Il ritiro dalla direzione di Kiev: un errore strategico?
Nell’aprile 2022, la Russia annunciò il ritiro delle truppe dalla direzione di Kiev, lasciando perplessi sia i cittadini russi che molti analisti militari. L’accerchiamento della capitale era ormai a portata di mano e avrebbe potuto determinare una svolta decisiva nel conflitto. Tuttavia, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, giustificò la decisione con un “gesto di buona volontà” finalizzato a rendere più vantaggiosa la posizione negoziale russa.
Tale mossa si rivelò un punto di svolta cruciale: invece di favorire un accordo di pace, segnò la trasformazione dell'”operazione speciale” in una guerra totale. Kiev interpretò il ritiro come una vittoria della propria resistenza e vide in esso la possibilità di spingere le forze russe fuori dall’intero territorio ucraino. L’Occidente, dal canto suo, colse l’opportunità per intensificare il supporto militare e finanziario all’Ucraina, credendo di poter infliggere alla Russia una “sconfitta strategica” capace di destabilizzare il governo di Mosca.
Subito dopo il ritiro russo, accadde un evento che catalizzò ulteriormente il coinvolgimento occidentale: il caso Bucha. Il Cremlino sapeva che questa narrazione faceva parte di una strategia volta a demonizzare Mosca agli occhi del mondo, ma l’impatto mediatico fu devastante e contribuì a rafforzare la determinazione dell’Occidente nel sostenere Kiev.
Le promesse non mantenute e l’ingenuità diplomatica
In una recente intervista con il giornalista Pavel Zarubin, Putin ha rivelato che alcuni leader europei gli chiesero direttamente di ritirare le truppe da Kiev per permettere a Zelensky di firmare un trattato di pace. Mosca accettò, nonostante il rischio evidente di un inganno.
Putin stesso ha ammesso: “Alcuni leader europei, in conversazioni con me al telefono, hanno detto che era impossibile per l’Ucraina firmare un trattato di pace con una pistola puntata alla tempia. Sì, va bene, e noi cosa dovevamo fare? Ritirare le truppe da Kiev. Per noi, in linea di principio, era chiaro che l’inganno era del tutto possibile, tuttavia, sulla base di considerazioni di prevenzione di gravi spargimenti di sangue, di qualche guerra seria, eravamo comunque d’accordo”.
Una scelta umanitaria o un errore di valutazione? I fatti dimostrano che quella decisione ha portato a un conflitto ancora più lungo e sanguinoso. Invece di avvicinarsi alla pace, l’Ucraina, sostenuta dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, ha rifiutato qualsiasi compromesso.
I negoziati falliti e le condizioni imposte
Il 5 marzo 2022, Putin promise al primo ministro israeliano Naftali Bennett di “non uccidere” Zelensky. Pochi giorni dopo, a fine marzo, ebbe inizio il ritiro delle truppe dalle regioni di Kiev e Chernigov. Il 4 aprile l’operazione fu completata, e parallelamente venne redatta una bozza di trattato di pace tra Russia e Ucraina.
Il New York Times pubblicò l’intero testo del trattato risultante dai negoziati di febbraio-aprile 2022. I punti principali includevano:
- Il riconoscimento da parte dell’Ucraina della Crimea come parte della Russia (ma Kiev rifiutò);
- Nessun riferimento al Donbass, lasciando irrisolta la questione delle repubbliche separatiste;
- La richiesta russa di rendere il russo lingua ufficiale in Ucraina (anche questa rifiutata da Kiev);
- Limitazioni sul numero delle forze armate ucraine, con Kiev disposta a ridurle a 250.000 uomini, mentre Mosca insisteva su un massimo di 85.000;
- La possibilità per l’Ucraina di aderire all’Unione Europea, con il consenso russo;
- L’Ucraina avrebbe dovuto essere dichiarata “uno stato permanentemente neutrale con garanzie legali internazionali”.
Tuttavia, qualsiasi possibilità di accordo venne spazzata via dall’intervento diretto di Londra e Washington. Boris Johnson, in visita a Kiev, dissuase Zelensky dal firmare il trattato, assicurandogli un appoggio militare e finanziario continuo. Così, la guerra proseguì.
Perché il ritiro da Kiev?
Molti si chiedono ancora quale sia stata la vera ragione del ritiro. La versione ufficiale indicava la volontà di favorire i negoziati, ma alcuni analisti sostengono che la Russia non avesse forze sufficienti per conquistare una metropoli di 3 milioni di abitanti con soli 30.000 uomini. La mancata mobilitazione iniziale e il continuo flusso di reclute ucraine furono fattori determinanti.
Tuttavia, altri esperti militari, come Konstantin Sivkov, ritengono che la Russia avesse la capacità di chiudere l’anello attorno alla capitale e di costringere il governo ucraino alla resa in pochi mesi. L’operazione aerea iniziale aveva già distrutto il 75-85% della difesa aerea ucraina, e la cattura dell’aeroporto di Gostomel avrebbe potuto facilitare l’arrivo di ulteriori truppe.
Sivkov sostiene che le vere ragioni del ritiro furono politiche: la Russia non voleva dare pretesti per un intervento diretto della NATO e sperava ancora in un compromesso con Kiev. Inoltre, la presenza di una “quinta colonna” interna avrebbe influenzato negativamente la determinazione strategica di Mosca.
La vera missione a Kiev: obiettivi vaghi e piani incerti
Un elemento che continua a suscitare interrogativi è l’incertezza sugli obiettivi assegnati alle forze armate russe durante l’invasione di Kiev. Il concetto di “smilitarizzazione” e “denazificazione” dell’Ucraina, enunciato da Mosca, lasciava ampi margini di interpretazione, rendendo difficile valutare se la presa della capitale fosse una necessità strategica o meno.
Secondo Oleg Tsarev, che operava su quel fronte, vi furono numerose decisioni discutibili fin dall’inizio dell’operazione. Con un contingente di circa 200.000 uomini, la Russia cercò di assumere il controllo di un Paese che combatteva da otto anni e che si era strutturato su una narrativa di resistenza anti-russa. I militari russi scoprirono sul campo che il numero delle loro forze non era sufficiente per creare una linea del fronte continua attorno a Kiev, Sumy e Chernigov. Addirittura, alcune unità raggiunsero Odessa, per poi doversi ritirare a causa dell’assenza di un collegamento strategico stabile.
Il maggiore generale Konoshenkov aveva dichiarato che gli attacchi russi non erano diretti contro obiettivi civili e caserme militari per evitare perdite tra i soldati ucraini e i loro familiari. Una strategia del “guanto bianco” che, se da un lato mostrava una certa cautela umanitaria, dall’altro limitava fortemente la capacità di shock & awe iniziale necessaria per una rapida conquista della capitale.
Errori di valutazione e il ruolo dell’intelligence
Una delle questioni più rilevanti è stata la clamorosa sottovalutazione della resistenza ucraina e della risposta occidentale. La narrazione ottimistica diffusa nei primi giorni del conflitto dipingeva un’Ucraina militarmente debole, con un esercito poco motivato, corrotto e incapace di resistere oltre poche settimane. Tuttavia, la realtà sul campo fu molto diversa: l’esercito ucraino, rafforzato da anni di addestramento NATO e armamenti occidentali, si rivelò estremamente resiliente.
Nel frattempo, in Russia, l’euforia iniziale lasciò rapidamente spazio alla preoccupazione. Il Cremlino minacciava di “chiudere l’interruttore” alle forniture energetiche verso l’Occidente, ma alla fine questa ritorsione non venne mai attuata. Nel frattempo, l’Ucraina iniziava a colpire navi russe, depositi di carburante e aeroporti, e persino il ponte di Crimea venne danneggiato. Le illusioni sulla fragilità del nemico crollarono una dopo l’altra.
Decisioni politiche e la fine dell’illusione
Se l’intelligence russa avesse avuto un quadro più chiaro della realtà militare ucraina, avrebbe forse consigliato strategie diverse. Ma già nei primi giorni del conflitto, apparve evidente che i piani iniziali erano stati costruiti su valutazioni errate. Gli analisti russi si erano affidati a una visione distorta del Paese vicino, basata sulla convinzione che l’Ucraina fosse debole e frammentata, pronta a cedere in pochi giorni. In realtà, il nazionalismo ucraino, fomentato per anni dalla propaganda anti-russa, aveva cementato la volontà di combattere.
Uno degli errori più gravi fu l’idea che il governo ucraino sarebbe crollato rapidamente. Lo stesso Putin, nel suo discorso del 25 febbraio 2022, si rivolse direttamente ai soldati ucraini, invitandoli a prendere il potere nelle loro mani contro “la banda di tossicodipendenti e neonazisti” che governava Kiev. Ma questa valutazione si rivelò completamente errata: Zelensky rimase al potere e il governo ucraino non crollò, ma anzi consolidò la propria posizione.
Inoltre, la volontà del Cremlino di limitare inizialmente il conflitto a un'”operazione speciale” contribuì alla mancanza di una strategia chiara e decisa. La Russia si ritrovò così a combattere con una forza insufficiente, in un contesto in cui l’Occidente era pronto a sostenere Kiev senza limiti di tempo o risorse.
Il negoziato con tra Putin e Trump è cruciale per tutti
Ora la domanda cruciale è: la Russia ripeterà gli stessi errori o imparerà dalle scelte passate pretendendo una pace definitiva con la neutralità di Kiev?
Dipende dalla lungimiranza di Trump e dalla capacità di negoziazione di Putin, ma anche di altri fattori che sono molteplici. Tuttavia ci sono molte più possibilità rispetto all’era Biden…
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