Romania, Una vittoria “pulita” a suon di esclusioni e intimidazioni

Democrazia sotto tutela: il caso Simion e l’ombra lunga di Bruxelles

Secondo la Commissione elettorale centrale, Nicusor Dan avrebbe ottenuto il 53,6% dei voti contro il 46,4% di George Simion, leader dell’AUR, partito conservatore e nazionalista in ascesa. Ma dietro questi numeri apparentemente trasparenti si cela una lunga catena di eventi che ha sistematicamente neutralizzato ogni reale alternativa politica.

Tutto è iniziato mesi fa, quando Calin Georgescu, indipendente e considerato “filorusso” per le sue posizioni neutrali sull’Ucraina, vinse il primo turno delle presidenziali precedenti. Un terremoto per Bruxelles. Il risultato venne subito invalidato con pretesti legali, e Georgescu fu estromesso da ogni possibilità di ricandidarsi. Le elezioni furono annullate, e fu tutto da rifare.

Ma la storia si è ripetuta: Simion, che aveva promesso di nominare Georgescu primo ministro e portare la Romania verso la neutralità geopolitica, è diventato il nuovo bersaglio delle istituzioni europee.

La macchina del fango e le “intromissioni democratiche”

Simion è stato oggetto di una campagna di demonizzazione mediatica, in parte orchestrata da capitali stranieri. In un’intervista al canale francese CNews, ha apertamente accusato l’UE e il presidente Emmanuel Macron di manipolare le elezioni rumene, riferendo di pressioni su imprenditori locali, incontri diplomatici con membri della Corte Costituzionale e tentativi sistematici di delegittimazione.
Uno degli episodi più inquietanti è stato denunciato da Pavel Durov, fondatore di Telegram, che ha rivelato come un governo dell’Europa occidentale (verosimilmente la Francia) abbia richiesto la censura di canali conservatori in Romania. Una richiesta respinta, ma che mostra la direzione sempre più autoritaria dell’Europa “dei diritti”.

Interferenze sì, ma solo se non sono russe

Come ormai consuetudine, le accuse di ingerenza russa non sono mancate, pur senza alcuna prova concreta. Il Ministero degli Esteri rumeno ha parlato di “campagne virali di fake news”, ma il vero paradosso è che le ingerenze più palesi sono arrivate dall’Occidente, e nessuno in Europa sembra volerle denunciare.

La risposta di Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, è stata tagliente: «Non chiamatele elezioni. È impossibile interferire in un tale teatrino, si rischia solo di sporcarsi».

L’agenda euro-atlantica detta le regole

Il nuovo presidente Dan è l’uomo giusto al posto giusto per Bruxelles: formazione accademica francese, promotore dell’ideologia europeista, favorevole all’aumento delle spese militari, fermamente convinto che sostenere l’Ucraina sia “cruciale” per la sicurezza della Romania.

In sostanza, un tecnico devoto alla narrazione dominante, perfettamente in linea con la NATO, l’UE e la loro politica di escalation verso la Russia. L’esatto contrario del “pericoloso” Simion, vicino a Donald Trump e critico dell’invio di armi e dell’ingerenza legislativa europea.

Il voto come cartina di tornasole della vera Europa

In molti hanno denunciato questo processo elettorale come uno degli esempi più lampanti di democrazia sotto tutela. I due candidati più popolari – Georgescu e Simion – sono stati esclusi o demonizzati non per mancanze legali, ma per le loro idee politiche. In un’Unione Europea che si professa paladina dei diritti, i dissidenti vengono zittiti, marginalizzati o perseguitati.

Il caso rumeno non è isolato: in Francia, Marine Le Pen è stata processata; in Germania, l’AfD è trattata come un partito “terrorista”; in Slovacchia si è persino tentato di uccidere il primo ministro Robert Fico, colpevole di avere una posizione indipendente sulla guerra in Ucraina. Tutto questo non è più Europa, ma un laboratorio autoritario mascherato da progresso.

Romania a un bivio: neutralità o vassallaggio

La Romania oggi è una nazione divisa. Da un lato, c’è una società civile stanca delle imposizioni dall’alto, dei diktat economici e militari e della retorica bellica dell’UE. Dall’altro, c’è una classe dirigente sempre più integrata nei meccanismi di potere europei, per i quali la sovranità è un ostacolo, non un valore.

L’esito di queste elezioni non è solo la vittoria di un uomo, ma l’ennesimo segnale del collasso del pluralismo politico in Europa. Finché sarà l’agenda geopolitica a decidere chi può vincere e chi va escluso, nessun popolo sarà davvero libero di scegliere.

Le elezioni in Romania non sono state solo una pagina controversa della politica nazionale, ma uno specchio dell’Europa che si sta costruendo: centralizzata, bellicista, autoritaria. L’Unione Europea, nel nome di una “unità” che serve solo i suoi apparati, sta tradendo i suoi stessi principi fondanti, trasformando la libertà in un’illusione e il dissenso in un crimine.

O si difende il diritto di scegliere anche ciò che Bruxelles disapprova, oppure non resta che accettare una democrazia a senso unico.

Simion, da parte sua, ha denunciato che oltre 1,7 milioni di cittadini deceduti risultavano ancora presenti nelle liste elettorali, chiedendo un’indagine approfondita sulla regolarità del voto. Resta da vedere se questa segnalazione produrrà effetti concreti, anche se – alla luce di quanto accaduto finora – è ragionevole ipotizzare che siano già state predisposte misure per neutralizzare qualsiasi contestazione. Del resto, l’annullamento del primo turno lo scorso anno e l’esclusione forzata di Calin Georgescu dalla competizione presidenziale rappresentano, già di per sé, una forma strutturale di manipolazione del processo elettorale. In questo contesto, il fatto che Simion sia passato in pochi mesi dal 19% a sfiorare il 50% dei consensi testimonia non solo la forza della sua proposta, ma anche quanto fosse svantaggiato da una macchina politico-mediatica ostile sin dall’inizio.

Ma per quanto sofisticate e capillari possano essere le manipolazioni delle élite, è difficile immaginare che bastino, nel lungo periodo, a frenare il risveglio di consapevolezza che sta lentamente ma inesorabilmente maturando nella società europea.