Quando ti dicono “Ma Putin è un dittatore…”

La guerra in Ucraina e la distrazione sulla politica interna russa

 

Quando si cerca di spiegare le cause di lungo corso che hanno portato al conflitto in Ucraina, le discussioni spesso deviano su un binario parallelo. Invece di confrontarsi con le evidenze storiche e geopolitiche, alcuni interlocutori preferiscono liquidare il discorso spostando l’attenzione sulla politica interna russa e sulla figura di Vladimir Putin. L’argomentazione tipica suona più o meno così: Putin è un dittatore, perseguita e uccide gli oppositori, non permette elezioni libere, dunque la Russia è il male assoluto.

Questo approccio, per quanto diffuso, è fondamentalmente scorretto dal punto di vista logico e analitico. Si tratta di un classico esempio di red herring, una fallacia logica in cui si introduce un argomento secondario per sviare l’attenzione dalla questione principale. L’analisi del conflitto ucraino non può ridursi a una valutazione morale del governo russo, ma deve concentrarsi sui fattori strutturali che hanno portato allo scontro, ovvero la crescente tensione tra la Russia e la NATO, l’espansione dell’Alleanza Atlantica, il ruolo degli Stati Uniti e la strumentalizzazione dell’Ucraina come avamposto strategico.

Il pretesto ucraino e l’obiettivo strategico di disgregare la Russia

Analisti indipendenti come Jeffrey Sachs hanno più volte sottolineato che il conflitto non è nato dal nulla e non è il semplice frutto della volontà espansionistica di Mosca. Piuttosto, si inserisce in un quadro più ampio di tentativi occidentali di ridimensionare il peso geopolitico russo. Le sanzioni economiche, il supporto massiccio a Kiev e la narrativa dominante nei media occidentali mirano tutte a un obiettivo chiaro: non la difesa della democrazia ucraina, ma l’indebolimento della Russia come potenza sovrana.

Non si tratta di difendere Putin o il suo sistema di governo, ma di capire se la narrazione prevalente non sia essa stessa uno strumento di guerra. A tal proposito, sorge spontanea una domanda: perché l’Occidente applica due pesi e due misure quando si tratta di valutare la democrazia e i diritti umani nei diversi paesi?

 

La questione della repressione interna: coerenza o ipocrisia?

Se l’Occidente fosse realmente preoccupato per la repressione dei dissidenti e la libertà di espressione, avrebbe lo stesso atteggiamento nei confronti di alleati come l’Arabia Saudita o Israele. Tuttavia, vediamo come il giudizio sia selettivo e strumentale. In Ucraina, ad esempio, sono stati messi fuori legge partiti di opposizione, chiusi media filo-russi, eppure nessun leader occidentale si è stracciato le vesti per la democrazia in pericolo. Lo stesso vale per Israele, che porta avanti operazioni di repressione sistematica contro i palestinesi, senza subire condanne paragonabili a quelle rivolte a Mosca.

L’Europa sta davvero perseguendo i propri interessi?

Un altro punto fondamentale sollevato da Sachs riguarda la politica estera dell’Unione Europea. Seguire ciecamente gli Stati Uniti in questa guerra è davvero nell’interesse dell’Europa? La dipendenza dal gas statunitense, il crollo del commercio con la Russia e il peso crescente della crisi economica sono conseguenze dirette delle scelte fatte a Bruxelles. Ma a chi giova questa politica? Agli stati europei o agli USA, che hanno guadagnato una posizione di controllo totale sull’economia e la sicurezza dell’UE?

La questione di fondo è quindi questa: le argomentazioni che distolgono l’attenzione dai reali fattori della guerra servono a mantenere l’opinione pubblica in una bolla ideologica, dove esiste un nemico assoluto e il blocco occidentale è sempre e comunque il portatore di democrazia. È davvero così? Oppure questa visione è utile a giustificare politiche che danneggiano gli stessi cittadini europei?

Chi si ferma alla demonizzazione di Putin e della Russia senza analizzare il quadro più ampio sta cadendo in una trappola mediatica. Capire le dinamiche di questa guerra significa andare oltre le semplificazioni e riconoscere che dietro ogni conflitto c’è una strategia e una volontà politica. Ed è questa la vera domanda che bisognerebbe porsi: chi sta davvero guidando l’Europa in questa guerra, e per quali interessi?

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