Referendum 8-9 Giugno: quattro Sì per il Lavoro, un No per Difendere la Cittadinanza

L’8 e il 9 giugno gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi su cinque referendum abrogativi, che toccano due nervi scoperti della nostra società: il lavoro e la cittadinanza. I primi quattro quesiti chiedono l’abrogazione di norme che, secondo i promotori, hanno precarizzato il lavoro. Il quinto, invece, propone di dimezzare da 10 a 5 anni il periodo necessario di residenza per ottenere la cittadinanza italiana.

Quattro Sì per il Lavoro: superare l’era della Precarietà

I quesiti sul lavoro riguardano norme contenute in provvedimenti come il Jobs Act, la legge Biagi, la legge Treu e la riforma Fornero. Si tratta di misure introdotte per “flessibilizzare” il mercato del lavoro, ma che di fatto hanno portato a un aumento della precarietà, alla compressione dei diritti e a un indebolimento dei contratti collettivi.

L’intento di chi vota sì è quello di invertire questa tendenza e ridare centralità al lavoro stabile e dignitoso, restituendo ai lavoratori le garanzie perdute. Tuttavia, è necessario evidenziare l’ipocrisia di certe forze politiche e sindacali che oggi cavalcano l’onda referendaria, pur avendo sostenuto quelle stesse riforme in passato. Non si può ignorare la responsabilità storica di chi ha promosso modelli lavorativi che oggi si finge di voler correggere.

Un No alla Cittadinanza Facile: Perché il quinto quesito è pericoloso

Ben diverso il giudizio sul quinto quesito, che propone una drastica semplificazione delle condizioni per ottenere la cittadinanza italiana: da dieci a cinque anni di residenza, senza altri criteri sostanziali. Una misura che presenta gravi criticità.

1. Immigrazione fuori controllo e accoglienza inadeguata

In un contesto come quello attuale, in cui l’afflusso migratorio è già elevato e disordinato, una simile proposta appare del tutto scollegata dalla realtà. L’Italia è un Paese che non riesce a garantire un’accoglienza dignitosa nemmeno a chi già arriva. Come ha denunciato più volte Mons. Giancarlo Perego, presidente della Commissione CEI per le Migrazioni, «non si può parlare di integrazione senza strumenti adeguati, senza un investimento serio nella formazione linguistica, culturale e lavorativa». Senza questi strumenti, anticipare il conferimento della cittadinanza rischia di essere un atto puramente ideologico e burocratico.

2. Primato europeo già consolidato

Secondo dati Eurostat, l’Italia è già il primo Paese in Europa per concessioni di cittadinanza: oltre 1,5 milioni di naturalizzazioni in dieci anni, molte delle quali avvenute senza un reale processo di integrazione. Estendere ulteriormente questa possibilità rischia di ridurre la cittadinanza a un automatismo, privo di significato identitario.

3. Rischio di deflazione salariale

La possibilità di ottenere più facilmente la cittadinanza potrebbe incentivare l’arrivo di ulteriore manodopera a basso costo, accentuando la competizione al ribasso tra lavoratori e contribuendo a un’ulteriore compressione dei salari. Questo contraddice apertamente lo spirito dei primi quattro quesiti referendari, che mirano a tutelare il lavoro italiano.

Maurizio Del Conte, giuslavorista e già presidente dell’ANPAL, ha avvertito: «Senza un controllo sul flusso migratorio e senza una chiara strategia occupazionale, l’immigrazione può diventare una leva per abbassare il costo del lavoro, non per creare inclusione».

4. Cittadinanza ridotta a strumento elettorale

Infine, non si può ignorare il sospetto che dietro la proposta ci sia la volontà di ampliare in tempi brevi un nuovo bacino elettorale. Un uso strumentale della cittadinanza per fini politici, che svuota il concetto stesso di appartenenza nazionale.

Come affermava il filosofo e sociologo Zygmunt Bauman, «la cittadinanza non è solo un diritto giuridico, ma un processo di identificazione e partecipazione alla vita collettiva». Ridurre questo processo a un semplice calcolo temporale tradisce lo spirito stesso dell’integrazione.

Il giudizio della Dottrina Sociale della Chiesa: cittadinanza e bene comune

Sebbene la Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) non entri nel merito di criteri temporali specifici per l’acquisizione della cittadinanza, essa offre principi guida essenziali per valutare una simile proposta. In particolare, sottolinea la necessità che il conferimento della cittadinanza sia il risultato di un processo autentico di integrazione culturale, sociale ed economica. Un periodo troppo breve, come i cinque anni proposti nel referendum, rischia di non garantire una conoscenza sufficiente della lingua, delle istituzioni e dei valori fondamentali della società ospitante.

Secondo la DSC, la cittadinanza non è un semplice riconoscimento burocratico, ma un’espressione concreta della partecipazione alla vita della comunità. In quest’ottica, ogni politica in materia deve tendere al bene comune e alla coesione sociale, evitando scorciatoie che, pur mosse da buone intenzioni, possono generare frammentazione culturale, marginalizzazione o conflitti sociali.

In sintesi, la Dottrina Sociale della Chiesa promuove una visione della cittadinanza fondata sulla dignità della persona e sulla responsabilità condivisa. Essa invita a considerare con prudenza le implicazioni culturali e sociali delle scelte legislative, affinché ogni nuovo cittadino non sia solo un titolare di diritti, ma anche un partecipante attivo e consapevole alla vita comune.

Conclusione: Difendere il Lavoro, Preservare la Cittadinanza

Sostenere i primi quattro quesiti referendari significa restituire centralità al lavoro, tutelare i diritti, contrastare la precarietà. Ma dire “no” al quinto quesito è altrettanto necessario per proteggere il significato profondo della cittadinanza e prevenire derive demagogiche che mettono a rischio coesione sociale e dignità del lavoro.

Una società giusta e solidale non svende la cittadinanza, né la separa dal senso di appartenenza e responsabilità. Ecco perché, l’8 e il 9 giugno, l’unica scelta coerente con la tutela dei diritti è Quattro Sì per il lavoro e un No per difendere l’Italia.