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Resoconto della missione di della Margherita Ministro degli Esteri del Piemonte a Pio IX

by Patrizio Ricci
2 Novembre 2021
in Post vari
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dal libro  di Paolo Mengacci  “Storia della Rivoluzione Italiana”

Quello che segue è il resoconto che il Ministro degli Esteri del  Regno di Sardegna fece nel 1946 e le sue impressioni su Papa Pio IX e la gestione dello Stato Pontificio, c’è da rimanere sconcertati, oggi c’è piu’ di qualcuno che parla male di PIO IX, cosa che non faceva affatto il Ministro degli esteri dell’INVASORE: (neretto e sottolineature sono mie)

Progrediva intanto lo spirito di vertigine, e l’esplosione non sembrando lontana nell’uno o nell’altro degli Stati italiani, il centro di tutte le mene e congiure essendo allora in Roma, in Roma che esercitava tanta influenza in tutta la penisola. Il nobile Conte determinò di recarvisi per iscandagliare egli stesso il precipizio e quando fosse il rischio di cadervi.

Era allora Segretario di Stato il Cardinal Gizzi, e sapendo che non era uomo da poco, sperava il Conte di trarne utili nozioni. Altronde Carlo Alberto, che aveva una gran devozione pel Successor di San Pietro, mostravasi ligio ad ogni ispirazione che da Pio IX venisse, come prima venerava le opinioni di Gregorio XVI. “A mio riguardo, dice il Conte, questi si era espresso sempre in modo da insuperbirmi, ove avessi potuto credere di meritar tanto suffragio. Se Pio IX dimostrasse di altrimenti sentire di me, era impossibile che io rimanessi al Ministero.

In Piemonte si parlava assai del mio prossimo ritiro, al dir dei liberali, io era il solo ostacolo che impediva Carlo Alberto di prendere l’iniziativa d’un più largo modo di Governo, solo attuabile per compier i felici destini cui l’Italia era sotto il suo stendardo chiamata. Per questo lato pareva pericoloso l’assentarmi, pure, scandagliato il terreno, vidi che non era matura la trama, e Carlo Alberto ancor titubante; esser anzi prova della mia noncuranza per le mene dei contrarî l’assentarmi, e che più mi gioverebbe studiare in Roma qual fosse per essere fra poco la sorte di tutta l’Italia, e le forze dei diversi partiti.

Mi determinai dunque a tal viaggio, ne parlai col Re, che al primo momento approvò l’idea; anch’egli desiderava ch’io portassi un retto giudizio sullo stato delle cose tanto travisato dai giornali e dai rapporti clandestini che riceveva. Pochi giorni dopo titubava, e mi fu forza affrettar la partenza prima che mi revocasse la data licenza; andai a riceverne gli ordini a Racconiggi, e gli dissi che all’indomani partirei; allora mi palesò le sue inquietudini, temeva fosse mio scopo di rappresentare al Santo Padre la convenienza di più oltre non favorire le speranze de’ liberali, e di trattenerlo nella via delle riforme. Risposi non recarmi io a Roma per porger consigli, andarvi per vedere quali conseguenze avrebbero pel servizio di Sua Maestà le nuove massime di Governo, e la tendenza del partito che saliva in auge. Mi lasciò partire raccomandandomi il segreto e che non si sapesse ove io mi volgeva che il più tardi possibile, era anche tale il mio interesse per dar meno tempo alle brighe che si ordinerebbero a’ miei danni, e infatti era partito da Genova che ancor non si sapeva in Torino, e vi fu taluno fra il Corpo Diplomatico che fu informato del mio arrivo in Roma dal Ministro di sua Corte colà residente.

“Io giunsi in Roma addì 29 di agosto 1846; vidi immediatamente il Cardinal Gizzi, Segretario di Stato, e il posdomani ebbi l’alto onore di essere ricevuto dal Santo Padre. Fui altamente commosso dalla bontà con cui mi accolse e compreso d’ammirazione pel suo alto sentire in quanto riguardava il compimento delle eccelse funzioni, cui Dio l’aveva destinato; vidi essere suo intimo desiderio portare all’amministrazione dello Stato tutti quei rimedî che i tempi esigevano; ma essere risoluto a non lasciarsi trascinare più oltre. Pio IX mi parlò colla serena tranquillità di una retta coscienza della gravità delle circostanze in cui trovavasi l’Italia, e non nascondendo a sé stesso gli eventi cui s’andava incontro, si abbandonava in Dio perché l’assistesse nel tempo della tempesta.

“Pochi giorni dopo potei scrivere al Re: aver io visto varî Cardinali del Corpo Diplomatico; la rivoluzione, secondo l’opinione di tutti, non era a farsi, ma fatta. L’entusiasmo sfrenato, anzi insolente che aveva destato l’amnistia non aver altro motore che di costringere il Papa a nuove concessioni. I busti di Gregorio XVI in molte provincie erano stati villanamente insultati; nelle orgie, nelle congreghe si vociferava contro lui, mentre si acclamava Pio IX; le autorità senza forza, lo slancio delle passioni tener del delirio, ed essere ormai quasi impossibile calmare l’effervescenza, ed a meno che l’Austria e la Francia intervenissero, una catastrofe essere inevitabile. Il solo Conte Rossi, Ambasciatore di Luigi Filippo, parea tranquillo sull’andamento delle cose; in una lunga conversazione avuta con lui, mi spiegò le sue idee e mi disse aver dato consiglio al Sommo Pontefice di soddisfare al più presto ai bisogni reali del paese per evitare torbidi, e mantenere la Santa Sede indipendente dalle altre Potenze.

Rendeva quindi conto a S. M. di varie cose di ordine suo trattate, poiché se il Gualterio fu bene informato dell’impressione che fece sul Re il mio viaggio a Roma, non mostrò esserlo egualmente stato quando asserisce, che non volle darmi alcuna missione ufficiale; infatti ne’ pochi giorni che vi rimasi, mi spedì un corriere di Gabinetto per incaricarmi di varie cose che desiderava ottenere pel bene delo Stato, e fra le altre di una relativa agli Ecclesiastici di Sardegna che ricusavano, dopo l’abolizione dei feudi, pagare certi tributi che prima corrispondevano ai signori dei medesimi, cosa semplice e giusta che conveniva comporre. Con quella degnazione che mi ha sempre dimostrata mi diceva: “Je désirerais que vous puissiez obtenir quelque chose pour notre Gouvernement, sans quoi notre administration vous démolira à votre retour; on a déja tant et tant parlé de votre voyage”.

“Mi fermai in Roma fino al 12 di settembre onde essere presente alla pacifica dimostrazione del giorno 8, festa della Natività di M. V. in cui il Santo Padre andò a tener la solita cappella nella chiesa di Santa Maria del Popolo; vi andò in gran pompa fra migliaia di bandiere bianche e gialle, fra una moltitudine di popolo che echeggiar faceva l’aria di evviva. Balconi e finestre erano pomposamente addobbati, li fregiavano iscrizioni allusive dell’epoca che s’inaugurava. Non mi piacque l’insieme, e vidi che i tempi si facevano grossi.

“La mia presenza in Roma aveva pur prodotto qualche impressione sul partito che alzava il capo e che sapeva ch’io non mi illudeva sulle sue tendenze, né aveva la dabbenaggine di lasciarmi abbindolare dalle esagerate proteste di devozione al Papa ed ai Sovrani.

“Il Cardinal Gizzi mi disse fin dalla prima volta che lo vidi esser contento che la notificazione da lui emanata per calmar l’effervescenza degli applausi fosse stata pubblicata prima del mio arrivo, poiché non avrebbero mancato di attribuirmela. Nessuno si persuadeva che non fossi in Roma per qualche gran fine occulto. D’ogni cosa diedi nuovo ragguaglio al Re nel rassegnargli la relazione della mia udienza di congedo dal Santo Padre.

Mi sorprese più della prima volta la sua tranquillità sulla condizione della cosa pubblica, poiché ormai aveva visto cogli occhi miei e udito da esperti personaggi il vero, però sentendo da quell’aurea bocca così intieramente espressa la volontà di fare il bene e di resistere alle esorbitanze dei rivoluzionarî non potei non pensare fra me che quell’anima generosa era degna di migliori tempi, e non di regnare fra le furie scatenate col sorriso traditore sulle labbra a’ danni suoi e dell’Italia.

“Avendo bene esaminato le condizioni politiche della Santa Sede feci ritorno in Lucca, ivi chiamai il marchese Carega, Ministro del Re a Firenze, per aver nozioni esatte su varie cose di Toscana; io aveva deviato da quella Capitale per non dar luogo a nuove osservazioni se mi fossi presentato al Gran Duca, e in fretta mi recai a Torino.

Il Re che altre volte, appena passavano alcuni giorni senza vedermi, era impaziente di parlarmi, doveva esserlo assai più adesso, che reduce da Roma in circostanze così critiche, la mia relazione gli doveva essere di sommo interesse, pur non mi chiamò, aspettò che venisse il giorno del mio solito lavoro ministeriale. Capii che l’impressione prodotta dal mio viaggio lo aveva turbato, e l’impronta del suo turbamento non mi si occultò quando lo vidi; notai il sommo imbarazzo in cui era parlando di Roma, e che aveva un segreto in cuore che non mi apriva”.

Patrizio Ricci

Associato alla Freelance International Press (FLIP), Autore sul Sussidiario, La Croce, LPLNews24. Cofondatore del Coordinamento Nazionale per la pace in Siria, Membro del direttivo Osservatorio per le Comunità Cristiane nel Medioriente…

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