Premessa: La democrazia oltre il voto
Nel linguaggio ufficiale delle democrazie occidentali, il potere risiede negli eletti dal popolo. Eppure, la realtà è ben più complessa. Negli Stati Uniti e in molte capitali europee, esiste una rete di potere non elettivo che sopravvive ai cambi di governo, orientando politiche, priorità e persino guerre. Non si tratta di un “complotto” nel senso volgare del termine, ma di una struttura sistemica fatta di think tank, fondazioni, consulenze, ONG, intelligence e media, che definisce ciò che è “accettabile” e ciò che è “eretico” nel discorso pubblico e politico.
Queste entità non rispondono direttamente all’elettorato, ma a logiche transnazionali, spesso in linea con gli interessi dell’apparato militare-industriale, delle istituzioni globali e delle grandi multinazionali.
️ Gli Architetti Invisibili del Potere: Chi orchestra davvero la geopolitica occidentale
Nel teatro della politica internazionale, non sono solo i presidenti, i ministri o gli ambasciatori a dettare la linea. Dietro le quinte operano figure che, pur prive di incarichi elettivi, esercitano un’influenza capillare, costante e trasversale. Sono i burattinai dell’informazione, i costruttori di consenso, i promotori dell’intervento armato sotto forma di “missione umanitaria”. Essi formano un’élite fluida, spesso legata tra loro da fondazioni, università e reti transatlantiche. Ecco alcuni tra i nomi più emblematici di questo “governo ombra”.
1. Victoria Nuland – La madre delle rivoluzioni colorate
Figura emblematica dell’apparato di potere statunitense, Victoria Nuland è molto più di una semplice ex sottosegretaria di Stato. Già ambasciatrice presso la NATO e portavoce del Dipartimento di Stato, è stata una delle protagoniste della destabilizzazione dell’Ucraina nel 2014, arrivando a scegliere direttamente, con l’allora ambasciatore Geoffrey Pyatt, i nomi del futuro governo post-Maidan (come rivelato in una telefonata trapelata nota per il celebre “F*** the EU”).
Formalmente pensionata nel 2024, continua a esercitare un potere considerevole attraverso strutture strategiche come l’Atlantic Council, dove è una figura centrale nell’orientare la postura anti-russa dell’intero blocco NATO. Oggi, la sua influenza è pari — se non superiore — a quella dei diplomatici ufficiali.
2. Samantha Power – Il volto gentile dell’imperialismo umanitario
Dietro la maschera dell’attivismo umanitario, Samantha Power ha saputo ritagliarsi un ruolo di primo piano nell’architettura del soft power americano. Ex ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite e ora a capo della potentissima USAID, la sua prossimità alla rete di George Soros e ad ambienti neocon-progressisti ne fa una delle voci più ascoltate nelle strategie di “esportazione della democrazia”.
La sua retorica, imperniata sulla tutela dei diritti umani, ha giustificato interventi militari devastanti, dall’Afghanistan alla Libia, passando per la Siria. In realtà, opera come una sofisticata levatrice della destabilizzazione, camuffata da “aiuto allo sviluppo”.
3. Ben Rhodes – Lo sceneggiatore delle guerre buone
Ben Rhodes è stato il ghostwriter della politica estera obamiana. Come vice consigliere per la sicurezza nazionale, ha costruito un’intera infrastruttura narrativa che presenta le guerre come atti morali, la sorveglianza come protezione, la censura come responsabilità. Fondatore della piattaforma National Security Action, oggi plasma la percezione pubblica attraverso media influenti come The Atlantic, Vox e New York Times.
Rhodes è un esempio da manuale di “operatore culturale del potere”: scrive, parla, consiglia, forma. Non comanda, ma indirizza. E le sue parole hanno un impatto su come le guerre vengono raccontate — e accettate.
4. David Miliband – Il globalista con passaporto britannico
Ex ministro degli Esteri del Regno Unito, David Miliband ha trovato una seconda carriera nell’industria umanitaria globale, diventando presidente dell’International Rescue Committee. Questa ONG, formalmente votata al soccorso dei rifugiati, è in realtà strettamente integrata con l’apparato del Dipartimento di Stato USA e riceve generosi finanziamenti dalla Clinton Foundation.
Dietro la gestione dei flussi migratori, coordina azioni parallele in teatri come Siria, Libano e Balcani, contribuendo alla trasformazione della crisi in strumento geopolitico. Miliband è la dimostrazione vivente di come l’umanitarismo possa diventare un’arma di ingerenza strategica.
5. Anne Applebaum – L’intellettuale dell’assedio
Editorialista del Washington Post e docente alla prestigiosa SAIS di Johns Hopkins, Anne Applebaum è una delle più influenti artefici della narrativa post-sovietica in chiave russofoba. Moglie di un ex ministro della Difesa polacco, da anni costruisce una visione binaria della realtà: l’Occidente come civiltà democratica e l’Est come minaccia autoritaria.
Membro attivo del CEPA (Center for European Policy Analysis), fornisce il “lessico morale” con cui si giustificano sanzioni, interventi e l’espansione NATO verso Est. È, a tutti gli effetti, la penna che scrive le giustificazioni ideologiche dell’imperialismo liberale.
6. Thomas Wright – L’ingegnere della dottrina globale
Analista di punta della Brookings Institution, Wright è una figura chiave nei retroscena della diplomazia americana. Consigliere di funzionari di altissimo livello e co-autore non ufficiale di molti discorsi di segretari di Stato, è un architetto delle “dottrine flessibili”, in cui si legittimano le eccezioni, le guerre preventive e l’abbandono del diritto internazionale in nome della “sicurezza collettiva”.
Wright è l’uomo che traduce la forza in linguaggio morale, rendendo appetibile l’aggressività geopolitica attraverso una terminologia soft e accettabile.
7. Peter Pomerantsev – Il regista della realtà aumentata
Ucraino-britannico, scrittore e docente al King’s College, Pomerantsev è uno specialista nella manipolazione delle percezioni pubbliche. Legato all’Open Society di Soros, è coautore delle linee guida della guerra informativa occidentale, e collabora con reti come EUvsDisinfo e Institute for Strategic Dialogue.
La sua missione è semplice quanto potente: trasformare ogni voce critica in “disinformazione”, ogni dubbio in “minaccia alla democrazia”. La sua influenza è massiccia nel mondo accademico, nei media europei e nei programmi educativi digitali. Non combatte battaglie fisiche, ma culturali — e le vince.
8. Fiona Hill: il volto tecnico di una strategia ideologica
Fiona Hill è l’esempio perfetto di come l’influenza politica possa esercitarsi fuori dalle luci della ribalta elettorale. Politologa britannico-americana, è stata funzionaria del National Security Council con specializzazione in affari russi, servendo sotto tre presidenti (Bush, Obama e Trump). Durante il mandato Trump è divenuta famosa per la sua testimonianza nel primo impeachment, dove lo accusò di aver danneggiato l’Ucraina e favorito Putin.
Oggi Hill non ricopre alcun incarico formale nell’amministrazione, ma continua a esercitare un’influenza pervasiva attraverso fondazioni come Brookings e incarichi accademici transatlantici. Il suo potere non è legato al voto, ma alla capacità di orientare analisi, linguaggi e cornici interpretative condivise da diplomatici, funzionari e giornalisti.
Anatomia dell’influenza non formale: il potere che non si vota
Come opera un potere che non compare nei governi, ma ne determina le scelte? Quali sono i meccanismi attraverso cui l’élite transnazionale che plasma l’Occidente esercita un dominio costante e invisibile sulle politiche internazionali, sull’opinione pubblica e persino sulla formazione delle nuove generazioni dirigenti?
Non servono golpe, ma procedure. Non servono leggi, ma reti. Non servono elezioni, ma “consigli”, suggerimenti, “consulenze”, narrative coordinate e onnipresenti. L’influenza non formale è una macchina sofisticata e interconnessa, alimentata da risorse illimitate, contatti ramificati e una visione del mondo che non tollera alternative.
Ecco i suoi ingranaggi principali:
Think Tank e Fondazioni: le centrali del consenso tecnico
I think tank non sono semplici centri di studio: sono gli incubatori della nuova ortodossia globale. Entità come l’Atlantic Council, RAND Corporation, Brookings Institution, Carnegie Endowment o Chatham House producono report, policy paper e scenari “scientifici” che vengono immediatamente assunti come base operativa dai governi, dalle agenzie NATO, dalla Commissione Europea e dal Pentagono.
I loro esperti, spesso ex funzionari o agenti, scrivono le soluzioni prima che i problemi vengano posti. Le loro raccomandazioni — non votate da nessuno — diventano legge nelle agende dei ministri.
Chi li finanzia? Aziende del complesso militare-industriale (Raytheon, Lockheed Martin), fondazioni globaliste (Rockefeller, Gates, Open Society), governi occidentali e agenzie di intelligence. Nessun cittadino ha mai eletto RAND, ma RAND decide dove si combattono le guerre, chi sono i “partner affidabili” e chi invece va isolato.
Advisory Board e consulenze strategiche: il potere parallelo
Un’altra leva cruciale del potere non elettivo è rappresentata dai consigli consultivi, gli advisory board, dove queste figure agiscono come “esperti” e “consiglieri indipendenti” di multinazionali, banche d’investimento, fondi sovrani, agenzie ONU, NATO e organismi intergovernativi.
Attraverso questi canali, individui come Fiona Hill, Samantha Power o David Miliband possono continuare a influenzare decisioni globali senza alcun incarico istituzionale.
Le “raccomandazioni” di questi consigli — in realtà linee operative — guidano l’allocazione di miliardi in fondi, interventi umanitari, sanzioni e riforme normative, spesso senza alcuna consultazione pubblica. Il consiglio di un “esperto” può contare più del voto di un parlamento.
Scuole di élite: la fabbrica del pensiero unico
Il potere non si eredita, si forma. E si forma nei luoghi giusti. Harvard Kennedy School, London School of Economics, Yale Jackson School, NATO Defence College: queste istituzioni non offrono solo “educazione”, ma selezionano e plasmano le nuove generazioni dirigenti, impartendo un pensiero unico, impermeabile a ogni deviazione sovranista o multipolare.
Chi esce da queste scuole sa perfettamente cosa si può dire, cosa si deve pensare e cosa non si deve mai mettere in discussione: l’atlantismo, l’interventismo, il primato occidentale, l’ideologia dei diritti come strumento geopolitico.
Non è formazione, è programmazione culturale per tecnocrati obbedienti. Chi non si allinea viene escluso, silenziato o etichettato come “inadeguato”.
Media e editoria: il megafono della verità ufficiale
Le figure dell’influenza non formale scrivono editoriali, ispirano reportage e alimentano dossier nei media mainstream, dando forma alla “realtà condivisa”. Testate come New York Times, Politico, Foreign Affairs, The Economist, Le Monde, Der Spiegel non sono semplici cronisti, ma coautori dell’agenda globale.
È da queste redazioni che partono:
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le campagne per delegittimare un leader non allineato,
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le giustificazioni per una guerra,
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le “fughe di notizie” utili a creare consenso per una sanzione o una destabilizzazione.
Il giornalismo d’élite è diventato una branca dell’intelligence culturale, in cui l’informazione si mescola alla propaganda e la verità viene selezionata in base alla sua utilità strategica.
ONG e soft power: destabilizzazione con volto umano
Dietro molte crisi umanitarie o movimenti di protesta “spontanei” si celano organizzazioni transnazionali che operano con finanziamenti occidentali e obiettivi geopolitici ben definiti. Tra queste: NED (National Endowment for Democracy), Freedom House, Open Society Foundations, Internews, International Republican Institute, solo per citarne alcune.
Queste ONG non portano democrazia, ma una versione standardizzata e funzionale della stessa, utile a rovesciare regimi non allineati o a manipolare l’opinione pubblica locale. Finanziano dissidenti, formano giornalisti “responsabili”, selezionano intellettuali e attivisti, creando un ecosistema che simula la società civile, ma risponde a centri di potere stranieri.
Laddove non arriva la bomba, arriva l’ONG. Dove non è possibile un’invasione militare, si promuove una “primavera”. Il risultato non è libertà, ma trasformazione dei paesi target in protettorati narrativi.
Un potere strutturato, non teorico
Questo non è un complotto: è un modello operativo. È il nuovo volto del dominio occidentale, post-nazionale, post-elettorale, post-sovrano. Comprendere questi meccanismi non è negazionismo democratico, ma realismo politico. Il potere, oggi, si misura non con la carica pubblica, ma con l’accesso alle leve profonde dell’influenza: quelle che decidono chi conta, chi parla, chi governa davvero.
Conclusione: il vero potere è quello che non vedi
Nel mondo multipolare che sta emergendo, il potere non risiede più nelle urne, ma in reti parallele e transnazionali che manipolano significati, percezioni e priorità politiche. È in questo ecosistema che figure come Fiona Hill agiscono — non elette, ma efficaci, non visibili, ma influenti.
Comprendere questa realtà è indispensabile per ogni progetto politico autenticamente sovranista. Chi ignora il funzionamento di questo potere invisibile non sarà mai in grado di costruire una vera alternativa democratica.