Paese reale rivoltarsi contro il pugno duro di Putin in fatto di ordine pubblico. Fatevene una ragione, a tanta gente la cosiddetta “democratura”, fusione di democrazia e dittatura, va benissimo, lo trova un sistema di governo più che accettabile, un compromesso benedetto: cedo qualche libertà ma mi garantisco stabilità e sicurezza.

Se Navalny comincia a violare la legge e lo si lascia sfilare lo stesso, per evitare danni maggiori (la logica del ministero dell’Interno italiano, ogni volta che scendono in piazza i cosiddetti antagonisti), salta il tacito patto potere-cittadino e con le capacità e i mezzi potenziali in mano ai mandanti del blogger-sobillatore, basta soltanto raggiungere l’obiettivo di un ragazzo morto negli scontri di piazza per scatenare media e ONG dei miei coglioni nella lotta globale al dittatore Putin. Per questo occorre intervenire in anticipo. E reprimere.

E non parlo a caso. Mentre i numeri dei fermati si accavallavano come i gol della nazionale, mentre Fantozzi era bloccato al cinema a guardare la Corazzata Potemkin, ecco che Amnesty International ha sentito il bisogno di rendere nota la sua posizione: “Il diritto di manifestare pacificamente è garantito dalla Costituzione ma non si direbbe a giudicare dalle immagini allarmanti di oggi. Dopo aver cercato di impedire ai manifestanti di prendere parte alle proteste con minacce e ricatti, le autorità di Mosca, San Pietroburgo e altre città russe hanno punito con arresti e pestaggi centinaia di coloro che vi hanno partecipato”, ha detto Denis Krivosheev, vicedirettore per l’Europa e l’Asia centrale di Amnesty.

E ancora: “La stretta delle autorità nei confronti della libertà d’espressione si rafforza di giorno in giorno. Quello di manifestare pacificamente è un diritto umano e non un privilegio che si puo’ concedere o rifiutare. Tutti i manifestanti pacifici coinvolti negli arresti siano immediatamente rilasciati e sia rispettato il diritto di svolgere manifestazioni pacifiche”, ha concluso. Ma se le accuse di Amnesty verso Putin sono rituali e sterili come certi regali riciclati a Natale, ecco che a stretto giro di posta arriva l’attacco frontale degli USA: il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, ha chiesto a Mosca di “rilasciare immediatamente tutti i manifestanti pacifici”.


Con una presa di posizione insolita per la presidenza Trump, Spicer ha aggiunto: “Il popolo russo merita un governo che sostenga il libero scambio di idee, un’amministrazione trasparente e responsabile, pari trattamento davanti alla legge e la possibilità di esercitare i propri diritti senza temere ritorsioni”. Inoltre, la Casa Bianca ha definito l’arresto di osservatori dei diritti umani e giornalisti come un affronto “ai valori democratici fondamentali” e ha assicurato che “continuerà a seguire la situazione in Russia”. Insomma, il Deep State sta scaldando i motori verso il bersaglio grosso. E la conferma è arrivata poche ore dopo la presa di posizione della Casa Bianca, esattamente mezz’ora dopo la mezzanotte, quando è stata rilanciata questa agenzia:


(ANSA) – WASHINGTON, 13 GIU – Repubblicani e Democratici hanno raggiunto un accordo al Senato su un nuovo pacchetto di sanzioni alla Russia, mentre proseguono le indagini sulle presunte interferenze della Russia stessa sulle elezioni presidenziali del 2016, il cosiddetto Russiagate. L’accordo è stato annunciato nella tarda serata. Il piano chiede il rafforzamento delle sanzioni attuali e ne impone di nuove sui soggetti coinvolti in abusi nel campo dei diritti umani e su quelli che stanno fornendo armi al governo del presidente siriano, Bashar al-Assad. Le sanzioni dovrebbero inoltre colpire i responsabili di cyber-crimini per conto del governo di Mosca. I legislatori stanno cercando di aggiungere le sanzioni alla Russia all’attuale legislazione del Senato che prevede un analogo provvedimento contro l’Iran”. Proprio sicuri che siano Navalny e la sua battaglia contro la corruzione il nodo del problema, oppure come al solito i nostri media asserviti ai desiderata del Dipartimento di Stato ci mostrano il dito per evitare che si guardi alla luna della destabilizzazione?

Guardate questo tweet:

lo ha rilanciato ieri Margarita Simonyan, direttrice di RT e Sputnik, le agenzie di stampa che USA e UE definiscono mezzi di propaganda del Cremlino e propagatori di “fake news”. E cosa denunciava? Il fatto che due giornalisti di punta dell’autorevole stampa libera occidentale, Neil Buckley, corrispondente del “Financial Times” per l’Europa dell’Est e Neil MacFarquhar, capo della redazione moscovita del “New York Times”, avessero preso per reale, con ovvia gioia di farlo, quest’altro tweet


del giornalista russo Alexei Veneditkov, nel quale alla foto veniva allegata la frase ironica “Mosca è pronta per il Russia Day”. Come dire, qui si alzano le barricate contro il popolo. I due report USA hanno subito rilanciato la cosa, salvo poi cancellare i tweet. E sapete perché? Perché quell’installazione faceva parte di una mostra storica dal titolo “Times and Epochs”, in corso nella capitale russa in contemporanea con la festa nazionale. Che dire: queste altre foto,



prese nello stesso contesto, potrebbero essere utili a Mentana per l’edizione di stasera del tg, magari con un bell’editoriale su come nella Russia di Vladimir Putin si rapiscono, torturano e giustiziano i bambini, che ne dite? Si ride per non piangere, di fronte a questa dimostrazione di attitudine alla Goebbels della stampa autoproclamatasi libera e che combatte contro le “fake news” del Cremlino. Stranamente, poi, questo can can mediatico è andato in onda il giorno precedente all’audizione, attesa per oggi, del ministro della Giustizia USA, Jeff Sessions, proprio sul Russiagate e sul suo terzo incontro non comunicato con l’ambasciatore russo a Washington.

(Quando chi oggi rompe i coglioni a Putin, magnificava la repressione sovietica in Ungheria)

E, anche, con la notizia rilanciata ieri dalla Reuters, in base alla quale, a margine del forum economico di San Pietroburgo della scorsa settimana, Vladimir Putin avrebbe incontrato il fondatore di Ethereum, Vitalik Buterin, garantendogli supporto per lo sviluppo della tecnologia blockchain in Russia. Di più, la vice-presidente della Banca centrale russa, Olga Skorobogatova, ha dichiarato nella medesima sede che “non è escluso che la Russia utilizzi le tecnologie di Ethereum per sviluppare una moneta virtuale russa nel corso del tempo”. Ma tranquilli, è tutta questione di lotta ai corrotti.

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*= sinonimo: parola originale sostituita da vietato parlare

Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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