Quando gli squali si divorano tra loro: crisi del turbo-capitalismo e tentazione bellica in Europa

“La finanza è passata da mezzo a fine, da strumento a potere. E ora divora tutto ciò che non può controllare.”
Luigino Bruni, economista, autore de “La ferita dell’altro”

Quando gli squali in una vasca finiscono i pesci, iniziano a mangiarsi tra di loro. È un’immagine cruda, ma efficace per descrivere ciò che sta accadendo oggi nel mondo occidentale. In particolare negli Stati Uniti, dove il sistema economico – giunto all’esasperazione del turbo-capitalismo – si trova ora a fronteggiare le proprie contraddizioni interne. E in Europa, dove, persa ogni ambizione autonoma, si pensa alla guerra come nuovo sbocco produttivo.

Questa fase di autodigestione del sistema non è solo un momento di decadenza: può anche aprire lo spazio per un cambiamento reale, a patto che ci sia chi sappia coglierlo. Donald Trump, al di là delle sue intenzioni e consapevolezze, ha avuto il merito di innescare questa crisi di consapevolezza. Non certo con un’alternativa ideologica compiuta, ma con gesti simbolici e scelte economiche che hanno messo in discussione l’ordine globalista vigente.

Emblematico fu il suo commento a Zelensky, ricevuto alla Casa Bianca senza abito formale: un gesto apparentemente banale, che in realtà diceva molto sulla perdita di misura, sull’improvvisazione travestita da eroismo e sulla spettacolarizzazione della guerra. Trump, pur nei suoi limiti, nomina l’ipocrisia per ciò che è, senza troppi giri di parole. E quando impone dazi, lo fa non per ideologia ma per difesa: perché lo squalo, sentendosi accerchiato, attacca quelli della sua stessa specie.

Il paese che non produce più nulla

Il turbo-capitalismo statunitense ha trovato la sua espressione estrema in modelli economici che divorano ogni legame con la realtà produttiva. Prendiamo come esempio emblematico l’Irlanda: un paese che, nel tentativo di attrarre capitali esteri, ha costruito un’economia fittizia basata su agevolazioni fiscali e sull’installazione fittizia di sedi legali di multinazionali. Apple, Google, Facebook hanno “sedi” irlandesi per motivi fiscali, ma senza un reale impatto industriale sul territorio. Il PIL esplode, ma la popolazione non ne ricava alcun beneficio tangibile.

Allo stesso modo, gran parte dell’economia statunitense è oggi fondata su finanza speculativa, fondi d’investimento, algoritmi di trading ad alta frequenza e imprese tecnologiche che crescono in borsa senza produrre beni concreti. Questo sistema non crea prosperità condivisa, ma instabilità. Quando tutto è ridotto a flussi di capitale senza ancoraggio al lavoro e alla terra, si entra in una spirale perversa.

L’Unione Europea e la tentazione bellica

Di fronte a questa crisi sistemica, l’Unione Europea non cerca una nuova via. Al contrario, si appresta a seguire la peggiore delle ricette: quella della guerra come volano economico. È un copione già visto nel Novecento, quando le potenze in crisi cercarono nell’industria bellica e nel riarmo lo sbocco alla stagnazione.

“Quando l’economia si svincola dalla realtà e dalla persona umana, l’unico orizzonte possibile diventa la guerra.”
Papa Francesco, Evangelii Gaudium

Il piano di difesa comune promosso da Bruxelles – spacciato per risposta alle minacce esterne – è in realtà il segnale di un continente che non sa più produrre ricchezza se non preparando il terreno a una nuova escalation. L’industria militare torna centrale, i fondi pubblici si spostano dalla sanità e dall’educazione verso i missili, e ogni voce contraria viene silenziata in nome della sicurezza.

La guerra diventa così la scorciatoia per tenere in piedi un sistema economico che non funziona più, che ha smarrito ogni fondamento nel reale, e che preferisce la distruzione alla riforma.

Cina: l’eccezione che conferma il declino occidentale

Trump, nei suoi piani di protezionismo economico, ha individuato la Cina come avversario principale. Ma Pechino non gioca secondo le regole occidentali: non accetta condizioni, non si piega al ricatto del dollaro, e non fa la fila per trattare. La Cina produce, costruisce, investe in infrastrutture reali. Il suo potere si basa ancora – con tutti i limiti del caso – su una visione di lungo periodo e su un radicamento nella realtà produttiva.

Trump, che ha voluto rilanciare la manifattura americana, si è scontrato con un sistema finanziario che vive della dissoluzione del lavoro e della delocalizzazione. E ha trovato nella Cina un nemico impossibile da piegare con le stesse armi che avevano distrutto altri.

Conclusione: oltre la vasca degli squali

Siamo giunti al punto in cui gli squali cominciano a divorarsi. È il segnale che il sistema tocca il fondo. Ma è anche il segnale che un’alternativa è possibile. Serve però il coraggio di uscire dalla vasca, di rifiutare sia il cinismo finanziario americano che il bellicismo “umanitario” europeo. Serve tornare alla realtà: alla produzione, alla comunità, al valore umano del lavoro.

Trump, con tutti i suoi limiti, ha indicato – forse involontariamente – questa crepa nel sistema. Sta a noi decidere se attraversarla o se continuare a fingere che il futuro sia ancora là dove non c’è più nulla.