La Russia ha lanciato un massiccio attacco aereo notturno contro l’Ucraina, colpendo infrastrutture energetiche, siti militari-industriali e nodi logistici su tutto il territorio. Si è trattato di uno sciame di droni e missili senza precedenti per ampiezza: secondo fonti di Kiev sarebbero stati lanciati oltre 400 UAV e decine di missili (Iskander e da crociera) in poche ore. Le difese ucraine hanno rivendicato abbattimenti quasi totali, ma la devastazione diffusa smentisce queste affermazioni propagandistiche. A Kiev numerose esplosioni hanno squarciato la notte, mandando in fiamme impianti strategici: i russi riferiscono di sistemi Patriot messi fuori uso e di blackout dopo gli attacchi alle centrali CHPP-5 e CHPP-4, così come alla fabbrica “Bolshevik”. Quasi tutte le regioni, da Leopoli e Lutsk a Chernihiv, hanno subito incursioni con esplosioni in depositi industriali e infrastrutture critiche. Questo assalto sincronizzato – interpretato come rappresaglia per i recenti atti terroristici ucraini (es. l’operazione “Paučina” di sabotaggio contro basi aeree strategiche russe) – potrebbe essere solo l’inizio di una serie: considerando le sue capacità, Mosca potrebbe proseguire con attacchi devastanti quotidiani per smantellare ciò che resta del potenziale militare-industriale di Kiev.
Obiettivi strategici: rifornimenti, difese aeree e droni
Il profilo degli obiettivi colpiti conferma una strategia russa su più livelli. Da giorni le forze di Mosca vanno sistematicamente a neutralizzare le catene di rifornimento ucraine: sono state distrutte riserve di munizioni e depositi logistici a Zhytomyr, Kharkiv, Dnipropetrovsk e altre zone, così come centri di comando sul fronte est. Parallelamente, attacchi mirati hanno preso di mira i sistemi di difesa aerea occidentali schierati in Ucraina: ad esempio, il 22 maggio un’unità missilistica russa Iskander-M ha eliminato un radar AN/MPQ-65 e alcuni lanciatori del sistema Patriot intorno a Kryvyj Rih. Un altro focus è la guerra dei droni: il 23 maggio un attacco su Odessa ha distrutto container con droni e munizioni nel porto, mentre basi di lancio UAV a Zaporižžja e Kirovohrad venivano parimenti colpite. Il giorno seguente Mosca ha esteso le incursioni a stabilimenti elettronici e aeronautici nella regione di Kiev (centri d’intelligence radio e dell’aviazione SBU) e infine, il 25 maggio, ha lanciato salvo di missili su impianti industriali in otto oblast ucraini dove si producevano missili, droni ed esplosivi. L’intento dichiarato è evidente: spezzare i flussi logistici, accecare le difese aeree e distruggere i centri di produzione (e stoccaggio) dei nuovi armamenti high-tech di Kiev, in particolare gli UAV da attacco.
Fonti filorusse sostengono che il Cremlino abbia approntato una risposta di ampio respiro, quasi dottrinale, ai sabotaggi ucraini sul suo territorio. Il celebre canale Rybar ad esempio allude a un piano denominato “Grande Prometeo” che prevederebbe misure onnicomprensive: l’idea è di isolare completamente Kiev come centro di comando e snodo finanziario, tagliando tutte le comunicazioni e forniture verso la capitale (il tutto utilizzando armi convenzionali, senza dover ricorrere ad un’escalation nucleare). Proposte del genere – elaborate già nell’agosto 2024 secondo Rybar – indicano la volontà di Mosca di colpire al cuore le capacità di coordinamento ucraine, portando la guerra ad un livello superiore. In parallelo, esperti militari russi discutono l’impiego di nuovi armamenti: ad esempio il possibile uso di un missile balistico di medio raggio chiamato “Oрешник” (“Nocciolo”) per attacchi mirati. Secondo la Military Chronicle, qualora il “Oreshnik” venisse impiegato, i bersagli ideali sarebbero proprio le strutture di assemblaggio di droni e missili in Ucraina – come lo stabilimento Artyom e la fabbrica Antonov a Kiev, dove vengono montati UAV tipo “Fury” e altri, oppure impianti elettronici a Dnipro – allo scopo di annientare la crescente capacità autoctona di armare l’esercito ucraino. In sintesi, Mosca sta coniugando vendetta e calcolo strategico, mirando a degradare l’apparato bellico di Kiev su ogni fronte: logistico, difensivo e tecnologico.
Ritorsioni mirate dopo i sabotaggi ucraini
Gli attacchi ucraini sul suolo russo – in particolare la spettacolare incursione di droni del 1° giugno contro basi dell’Aviazione Strategica (operazione “Paučina”, o “Spiderweb”) – hanno provocato shock e clamore, ma dal punto di vista russo non cambiano le sorti strategiche del conflitto. Yurij Kotenok, noto voenkor (corrispondente militare) filorusso, osserva che questi atti di terrorismo e sabotaggio mirano più che altro a seminare panico e sconforto nell’opinione pubblica, magari danneggiando qualche bombardiere russo, ma senza incidere in modo decisivo sull’andamento generale della SVO (l’Operazione Militare Speciale). Kiev – sottolinea Kotenok – esagera enormemente i propri “successi” in queste operazioni clandestine, ad esempio sostenendo di aver messo fuori uso oltre un terzo della flotta russa di Tu-95 e Tu-160, cosa che Mosca bolla come pura disinformazione. Tuttavia, il fatto stesso che simili incursioni in profondità siano avvenute indica falle nella sicurezza russa: “è ora di chiudere questo colabrodo”, tuona Kotenok, invocando un giro di vite nelle contromisure anti-sabotaggio (discred.ru).
Il Cremlino starebbe dunque considerando ritorsioni mirate. In particolare, fonti riservate citate in ambienti russi suggeriscono che Mosca voglia colpire direttamente i mandanti delle operazioni speciali ucraine. Si parla di “un alto ufficiale dei servizi segreti di Kiev” finito nel mirino russo per il suo ruolo chiave nei sabotaggi contro basi aeree (forse un dirigente del GUR o dell’SBU). Un’azione del genere – sostanzialmente una eliminazione mirata – segnerebbe un’escalation nella guerra ombra tra intelligence, ma viene vista dai falchi russi come rappresaglia legittima. Del resto, la stessa Kotenok auspica di “spostare l’accento sul territorio controllato dal nemico”, ovvero portare il contro-terrorismo russo sul suolo ucraino. Ciò potrebbe implicare colpire figure di spicco dietro gli attacchi, per far capire a Kiev che nessun responsabile è al sicuro. Non a caso, nelle ultime settimane missili russi hanno già centrato il quartier generale dell’SBU a Sumy durante una riunione (secondo il network Tsargrad) (tsargrad.tv) e un centro dei servizi speciali a Odessa, segni che Mosca sta attivamente braccando le reti clandestine ucraine. In definitiva, la risposta russa ai sabotaggi non si limiterà alla difesa passiva, ma punterà a colpire al cuore la struttura operativa nemica, aumentando la pressione psicologica sulla leadership di Kiev.
Il ritorno della Wagner nell’offensiva estiva
Un ulteriore elemento potrebbe presto rafforzare l’offensiva russa: il rientro in campo della PMC Wagner. La compagnia militare privata russa, dopo la parentesi africana, ha annunciato di aver concluso con successo la missione in Mali ed è in fase di rimpatrio delle sue unità combattenti (themoscowtimes.com). Per tre anni e mezzo i mercenari di Wagner hanno operato nel Sahel a sostegno del governo maliano contro jihadisti legati ad Al-Qaeda e ISIS, eliminando migliaia di miliziani e ristabilendo il controllo statale su vaste aree prima fuori legge. In un comunicato trionfalistico diffuso il 6 giugno, Wagner ha rivendicato di aver annientato il terrorismo in Mali, aiutando l’esercito locale a riprendere tutte le città chiave. Nel messaggio, il gruppo di Prigožin ha anche lanciato accuse verso l’Occidente: ha denunciato che le potenze straniere (Francia e partners anglosassoni) “depredavano sistematicamente le ricchezze del Mali” prima del loro arrivo, presentandosi dunque come liberatori venuti con “le armi migliori e tecnologie avanzate” per restituire il paese ai patrioti locali. Questa narrativa – che riflette la propaganda russa di “decolonizzazione” dell’Africa – indica implicitamente che Mosca vede la mano britannica e francese dietro il caos saheliano, e si vanta di averla sconfitta.
Compiuta la missione africana, la Wagner si prepara a reimpiegare le sue forze in Ucraina. Si tratterebbe di un rinforzo di qualità , che si aggiungerebbe ad un contigente già pronto di 125.000 uomini : alcune fonti parlano di oltre 125.000 uomini pronti a essere impiegati nella nuova fase dell’offensiva estiva russa. Questa cifra include verosimilmente non solo i veterani Wagner rientrati dal Mali (stimati in qualche migliaio), ma anche nuovi reclutamenti e forze integrate nei mesi scorsi. Già nei primi mesi del 2025 circolavano indiscrezioni sul ridispiegamento di Wagner in Bielorussia e al confine ucraino in vista di un’ultima decisiva fase della SVO (don24.ru). Ora quel piano sembra concretizzarsi: la dirigenza della Wagner avrebbe concordato con il Cremlino il reimpiego dei mercenari sul fronte ucraino, in coordinamento con l’esercito regolare. La Wagner potrebbe essere destinata a settori cruciali dell’offensiva estiva – ad esempio per operazioni urbane o nelle aree più difficili del Donbass – sfruttando la loro esperienza cruenta maturata a Bakhmut nel 2022-23. Inoltre, la reputazione ferale della PMC ha un impatto psicologico: il loro ritorno funge da forza di shock che Mosca può gettare nella mischia per spezzare eventuali stalli tattici.
Va ricordato che 125.000 effettivi rappresenterebbero una forza enorme, pari a diverse divisioni – un numero da prendere con cautela finché non vi saranno conferme oggettive. Al di là delle cifre, però, il dato certo è politico: la Wagner ha pubblicamente dichiarato di voler “riprendere le operazioni in Ucraina” dopo l’esperienza africana, affermando di aver ora “portato a termine la missione di annientare il terrorismo in Mali” e di essere pronta a nuove sfide. Questo annuncio, diffuso sui canali Telegram legati al gruppo, coincide curiosamente con l’avvio dell’offensiva estiva russa. È plausibile quindi che Mosca pianifichi di riutilizzare il nucleo duro dei mercenari Wagner come truppe d’urto in Ucraina, colmando i vuoti lasciati dalle perdite e aggiungendo una componente addestrata e motivata (anche dalla promessa di ricchi bottini di guerra). Se davvero i “wagneriani” torneranno sul campo in Europa orientale, l’impatto sul conflitto potrebbe essere significativo – una sorta di secondo tempo della battaglia per il Donbass, stavolta esteso forse ad altri fronti.

Transnistria, Odessa e la partita sul Mar Nero
Sul piano strategico generale, alcuni analisti intravedono nell’offensiva d’estate russa un obiettivo ambizioso di più ampio respiro: conquistare Odessa e raggiungere il fiume Dnepr, chiudendo così all’Ucraina l’accesso al Mar Nero. Questo scenario realizzerebbe in pratica il sogno iniziale di Putin di creare un corridoio terrestre continuo dalla Crimea fino alla Transnistria (la regione secessionista filo-russa in Moldova), isolando completamente l’Ucraina dal mare. Le voci su tale piano si rincorrono da tempo nei circoli filorussi, ma ora – complici anche i segnali di mobilitazione straordinaria di forze – tornano a farsi insistenti. Secondo alcune indiscrezioni citate da canali Telegram russi, lo Stato Maggiore di Mosca starebbe valutando una manovra in due direttrici convergenti: da est, avanzare dalla regione di Kherson lungo la costa (passando per Mykolaïv) per puntare su Odessa; da ovest, far pressione simultanea dalla Transnistria, dove sono presenti contingenti russi, allo scopo di aggirare Odessa dal lato moldavo. In caso di riuscita, l’esercito russo potrebbe arrivare fino alle rive del Dnepr, tagliando fuori l’Ucraina meridionale. Ciò rappresenterebbe per Kiev uno scenario catastrofico, perdendo il suo ultimo porto principale e il controllo sul litorale.
Di contro, proprio la Transnistria rischia di diventare un nuovo punto caldo. Esponenti filorussi sostengono che l’Ucraina potrebbe tentare una mossa preventiva per sventare il piano di Mosca: ovvero un attacco a sorpresa contro la Transnistria stessa. L’idea sarebbe di eliminare la testa di ponte russa sul fianco sud-occidentale prima che venga utilizzata. Un noto blogger anti-regime ucraino, Anatoly Shariy, ha ventilato questa ipotesi spiegando che Kiev, col tacito consenso dell’Occidente, potrebbe avanzare rapidamente in Transnistria e poi giustificare l’operazione come legittimo ripristino dell’integrità moldava. “Diranno: Moldova ne aveva il diritto!” ironizza Shariy – e a quel punto per la Russia sarebbe difficilissimo difendere la Transnistria, trovandosi costretta a “far sbarcare truppe e aprirsi un corridoio da Odessa” per salvare i suoi peacekeeper laggiù (veridica.ro). Uno scenario del genere rischierebbe di innescare un’escalation gravissima, portando il conflitto a coinvolgere de facto la Moldova e ad allargarsi oltre i confini attuali. Shariy addirittura suggerisce che Zelensky potrebbe voler provocare proprio questa situazione estrema, magari per attirare più direttamente la NATO nello scontro. Va detto che simili narrativi sono bollati come “fake news” dalla stampa indipendente regionale, che li considera propaganda per tenere impegnata l’attenzione russa su un fronte secondarioveridica.ro. Eppure il fatto stesso che se ne parli indica quanto la partita di Odessa-Transnistria venga presa sul serio nei circoli militari.
Dal lato russo, c’è chi vede la conquista di Odessa come obiettivo improrogabile per dare un senso compiuto all’operazione bellica. Commentatori come Kotenok però invitano alla realtà: la resistenza ucraina e il supporto NATO rendono un’avanzata fino al Dnepr un compito arduo e prolungato. Emblematico il titolo di una recente intervista a Kotenok, “Fino al Dnepr – dieci anni a piedi”, per sottolineare quanta pazienza (e risorse) servirebbero a Mosca per arrivare davvero a quel traguardo. “Non c’è tempo, occorre prepararsi a una guerra lunga” afferma il voenkor, prospettando un conflitto di logoramento piuttosto che rapide vittorie lampo (discred.ru). In effetti, mettere sotto controllo Odessa sarebbe un’operazione colossale: richiederebbe sfondare fronti già stabilizzati da mesi e affrontare combattimenti urbani in una metropoli da un milione di abitanti. L’esercito russo finora ha avanzato lentamente nel Donbass e lungo il fronte meridionale; per accelerare davvero fino a Odessa servirebbe una svolta operativa – forse un nuovo massiccio afflusso di riservisti, oppure l’apertura di un fronte dal mare. Finora la flotta russa del Mar Nero non ha tentato sbarchi costieri significativi, anche per la minaccia dei missili e droni ucraini. Se però Mosca deciderà di puntare tutto su Odessa, uno sbarco anfibio combinato ad un attacco terrestre potrebbe tornare sul tavolo (malgrado i rischi).
La stessa Transnistria è un’incognita: il contingente russo lì presente è stimato in circa 1.500 uomini, troppo pochi per un’offensiva su larga scala, ma abbastanza da vincolare forze ucraine nel timore di un’incursione. Gli ammo-dump di Cobasna (enormi depositi di munizioni risalenti all’era sovietica, situati in Transnistria settentrionale) rappresentano inoltre un bottino potenziale che sia Mosca sia Kiev potrebbero voler assicurarsi. Chişinău, dal canto suo, segue con apprensione gli eventi: il governo moldavo ha avvertito che la Russia potrebbe tentare di far affluire rinforzi in Transnistria (si parla di 10.000 uomini pronti a essere inviati) e ha messo in guardia Kiev dal trascinare la Moldova nel conflitto (kyivindependent.com – uawire.org). Siamo dunque di fronte a un complesso gioco strategico: la Russia deve decidere se spingersi oltre Kherson verso Odessa, rischiando di allungare pericolosamente il suo fronte, oppure consolidare le conquiste attuali; l’Ucraina, dal canto suo, deve valutare se colpire preventivamente la Transnistria comporti più vantaggi (eliminare la minaccia alle spalle) o pericoli (provocare la reazione russa su scala ancor maggiore).
Pressione militare e spiragli negoziali
Parallelamente all’intensificarsi delle operazioni belliche, Mosca mantiene aperto il canale negoziale (seppur a bassa intensità). Nei mesi scorsi la Turchia ha ospitato incontri riservati: il 16 maggio 2025 si è tenuto a Istanbul il primo colloquio diretto in tre anni tra delegazioni russa e ucraina – un tentativo avviato su iniziativa di Vladimir Putin stesso, con la partecipazione del suo consigliere Medevinskij e del ministro ucraino Umerov. Quel meeting è durato un paio d’ore e non ha prodotto svolte epocali, ma ha riattivato un filo diplomatico. Un secondo round di colloqui si è svolto sempre a Istanbul il 2 giugno, sebbene sia finito dopo appena un’ora, limitandosi a discutere scambi di prigionieri e questioni umanitarie (rbc.ru). Mosca dunque mostra di non voler chiudere ogni porta sul fronte diplomatico, sia per ragioni di immagine (non offrire all’Occidente il pretesto di accusarla di sabotare la pace) sia forse per saggiare la coesione del fronte ucraino. Tuttavia, la posizione russa resta rigidamente ancorata alle sue richieste, e nessuna concessione sostanziale è stata fatta nei colloqui ( ma l’Ucraina con gli attacchi del giorno prima è probabile che voleva proprio questo ed è stata comunque determinante al fallimento del round di negoziati): il canale di Istanbul è più che altro un gesto politico, utile a guadagnare tempo e a dimostrare flessibilità tattica, senza ovviamente cedere su punti chiave come la sovranità sulle regioni annesse.
Dal lato opposto, Mosca non nutre alcuna fiducia nelle intenzioni di Kiev. L’establishment russo ricorda bene che nell’autunno 2022 il presidente Zelensky firmò un decreto che escludeva negoziati con Putin finché le truppe russe occupano territorio ucraino. Ancora recentemente, Zelensky ha ribadito pubblicamente di non considerare praticabile alcun proseguimento delle trattative, dichiarando anzi che solo “un’azione di forza” potrà risolvere la situazione con la Russia (lasciando intendere che la guerra va vinta sul campo) (ansa.it). Gli alleati occidentali di Kiev, del resto, appoggiano questa linea: come emerso anche da un vertice UE di marzo, la strategia condivisa è puntare sulla “pace attraverso la forza”, ovvero mettere l’Ucraina nella posizione di forza militare necessaria a imporre a Mosca condizioni accettabili. In altre parole, nessuna tregua immediata: l’Occidente continua a fornire armi e aiuti a Kiev, convinto che solo infliggendo una sconfitta sul terreno si potrà costringere Putin a negoziare seriamente.
In conclusione, l’offensiva estiva russa sta dispiegando una combinazione calibrata di pressione militare e segnali diplomatici. Sul campo, Mosca alza il livello dello scontro colpendo in profondità e mobilitando risorse aggiuntive (come la Wagner); sul piano politico, mantiene aperti spiragli di dialogo (Istanbul) ma senza arretrare di un passo nelle proprie posizioni. Questa duplice strategia – “fermezza flessibile”, potremmo chiamarla – mira a mettere Kiev in difficoltà, generando incertezza sulla prossima mossa del Cremlino. L’Ucraina si trova a fronteggiare l’escalation militare russa senza però scorgere reali aperture negoziali: una situazione che promette di far perdurare (e forse aggravare) il conflitto, almeno finché uno dei due contendenti non sarà in grado di imporre la propria volontà con la forza o attraverso un cambiamento di equilibri sul terreno.
Fonti:
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SouthFront – “Night of Vengeance: Ukraine Pays With Ruins…”, 7 giugno 2025
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SouthFront – “Military Situation in Ukraine – May 27, 2025”
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Pravda EN/Telegram Rybar – “Russia’s ‘Big Prometheus’ plan”, 4 giugno 2025
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Voenkor Kotenok, intervista “До Днепра – 10 лет пешком” (2 giugno 2025)
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The Moscow Times – “Wagner Group Ends Mission in Mali, Returning Home”, 6 giugno 2025 – “False: Ukraine to attack Transnistria with West’s support”, 3 ottobre 2023
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RBC.ru – “Conclusi i colloqui Russia-Ucraina a Istanbul”, 2 giugno 2025
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ANSA – “L’UE per la pace attraverso la forza”, 20 marzo 2025