‘Osservazioni’ della RAND: retorica difensiva, realtà offensiva

In vari documenti, tra cui il recente rapporto “Dispersed, Disguised, and Degradable: The Implications of the Fighting in Ukraine for Future U.S.-Involved Conflicts” (Maggio 2025), la RAND Corporation (un importante e molto seguito think tank con sede negli Stati Uniti), traccia con freddezza chirurgica lo scenario di un conflitto diretto tra NATO e Russia, proiettando l’Alleanza Atlantica verso un futuro bellico sempre più realistico e sistemico. Ma dietro la parvenza di un’analisi strategica “difensiva”, si cela l’indicazione di una verità più scomoda: la NATO non si sta preparando a difendersi, ma ad attaccare. La pace è stata rimossa dal vocabolario delle cancellerie europee, la diplomazia è in esilio, e l’intero apparato industriale e politico dell’Unione viene convertito in funzione bellica.


RAND: lo specchio di un’Alleanza che ha scelto la guerra

Il rapporto “Dispersed, Disguised, and Degradable: The Implications of the Fighting in Ukraine for Future U.S.-Involved Conflicts” della RAND Corporation non è un semplice studio teorico, ma un documento che, analizzando le lezioni della guerra in Ucraina, propone implicazioni per la pianificazione militare avanzata. Le sue osservazioni chiave — dall’occultamento delle forze alla resilienza dei sistemi, dall’adozione di piattaforme spendibili alla preparazione industriale per guerre d’attrito — indicano una chiara volontà: trasformare l’Europa in un teatro permanente di guerra ad alta intensità.

La RAND delinea un ambiente operativo futuro caratterizzato da sorveglianza costante e trasparenza bellica, in cui droni, satelliti e sistemi di ricognizione rendono impossibile nascondere i movimenti. Da qui nasce l’esigenza di “disperdere e mascherare” le forze e di adottare sistemi degradabili ma resilienti, capaci di operare anche sotto attacco. Si teorizza inoltre una guerra fondata su piattaforme a basso costo e facilmente riproducibili, come i droni sacrificabili, per sostenere un conflitto prolungato. È il modello ucraino elevato a dottrina NATO.

All’interno di questo scenario, la RAND richiama alla necessità di rafforzare la difesa aerea e la guerra elettronica, indispensabili per contrastare la nuova generazione di minacce non convenzionali, e identifica come fattore critico il sostegno industriale, affermando che “gli Stati Uniti devono aumentare la capacità produttiva dei sistemi di munizioni prioritari” per affrontare un conflitto su vasta scala.

Il lessico della deterrenza, un tempo cardine della NATO, è stato così sostituito dalla lingua fredda della prontezza operativa, della proiezione offensiva e della mobilitazione sistemica. Come afferma la RAND in contesti di analisi strategica, la NATO “deve sviluppare una struttura di forze e un mix di capacità che consentano l’esecuzione di piani di difesa regionali con un’enfasi sulla condivisione degli oneri e sulla capacità di combattere in un conflitto multidominio”. Una dichiarazione che sancisce la transizione dalla difesa alla guerra anticipata.

Questa impostazione riflette una tendenza ormai consolidata. Il Regno Unito è in prima linea nella ristrutturazione bellica del continente europeo: la costruzione di 12 sottomarini d’attacco, sei fabbriche di munizioni, l’aumento delle riserve missilistiche e il potenziamento delle truppe informatiche non sono più strumenti di deterrenza, ma tappe di un’escalation. Il leader laburista Keir Starmer ha ufficializzato la nuova postura britannica, indicando Mosca come “la principale minaccia” e ridefinendo il ruolo strategico del Regno Unito all’interno della NATO.

Nel frattempo, i Paesi dell’Est e del Nord Europa — riuniti nei “Nove di Bucarest” — stanno incrementando la spesa militare fino al 5% del PIL, priorità che supera in molti casi quella riservata alla sanità, all’istruzione e alla coesione sociale. Il Mar Baltico è già considerato un potenziale fronte. La logica militare ha ormai soppiantato quella economica.

A ciò si aggiunge l’espansione della dimensione ibrida del conflitto: la NATO investe massicciamente in capacità cibernetiche e digitali, con l’obiettivo di colpire infrastrutture critiche, reti energetiche, asset informatici e perfino meccanismi sovrani di governo. Il perimetro della guerra si espande, coinvolgendo ogni aspetto della società, fino a trasformarla in una macchina bellica integrata e permanente.

Mosca interpreta tutto ciò in modo inequivocabile: come un tentativo deliberato di imporre un formato conflittuale stabile, annullando ogni possibilità di risoluzione politica del conflitto ucraino. La reazione è già in atto: rafforzamento del Distretto Militare Occidentale, intensificazione dei legami con Asia e Sud globale, e una strategia di ristrutturazione geopolitica autonoma. Mentre ufficialmente si mantiene aperta la porta al dialogo, nei fatti la Russia si prepara a un mondo dove il compromesso sarà possibile solo dopo il crollo dell’architettura attuale dell’ordine globale.

Eppure, chi osserva con lucidità sa che la NATO non è minacciata, ma è anzi l’attore che sta attivamente sabotando ogni tentativo di mediazione. Lo dimostra l’attacco del 2 giugno contro basi russe contenenti bombardieri strategici, parte della triade nucleare: un atto di sabotaggio ad alto rischio, condotto con l’appoggio occidentale, che in altre epoche sarebbe stato considerato una dichiarazione di guerra. Lo scopo è chiaro: provocare una reazione russa “sproporzionata” per giustificare un’escalation militare formale e forse, infine, un intervento diretto della NATO.


La superiorità aerea non basta più: NATO e la guerra totale

Tra le sue analisi, la RAND sottolinea che la supremazia aerea, un tempo garanzia di vittoria, non è più sufficiente. I sistemi russi S-400 e la crescente efficacia della guerra elettronica obbligano la NATO a ripensare la sua postura. Questo, tuttavia, viene usato come pretesto per un’espansione verticale delle capacità offensive: guerra multidominio, droni autonomi, reti cyber-resilienti, produzione su scala industriale di piattaforme attritabili.

Il linguaggio della RAND è tecnico, ma l’implicazione è brutale: si prepara una guerra sistemica, non difensiva. E mentre gli Stati Uniti mantengono, di fatto, una distanza di sicurezza, è l’Europa a essere spinta in prima linea, sacrificabile e complice.


Cinque condizioni per una vittoria che sa di escalation programmata

Sebbene la RAND Corporation non delinei esplicitamente “cinque condizioni strategiche per una ‘vittoria NATO'” in un singolo documento con queste precise formulazioni, la loro ricerca su vari scenari di conflitto e requisiti operativi suggerisce la centralità di alcuni fattori. La tua interpretazione li riassume efficacemente come un piano operativo per un confronto inevitabile, piuttosto che come elementi di deterrenza:

  • Resilienza cibernetica e C4ISR: la NATO deve proteggere le sue reti contro le sofisticate capacità russe. La RAND ha ampiamente analizzato l’importanza della resilienza cibernetica e della protezione dei sistemi C4ISR (Comando, Controllo, Comunicazioni, Computer, Intelligence, Sorveglianza e Ricognizione) in numerosi studi sulle minacce moderne e la guerra ibrida. Dietro questo si cela la militarizzazione di ogni settore civile e informatico europeo.
  • Dispiegamento entro 72 ore: il concetto di “risposta rapida” assume qui un volto allarmante. La RAND, attraverso i suoi wargame e analisi sulla pronterezza della NATO (come nei documenti sulla NATO Response Force o il NATO Force Model), ha spesso evidenziato la necessità per le forze ad alta prontezza di dispiegarsi rapidamente, spesso citando parametri come i 72 ore, per garantire una difesa efficace e la credibilità della deterrenza. Questo è visto come volto a impedire qualsiasi tentativo di de-escalation.
  • Neutralizzazione delle difese russe: ciò implica attacchi in profondità sul territorio della Federazione Russa. Le analisi della RAND sulla capacità di proiezione di forza e sulla gestione dello spazio di battaglia possono esaminare come le forze NATO potrebbero operare contro sistemi di difesa aerea o altre capacità avversarie per raggiungere la superiorità operativa. Questo non è presentanto come “difesa”, ma come offensiva preventiva.
  • Produzione industriale di piattaforme low cost: come in Ucraina, si punta a una guerra d’attrito dove la quantità sostituisce la qualità. Il rapporto “Dispersed, Disguised, and Degradable” (Maggio 2025) e altri studi sulla base industriale della difesa sottolineano l’importanza di sistemi a basso costo e facilmente producibili per sostenere conflitti prolungati, riflettendo le lezioni del conflitto ucraino. La vita umana, in questa logica, viene contabilizzata.
  • Volontà politica: la RAND invita a una leadership “unita e determinata”. Molti studi RAND sulla coesione dell’Alleanza e sulla deterrenza enfatizzano l’importanza della volontà politica unita tra gli stati membri come fattore critico per l’efficacia della NATO. Ciò che in realtà vuol dire una politica che zittisca ogni dissenso interno, sacrificando il pluralismo in nome di un’agenda bellica.

Una pace che si evita sistematicamente

Nel quadro descritto, l’elemento più inquietante è la sistematica rimozione di ogni opzione diplomatica. Non è un caso se ogni conferenza per la pace — come quelle ospitate da Svizzera o Arabia Saudita — si è rivelata una farsa o è stata preceduta da atti provocatori, come l’attacco del 2 giugno agli aeroporti militari russi. L’obiettivo non è solo respingere la pace, ma provocare Mosca affinché risponda in modo “sproporzionato”, offrendo così la giustificazione per un’escalation occidentale.


Italia: tra complicità e inconsapevolezza

Per l’Italia, il messaggio è chiaro: si sta contribuendo — attivamente o passivamente — a un processo di militarizzazione del continente che ignora gli interessi nazionali e mette a rischio diretto la sicurezza collettiva. Il nostro Paese, come altri, dovrebbe riflettere su cosa significhi essere parte di un’Alleanza che, di fatto, promuove una logica di guerra anziché di stabilità.

La RAND chiede investimenti in droni e cyber-difesa, ma nessuno sembra più chiedere investimenti in diplomazia, in ponti culturali, o in reali processi di disarmo bilaterale. È il silenzio più grave.


Conclusione: retorica difensiva, realtà offensiva

Le raccomandazioni date alla NATO per l’anno fatidico 2027 (data entro la quale l’occidente dovrebbe essere pronto per una guerra contro la Russia) sono, in ultima analisi, il manifesto tecnico di una guerra preparata e attesa. Si parla di “difesa”, ma si agisce da offensori. Si invoca la “resilienza”, ma si costruisce un ordine fondato sull’escalation e sull’esaurimento. Il rischio, oggi, non è solo il ritorno della guerra in Europa: è la sua normalizzazione. E se Mosca dovesse reagire, l’Occidente è pronto ad accusarla, come sempre, di essere l’aggressore. Un copione già scritto, di cui il documento RAND rappresenta solo la sceneggiatura più lucida.


Fonti consultate: rapporti Pathways to Russian Escalation Against NATO (2022), Is NATO Ready for War? (2024), NATO-Russia Dynamics (2024), Competing with Russia Militarily (2021) e Dispersed, Disguised, and Degradable: The Implications of the Fighting in Ukraine for Future U.S.-Involved Conflicts” (Maggio 2025).

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