La trasformazione apportata alla Chiesa da Papa Francesco rappresenta la sintesi di una svolta teologica e culturale iniziata con Pedro Arrupe. Dietro il volto dell’inclusione e della fratellanza si cela un cambio di paradigma: dalla salvezza eterna all’attivismo globale, dall’annuncio del Vangelo all’inclusione e alla complicità con l’élite tecnocratica.
Segue un’analisi critica sull’influenza gnostica, sociologica e geopolitica che ha destrutturato l’identità cattolica. La trasformazione impressa da Papa Francesco ha inciso profondamente sulla vita della Chiesa, segnando una svolta teologica e culturale che affonda le radici nella linea tracciata da Pedro Arrupe.
Pur rimanendo viva nella Chiesa una pluralità di esperienze fedeli alla Tradizione e animata da vocazioni autentiche, l’impronta del pontificato bergogliano ha orientato la pastorale verso nuovi orizzonti. Dietro il volto dell’inclusione e della fratellanza, si delinea un cambio di paradigma: dalla centralità della salvezza eterna all’attivismo globale, dall’annuncio del Vangelo al dialogo con le élite tecnocratiche. Il futuro della Chiesa dipenderà anche da quanto il prossimo pontificato vorrà proseguire o correggere questa traiettoria.
In questa prospettiva, si propone un’analisi critica dell’influenza gnostica, sociologica e geopolitica che ha segnato una parte rilevante della pastorale recente.
La svolta gesuitica: da milizia papale a laboratorio ideologico
La Compagnia di Gesù, fondata da Sant’Ignazio di Loyola, nacque come ordine militante al servizio diretto del Papa. I Gesuiti erano evangelizzatori, missionari, educatori: l’élite intellettuale della Chiesa, fortemente ancorata all’ortodossia e alla difesa della dottrina. Con Pedro Arrupe, Superiore Generale dal 1965 al 1983, quest’identità si è trasformata radicalmente. Egli promosse un nuovo paradigma: i Gesuiti come agenti di cambiamento sociale, non più difensori della verità rivelata, ma promotori di giustizia sociale secondo una visione che mescolava elementi marxisti, esistenzialisti ed esoterici.
Pedro Arrupe e l’esistenzialismo teologico
Arrupe, influenzato da Heidegger, ha tentato di trasporre l’ontologia esistenziale nel linguaggio della fede. Questa operazione ha segnato l’ingresso della gnosi moderna nella teologia cattolica: non più un Dio che si rivela per salvare, ma un Dio che ha bisogno dell’uomo per compiersi. Il cristianesimo diventa così processo storico, auto-redenzione collettiva, costruzione umana del divino. Da questa impostazione è nata la Teologia della Liberazione, fusa in Argentina nella cosiddetta “Teologia del Popolo”. Si tratta di una religione secolare travestita da carità: sentimentale, orizzontale, funzionale al progetto di un’umanità autorigenerata.
Jorge Mario Bergoglio: il discepolo coerente
Papa Francesco è figlio diretto di questa trasformazione. La sua formazione gesuitica argentina lo ha reso erede della rivoluzione culturale innescata da Arrupe. Ma è da notare che il gesuita Pedro Arrupe, fu oggetto di interventi disciplinari da parte del papato, in particolare durante il pontificato di Giovanni Paolo II, a causa delle tensioni legate alla sua visione progressista e alla direzione impressa all’ordine gesuita nel post-Concilio Vaticano II. Tali provvedimenti non furono punizioni personali dirette contro Arrupe, ma piuttosto interventi sulla governance della Compagnia di Gesù, motivati da preoccupazioni circa il suo orientamento teologico e politico. E’ interessante che nonostante queste evidenze, papa Francesco ha avviato la causa di beatificazione del suo mentore spirituale. Il suo magistero ne riflette i principi: una fede inclusiva, dove accompagnare le fragilità del mondo diventa la base della missione della chiesa. Le frasi come “Dio non può essere Dio senza l’uomo” o “chi sono io per giudicare?” diventano espressioni emblematiche di un’antropoteismo latente.
In questa visione molti teologi e religiosi intravvedono un certo gnosticismo. Questo modello si riflette in molte iniziative del pontificato: dalla centralità della “cura del creato” al culto ambientalista della Pachamama, dall’ambiguità delle espressioni dottrinali all’adesione a visioni globaliste. In definitiva, il cattolicesimo bergogliano sembra una religione dell’umanità, dove ogni credenza, ogni cultura e ogni comportamento trovano cittadinanza, purché aderiscano alla narrazione sentimentale dominante.
Geopolitica del pontificato di Papa Francesco: un allineamento con il potere globale
Il pontificato di Papa Francesco si configura come un punto di svolta nella storia della Chiesa cattolica, segnando un’apparente convergenza tra l’autorità spirituale del Vaticano e gli interessi delle élite transnazionali che plasmano l’ordine globale. Lungi dall’essere un contrappeso critico al potere secolare, come la Chiesa è stata in epoche passate, il papato di Francesco sembra assumere il ruolo di “guida morale” di un’agenda globalista, integrandosi con le narrazioni e gli obiettivi delle istituzioni sovranazionali, come il World Economic Forum (WEF), l’ONU e i grandi conglomerati economico-finanziari.
Uno degli esempi più emblematici di questo allineamento è stato il sostegno di Papa Francesco alle campagne vaccinali durante la pandemia di Covid-19. La sua celebre affermazione, “vaccinarsi è un atto d’amore”, non solo ha legittimato le politiche sanitarie globali, ma ha anche conferito una dimensione etica e spirituale a scelte controverse, spesso percepite come imposizioni top-down. La chiusura delle chiese durante i lockdown, in netto contrasto con la tradizione di mantenere i luoghi di culto aperti anche nei momenti di crisi, ha ulteriormente consolidato l’immagine di una Chiesa subordinata alle direttive delle autorità secolari. Questi gesti, apparentemente pragmatici, hanno sollevato interrogativi sulla capacità della Chiesa di mantenere la propria autonomia spirituale di fronte alle pressioni del potere globale.
Il dialogo con il World Economic Forum e il “capitalismo inclusivo”
Il rapporto tra Papa Francesco e il World Economic Forum rappresenta un altro pilastro di questa convergenza geopolitica. Le lettere di sostegno inviate al WEF, insieme alla partecipazione attiva del Vaticano a iniziative come il “Council for Inclusive Capitalism”, evidenziano un’adesione ai paradigmi della governance globale. Il “capitalismo inclusivo”, promosso dal Vaticano in collaborazione con grandi corporation e leader finanziari, si presenta come una riformulazione etica del sistema economico, ma critici lo vedono come un tentativo di sacralizzare un modello che perpetua le disuguaglianze sotto la veste della sostenibilità e dell’inclusione. La Chiesa, tradizionalmente critica verso gli eccessi del capitalismo, sembra ora legittimarne una versione globalizzata, in linea con gli obiettivi di organismi come il WEF.
Parallelamente, il linguaggio del pontificato di Francesco si è adattato alle parole d’ordine del globalismo: “inclusione”, “sostenibilità”, “resilienza” e “diritti” sono diventati pilastri di una teologia pratica che rimpiazza i riferimenti tradizionali della dottrina cattolica. Questa trasformazione linguistica non è neutrale: riflette un’adesione ai valori e agli obiettivi delle élite transnazionali, che utilizzano questi termini per promuovere un’etica universale, spesso svincolata da radici religiose o culturali specifiche. La Laudato Si’, enciclica dedicata alla cura dell’ambiente, pur richiamando principi cristiani, si allinea con l’agenda ecologica globale, diventando un punto di riferimento per movimenti e organizzazioni che operano al di fuori del contesto cattolico.
Storicamente, la Chiesa ha spesso agito come baluardo contro l’egemonia di poteri secolari, offrendo una visione alternativa basata sulla trascendenza e sulla dignità umana. Tuttavia, sotto Francesco, sembra emergere un nuovo modello: una Chiesa che non solo dialoga con il mondo, ma ne adotta le priorità, rischiando di perdere la propria specificità.
La trasformazione della Chiesa sotto Papa Francesco
Il pontificato di Papa Francesco sembra segnare un punto di rottura nella storia millenaria della Chiesa cattolica, orientandola verso un modello di spiritualità che si discosta dalla sua identità tradizionale per abbracciare una visione universale, post-dogmatica e adattabile alle esigenze di un mondo globalizzato. Uno degli aspetti più evidenti di questa transizione è la progressiva marginalizzazione dei dogmi, pilastri della fede cattolica che per secoli hanno definito l’identità e la missione della Chiesa. La verità rivelata, radicata nella Scrittura e nella Tradizione, sembra cedere il passo a una “narrazione condivisa”, un insieme di valori universali come l’inclusione, la fraternità e la sostenibilità, che si rivolgono a un’audience globale, indipendentemente dalle specificità religiose o culturali.
L’Eucaristia, cuore della vita cattolica, appare sempre meno centrale nel discorso pubblico del pontificato. Le celebrazioni liturgiche, un tempo simbolo dell’unità della Chiesa, sono spesso subordinate a gesti simbolici di dialogo interreligioso o di impegno sociale. Allo stesso modo, i comandamenti, che per secoli hanno guidato la morale cattolica, vengono raramente evocati, sostituiti da esortazioni generiche alla misericordia e all’accoglienza. Questa rimodulazione della dottrina sembra rispondere a un’esigenza di universalità: una Chiesa che parla a tutti, ma che, nel farlo, rischia di perdere la propria specificità.
Dal successore di Pietro al leader spirituale globale
La figura del Papa, tradizionalmente intesa come successore di Pietro e custode della fede, si sta trasformando in quella di un leader spirituale globale, un punto di riferimento morale per l’umanità intera, non solo per i cattolici. Papa Francesco, con il suo stile informale e il suo approccio dialogico, incarna questa nuova visione: più che un’autorità dottrinale, egli si presenta come un promotore di una “fraternità mondana”, un concetto che trova espressione in documenti come Fratelli Tutti e nelle sue iniziative interreligiose, come il Documento sulla Fratellanza Umana firmato ad Abu Dhabi. Questo spostamento, pur mirando a unire popoli e culture, comporta un rischio: il Papa rischia di diventare una figura simbolica, svincolata dal suo ruolo teologico, e la Chiesa un’istituzione al servizio di un’etica globale, più che di una missione salvifica.
Il risultato di queste dinamiche è l’emergere di una religione universale, post-dogmatica, che si adatta perfettamente agli obiettivi di un progetto tecnocratico e progressista. Questa nuova spiritualità, priva di confini netti e di pretese assolute, si allinea con le narrazioni delle élite globali, che promuovono un’etica universale basata su valori come la sostenibilità, l’inclusione e la resilienza. Organizzazioni come il World Economic Forum o le Nazioni Unite trovano nella Chiesa di Francesco un alleato ideale: un’istituzione capace di conferire legittimità morale alle loro agende, senza il peso di dogmi che potrebbero risultare scomodi o divisivi.
Tale allineamento, però, non è privo di contraddizioni. La Chiesa, tradizionalmente chiamata a essere “sale della terra” e a offrire una critica profetica al potere secolare, rischia di diventare un organo funzionale alla governance globale, un’istituzione che sacralizza le priorità di un’élite transnazionale piuttosto che sfidarle. La spiritualità indistinta che ne deriva, pur attraente per la sua universalità, potrebbe rivelarsi incapace di rispondere ai bisogni più profondi dell’umanità, come la ricerca di senso, di trascendenza e di redenzione.
Il principale pericolo di questa traiettoria è la dissoluzione della cattolicità in una religione planetaria che, pur mantenendo un’apparenza cristiana, perde la sua essenza. La Chiesa, svuotata dei suoi dogmi e della sua missione evangelica, rischia di trasformarsi in una ONG spirituale, un attore tra i tanti in un mercato globale delle idee. Questo processo, già visibile nelle crescenti divisioni interne al cattolicesimo – tra progressisti che abbracciano la svolta di Francesco e tradizionalisti che la vedono come un tradimento – potrebbe portare a una frammentazione irreversibile.
Inoltre, l’adesione a un progetto tecnocratico e progressista espone la Chiesa al rischio di perdere credibilità presso coloro che cercano un’alternativa al materialismo e all’uniformità del mondo contemporaneo. Una religione universale, adattabile a ogni contesto, potrebbe risultare troppo generica per ispirare fedeltà o per offrire una visione coerente del divino.
La posta in gioco
La trasformazione della Chiesa promossa da Arrupe e compiuta da Bergoglio è una rivoluzione silenziosa ma devastante. Essa destruttura la missione originaria della Chiesa, spostando l’asse dalla salvezza eterna alla felicità temporale, dalla verità oggettiva al vissuto soggettivo, dalla rivelazione al sentimento. In questo quadro, la gnosi – intesa come sapere iniziatico autoreferenziale – diventa la nuova teologia: Dio è immanente, l’uomo è redentore, e la salvezza è il mondo stesso riformato.
La Chiesa, nella sua essenza, resta solida: le vocazioni fioriscono e la Provvidenza continua a donare pastori fedeli. Santi come Santa Caterina dimostrano che anche in periodi confusi, la Grazia fiorisce in modo imprevisto. Tuttavia, ogni occasione mancata nella missione affidata genera sofferenza. Il mondo attende una parola chiara, l’annuncio della Redenzione e la luce di Cristo: tutto questo può fiorire pienamente solo attraverso una Chiesa consapevole e limpida nella propria vocazione e nel proprio compito.
Preghiamo per un Papa che spezzi questa deriva, che ridia centralità al mistero cristiano, che affermi la verità come criterio e non come emozione. Un Papa che, in nome di Cristo, ricostruisca sulle derive della gnosi la fede cattolica integrale.
Questa è la speranza del card. Burke e di gran parte della Chiesa:
‘Sarà la Chiesa Profonda a scegliere il prossimo Papa? Se così fosse, avremo un ‘progressista”.