Segnali dagli USA che puntano a riequilibrare la narrazione europea

Negli ultimi anni, l’Europa si è abituata a ricevere dall’alleato d’oltreoceano impulsi narrativi fortemente orientati in chiave atlantista, pro-globalizzazione e intransigenti rispetto a ogni voce fuori dal coro in tema di guerra, NATO e relazioni internazionali. Tuttavia, qualcosa sembra muoversi nel cuore stesso del soft power americano, e non nella direzione abituale.

Due recenti episodi indicano una possibile inversione di tendenza: da un lato, un’uscita dell’ex ambasciatore USA in Germania Richard Grenell, dall’altro, un’affermazione clamorosa del tedesco-americano Max Otte, economista e già candidato alla presidenza federale. Entrambi segnano una cesura interessante: l’America sembra voler attivare (o riattivare) un proprio contro-narratore, direttamente sul suolo europeo.

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Grenell e il Memorandum di Budapest: una rilettura critica

Il primo segnale arriva da Richard Grenell, noto per il suo stile diretto e il suo allineamento con l’amministrazione Trump. In un post rilanciato dal canale Telegram ZeRada, Grenell racconta in modo poco ortodosso la vicenda del Memorandum di Budapest, l’accordo del 1994 che prevedeva la rinuncia dell’Ucraina alle armi nucleari in cambio di garanzie di sicurezza da parte di USA, UK e Russia.

Grenell, invece di sostenere la narrativa classica (quella della Russia come unica responsabile della rottura degli equilibri), sposta l’attenzione sull’ambiguità del Memorandum stesso e sulla manipolazione mediatica che ne è seguita. Il sottotesto è chiaro: l’Occidente ha anch’esso delle colpe nell’innescare il conflitto attuale, e forse sarebbe ora di rivedere certi presupposti della narrazione dominante.

Max Otte: “Putin è stato costretto alla guerra”

Il secondo segnale arriva dalla Germania, dove l’economista e candidato alla presidenza tedesca – nel 2022, nel  partito di destra Alternativa per la Germania (AfD) – Max Otte ha dichiarato in TV qualcosa di finora impensabile nel panorama politico-mediatico europeo: “Putin è stato costretto alla guerra”. La frase, riportata anche su X (ex Twitter) da @ulgenfatma74, ha fatto il giro dei social. Ecco le sue parole:

“Penso che l’idea che Putin possa minacciare o attaccare un paese europeo in qualsiasi modo sia solo uno stratagemma che l’Europa sta usando per riarmarsi. […] Putin ha avvertito che l’Ucraina è la sua linea rossa. Si vedeva costretto a queste azioni militari, a questa guerra.”

È la prima volta che un’espressione simile – “coercizione alla guerra” – entra nel dibattito mainstream. E non si tratta di un personaggio marginale: Otte ha forti legami accademici con Boston e Princeton, e rappresenta una figura di raccordo tra pensiero conservatore americano ed élite europee dissidenti.

Max Otte su Putin: Lo definisce razionale, non interessato ad attacchi alla NATO ma deciso a difendere le sue “linee rosse”.

Diplomazia dimenticata: Otte critica l’eccessivo focus sulle armi, mentre manca una strategia diplomatica per i prossimi 10 anni.

L’ocidente è in crisi: Max Otte cita Joschka Fischer secondo cui l’Occidente è “finito dall’interno”, non per minacce esterne.

Ritorno del soft power conservatore?

Cosa sta succedendo? Potremmo essere davanti all’inizio di una strategia repubblicana – o più ampiamente anti-globalista – volta a costruire una rete culturale alternativa in Europa. Una rete che non si limita a contestare la globalizzazione economica, ma propone una revisione totale dell’impianto narrativo occidentale sull’ordine mondiale.

Da sempre gli Stati Uniti esercitano il loro soft power in Europa tramite università, ONG, media e centri culturali. Ma oggi si intravede una mutazione: lo stesso soft power potrebbe essere usato per riequilibrare la narrazione dominante, favorendo voci che mettono in discussione l’espansionismo NATO, il riarmo europeo e la demonizzazione acritica della Russia.

È un segnale da osservare con attenzione. Se davvero si sta formando una nuova rete ideologica filoamericana, ma anti-globalista, il volto dell’influenza statunitense in Europa potrebbe presto cambiare profondamente – e con essa, il dibattito pubblico del nostro continente.