C’è un errore di fondo in molte delle conversazioni che si sentono oggi su Donald Trump, un errore che trasforma una questione di portata geopolitica in un semplice giudizio personale: “Mi è simpatico” o “Mi è antipatico”.
Questa riduzione semplicistica oscura una realtà ben più complessa. Trump non è solo il presidente dal carattere sopra le righe o il magnate che incarna certi stereotipi americani: è, soprattutto, una figura di rottura con l’ordine globale consolidato dagli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, resosi ancor più evidente specialmente dall’11 settembre in poi, con le “guerre infinite”.
La sfida all’oligarchia anglosassone progressista e mondialista
Per decenni, un’alleanza non ufficiale tra le élite finanziarie anglosassoni – con Londra come centro nevralgico – e le istituzioni americane ha dominato la geopolitica globale. Le istituzioni finanziarie britanniche, come la City di Londra, insieme ai servizi segreti e ai think tank strategici, hanno esercitato un’influenza sotterranea, ma potentissima, anche sulle decisioni interne degli Stati Uniti.
Trump, con la sua visione di “America First”, ha rappresentato un’inaspettata minaccia a questo ordine consolidato. Non è un caso che il cosiddetto RussiaGate – rivelatosi in gran parte infondato secondo diverse indagini successive – abbia visto un coinvolgimento diretto di agenti legati agli ambienti di intelligence britannici. L’obiettivo? Impedire una possibile alleanza strategica tra Washington e Mosca, che avrebbe spezzato l’asse di potere tra Londra, Bruxelles e Washington.
Un cambiamento di paradigma geopolitico
Tra le prime mosse di Trump è stata evidente la volontà di riavvicinarsi alla Russia, rompendo una retorica antirussa diventata prassi negli ambienti diplomatici occidentali. Questo è un gesto cruciale. Basti pensare alle conseguenze dell’eliminazione della diplomazia, agli effetti di ritorno delle sanzioni e alla guerra in Ucraina, in realtà una “guerra mondiale a pezzi” con perdite umane immani.
Ma abbiamo visto che le azioni di Trump non si sono limitate a questo: il presidente ha attaccato in maniera diretta il cosiddetto deep state – quella rete di funzionari, agenzie e istituzioni (come FBI, CIA e persino il sistema educativo) che, indipendentemente dalla volontà popolare, perpetuano le stesse politiche globaliste. La sua lotta ha incluso il tentativo di smantellare i meccanismi di finanziamento di enti come USAID, utilizzati spesso per influenzare governi stranieri a favore di agende specifiche e sotto il controllo di circoli globalisti potentissimi.
L’Influenza occulta dei centri di potere anglosassoni anche sul Vaticano
Al di là degli Stati Uniti, Trump ha anche indirettamente sfidato un altro attore geopolitico meno evidente: il Vaticano. Alcuni analisti sostengono che l’elezione dell’attuale Papa abbia favorito indirettamente la diffusione di ideologie globaliste, allineandosi con le stesse forze che Trump combatteva. Un esempio emblematico è la questione dell’immigrazione, vista non solo come un fenomeno umanitario, ma come parte di un progetto globalista volto a favorire un governo mondiale, attraverso l’erosione delle identità nazionali, delle tradizioni e di ogni punto di riferimento culturale stabile – paradossalmente, inclusa la stessa Chiesa cattolica.
Alcune ipotesi suggeriscono persino che l’elezione del Papa possa essere stata influenzata dalla cosiddetta “Mafia di San Gallo”, un gruppo informale di cardinali progressisti che avrebbe lavorato per favorire l’elezione di un leader spirituale più allineato alle visioni globaliste. Questa figura non sarebbe solo un capo religioso, ma anche un attore politico utile alle élite globali per promuovere una visione “unificata” del mondo.
Questa interpretazione trova riscontro anche nelle testimonianze dirette di vari religiosi, alcuni dei quali hanno pubblicato libri per denunciare tali dinamiche. Non si tratta, dunque, di una teoria del complotto, ma di una lettura critica basata su segnali concreti e sulle politiche adottate dal Vaticano su temi come l’immigrazione, il cambiamento climatico, i vaccini, la teoria gender, la cultura della cancellazione e la governance globale. Secondo questi osservatori, tali posizioni si allineano a un’agenda che mira a dissolvere le radici culturali e religiose delle nazioni, favorendo un’omologazione funzionale all’instaurazione di un nuovo ordine globale.
Non è una questione di Simpatia
Alla luce di queste considerazioni, giudicare Trump basandosi solo su una percezione personale è non solo superficiale, ma pericolosamente miope. Che piaccia o meno il suo stile diretto e il suo linguaggio spesso provocatorio, oppure le contraddizioni di cui senz’altro sarà disseminato il suo mandato, non si può negare che stia scuotendo le fondamenta di un sistema di potere che si perpetuava senza alcun vero controllo democratico.
Basta ascoltare la reazione della leadership europea di fronte al discorso del vicepresidente J.D. Vance, per capire quanta corruzione esiste in seno alle istituzioni europee. Non importa se quelle di Vance siano state parole più o meno interessate: sono comunque parole vere, che toccano i veri problemi concreti che sussistono in Europa. Perciò, ciò che dovrebbe interessare è la forza di cambiamento che questo sommovimento può rappresentare per riprendere a fare veramente il bene comune e non portare avanti politiche distruttive come il New Deal verde e tutta una serie di distorsioni rispetto alle esigenze umane fondamentali che la tradizione greco-romana aveva distillato e messo come radici del nostro camminare insieme.
Il vero nodo della questione è che il nuovo equilibrio globale, promosso da Trump, è un’opportunità e non una minaccia per la sovranità futura delle nazioni. È un’opportunità per ridisegnare i rapporti internazionali su basi più equilibrate, con meno interferenze di poteri occulti. È un’opportunità per dire basta a politiche antiumane e antistoriche che hanno preso di mira l’uomo come creatura con un destino che non può essere ridotto a un meccanicismo. Se togliamo alla vita e alla storia ciò che ha prodotto la coscienza di un uomo pienamente presente a se stesso, cosa rimane se non rovine e violenza espressa in vari modi?
Oltre le Antipatie Personali
In definitiva, valutare una figura come Trump solo sulla base di simpatie personali è come giudicare un uragano per il rumore che fa, ignorando la trasformazione che lascia dietro di sé. Le sue azioni, giuste o sbagliate che siano, hanno aperto una finestra di opportunità per una revisione critica dell’architettura globale dei rapporti internazionali, delle basi della vita democratica e del rilancio della sovranità delle nazioni contro le ingerenze delle istituzioni internazionali. Trump ha messo in discussione l’ordine globale imposto dall’élite globalista, un sistema che aveva ormai pesantemente distorto il concetto di sovranità con un autoritarismo mascherato e una politica di controllo che avanzava a passi sempre più decisi e opprimenti.
Vista la deriva in atto delle nostre nazioni, dove la regola delle istituzioni è diventata la disumanità, non possiamo permetterci giudizi semplicistici: il cambiamento non si valuta con un “mi piace” o “non mi piace”, ma con la consapevolezza delle scelte in atto e delle loro conseguenze a lungo termine. Trump, con tutti i suoi difetti, ha il merito di aver infranto il silenzio su una degenerazione in atto, orchestrata da una sorta di cupola radical-progressista che sta promuovendo un ordine globale fondato principalmente sulla corruzione delle coscienze e sulla manipolazione dei valori tradizionali. Questo, volenti o nolenti, rappresenta un punto di svolta cruciale che merita un’analisi profonda e razionale, non un giudizio di pancia.
Oltre le aspettative di Perfezione
Mi aspetto quindi che Trump risolva tutti i problemi del mondo, eliminando le ingiustizie e portando armonia ovunque? La risposta è no, e in fondo non è nemmeno questo il punto. Il male, in qualche forma, esisterà sempre, perché fa parte della condizione umana e del mistero della nostra esistenza. Ciò che conta davvero non è la pretesa di un mondo perfetto, ma che il ptere che ci sarà sempre mi dia almeno la possibilità di un cammino di senso personale che ciascuno di noi è chiamato a percorrere.
Quello che davvero mi aspetto è che ogni individuo, nascendo, possa essere meno condizionato da un controllo opprimente e meno spinto verso scelte che lo allontanano dalla propria natura più autentica. Questa è la vera strada legata all’esistenza e al destino di ognuno di noi: la possibilità di vivere secondo verità e che non sia deviato mentalmente nella percezione di sè tramite veleni subdoli.
Per questo motivo, qualsiasi forza o figura che contribuisca a liberare l’uomo da vincoli imposti dall’esterno – indipendentemente da chi essa sia – è la benvenuta. Non conta il volto del cambiamento, ma la direzione verso cui ci spinge: quella di una maggiore consapevolezza, dignità e libertà per tutti.
Ma resisterà davvero…? E poi, chi può garantirci che non cambierà come tutti gli altri? In fondo, questo non è ciò che conta davvero. Ciò che conta sono i passi già compiuti. Alcuni passi, una volta fatti, non si possono più cancellare. Sono di una natura diversa, restano impressi nella memoria, risvegliano la memoria, ispireranno altri. Viviamo il presente!