Putin va a Cairo mentre Trump si lega le mani

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M. K. Bhadrakumar Indian Punchline 9 dicembre 2017

L’autogol degli Stati Uniti a Gerusalemme apre alla Russia l’opportunità per rafforzare la reputazione di attore creativo e positivo nella politica mediorientale. A quattro giorni dall’annuncio del presidente Trump su Gerusalemme, il Presidente Vladimir Putin avvia “visite di lavoro” non programmate in Egitto e Turchia. Il Ministero degli Esteri russo rilasciava una lunga dichiarazione criticando la decisione degli Stati Uniti su Gerusalemme e affermando che, “Riteniamo che una soluzione equa e duratura al protratto conflitto israelo-palestinese si basi sul diritto internazionale, comprese le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e dell’Assemblea Generale che prevedono la definizione di tutti gli aspetti dello status dei territori palestinesi, inclusa la delicatissima questione di Gerusalemme, attraverso colloqui diretti israelo-palestinesi. La nuova posizione degli Stati Uniti su Gerusalemme può ulteriormente complicare le relazioni israelo-palestinesi e la situazione nella regione… La Russia vede Gerusalemme Est come capitale del futuro Stato palestinese e Gerusalemme Ovest dello Stato d’Israele”. La Russia si posiziona appropriatamente nel mondo arabo. Ma la questione di Gerusalemme non è ciò che porta Putin a Cairo. Il sito del Cremlino segnalava la necessità di “dare stabilità e sicurezza in Medio Oriente e Nord Africa”. Il che significa Libia, Sinai e Siria e anche Yemen, in quest’ordine forse.

Il punto è che il “dossier libico” è stato riaperto. Lo Stato islamico passa in Libia dopo la schiacciante sconfitta in Iraq e Siria. Russia ed Egitto avvertono l’imperativo di mobilitarsi rapidamente e affrontare i gruppi estremisti in Libia, appoggiando il comandante dell’esercito nazionale libico Qalifa Haftar, insediato a Bengasi e che (giustamente) vedono come baluardo all’estremismo in Libia. Il vuoto di potere in Libia e la crescente insicurezza nell’Egitto occidentale minacciano la stabilità dell’Egitto e il prestigio del Presidente Sisi. D’altra parte, il coinvolgimento egiziano in Libia influisce sugli equilibri di potere in Medio Oriente. È interessante notare che anche le monarchie del Golfo sono coinvolte nella crisi libica.

Qui arriva Trump. Il primo ministro libico Fayaz al-Saraj visitava la Casa Bianca il 1° dicembre e con Trump discusse l’”opportunità di future collaborazioni” sottolineando “l’impegno costante degli USA per sconfiggere SIIL e altri terroristi jihadisti in Libia”, e a “collaborare per la stabilità e l’unità libiche“. Parallelamente il presidente francese Emmanuel Macron ospitava Saraj a Parigi. (Saraj ha la solida reputazione di “Ashraf Ghani” del Maghreb, politico imposto dalle potenze occidentali). Tenere la Russia fuori dalla Libia è la chiave della strategia occidentale (come in Afghanistan). Ma anche Russia ed Egitto hanno interessi specifici. La Libia era un alleato sovietico e ha una posizione strategica del Mediterraneo di fronte al fianco meridionale della NATO. Per l’Egitto, l’instabilità in Libia si riversa nella penisola del Sinai, come già accade. L’ambizione di Sisi sarà creare una sorta di protettorato egiziano in Cirenaica contro i gruppi estremisti. Senza dubbio, con 1200 chilometri di frontiera condivisa con la Libia, le preoccupazioni per la sicurezza dell’Egitto sono legittime.

L’Egitto è anche un importatore netto di energia. Haftar controlla la cosiddetta mezzaluna petrolifera in Libia e il colosso petrolifero russo Rosneft è tornato in Libia. Chiaramente, la piattaforma energetica permette una cooperazione potenzialmente lucrosa tra Russia, Haftar ed Egitto, sebbene sia secondaria rispetto alle dimensioni militare e della sicurezza. Mosca per prima si rivolge all’ONU su questioni chiave coinvolgendo anche il governo Saraj a Tripoli, suggerendo che Mosca soprattutto agirebbe da intermediario tra i partner rivali della Libia, Saraj e Haftar, ed infine manovrare per compensare le perdite finanziarie subite nel 2011 col cambio di regime, stimate ad oltre 10 miliardi in contratti ferroviari, edili, energetici e per armamenti. Ma l’occidente farà attenzione che Putin, come in Siria, non lo sconfigga anche in Libia. La situazione libica ha sue caratteristiche specifiche ma la rivalità tra grandi potenze accelera. Washington potrebbe apparire in una posizione migliore in Libia, dato che gli alleati della NATO vi sono interessati. Ma tutte le scommesse finiscono quando Putin entra in scena. Per un efficace ruolo della Russia nella sfera militare e della sicurezza per stabilizzare la Libia, Mosca ha bisogno di un partner regionale. Putin ha un ottimo rapporto con Sisi. Washington seguirà da vicino i loro colloqui a Cairo.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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