Non cambiate la Costituzione, la Costituzione è ciò che regge nelle bufere

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Basterebbe considerare la limitatezza di questo governo per realizzare che mai potrebbe avere una ‘vision’ tale da essere migliore dei padri costituenti e quindi chiederti di migliorare la Costituzione (e questo senza inoltrarci nelle ragioni del NO).

Riporto comunque di seguito le evidenze riportate dall’amico G.L.:

La Costituzione è ciò che regge nelle bufere

In questi frangenti si vede bene com’è importante rifarsi ai principi solidi quando imperversa la bufera (nei cervelli).
Una direttrice deve porre come pietra angolare il concetto di “scuola materna cattolica” e poi chiedersi “e il covid come lo collochiamo?”
Guai se il covid l’avesse portata a rivedere il suo concetto di scuola.
Lo Stato ha la Costituzione come sua pietra angolare. Sì, lo so, è imperfetta, come ogni cosa umana. Ma l’investimento culturale che venne fatto nel 1946-1947 è qualcosa di enorme in termini di tempo speso e di teste pensanti all’opera, e merita un doveroso rispetto.
Il rispetto chiave è questo: riconoscere che la classe politica fatiscente che si è andata formando dopo la Prima Repubblica non è mentalmente in grado di partorire miglioramenti alla Costituzione.
Si può modificare la Costituzione? Sì, con la maggioranza dei due terzi. Se invece la modifica viene approvata con maggioranza assoluta, può essere sottoposta a referendum popolare.
Ma sono numeri pensati per un sistema elettorale proporzionale: due terzi di parlamentari voleva dire più o meno “due terzi del popolo”; maggioranza voleva dire più o meno “maggioranza del popolo”. Adesso che i meccanismi maggioritari hanno alterato la corrispondenza tra parlamento e popolo (oltre a esserci un astensionismo abnorme) le cautele nel toccare la Costituzione dovrebbero essere amplificate.
Invece è proprio adesso, in epoca maggioritaria, che le cautele vanno a farsi benedire: il grosso degli stravolgimenti realizzati, oppure tentati e non realizzati, avvengono tutti nella brutta epoca successiva alla Prima Repubblica.

Breve storia delle varianti tentate e delle varianti realizzate
Ricordiamoli allora questi passaggi, mettendoci sempre nell’ottica della direttrice: «Ho chiari i princìpi e non mi lascio manipolare dal contingente».
Qui invece vedrai sempre: «Ho poco chiari i principi, e mi lascio guidare dal feticcio del presente».

2001 – il feticcio del federalismo
L’Ulivo partorisce la riforma del titolo V della Costituzione.
E’ il classico esempio dell’attualità (sarebbe meglio chiamarla “attualismo”: è infatti un’ideologia) che altera i princìpi. Siccome “era di moda” essere federalisti, il centro-sinistra vuole fare vedere che il federalismo non è appannaggio del centro-destra.
Così creano un assetto federale attribuendo malamente le competenze alle regioni.
E dico “malamente” non a caso; sul Sole24ore (6 settembre 2019) c’è una tabella riepilogativa sulle liti Stato-Regioni dopo il 2001: «Le liti tra Stato e Regioni impegnano 1 sentenza su 2 della Consulta – I conflitti sulla legislazione concorrente hanno prodotto in 17 anni oltre 1.800 ricorsi».
Come ottennero quella riforma? Con una maggioranza semplice, che corrispondeva a una minoranza degli elettori (miracoli del maggioritario). Quindi viene indetto il referendum.
Nel frattempo però, 13 maggio 2001, la Casa delle Libertà vince le elezioni sull’Ulivo di Rutelli (quasi +15% nel proporzionale) e quindi si disinteressa completamente del referendum dell’ottobre 2001: tanto, pensavano, la Costituzione dobbiamo riscriverla noi nella legislatura 2001-2006, col federalismo “vero”.
Al referendum va a votare il 34,05% degli italiani, i SI vincono col 64,21%, i NO hanno il 35,79%.
Io (caso unico, mi pare) non vado a votare: non entro nel merito della questione, è il maggioritario coi suoi metodi che mi disgusta.

2006 – il feticcio del maggioritario
Il centro-destra partorisce la sua riforma, ovviamente sempre ottenuta con maggioranza semplice.
Esagera, perché non si limita a sistemare le cose sbagliate del Titolo V, ma aggiunge una riforma del Titolo II che instaura il “premierato”: il Capo del Governo viene trasformato in Primo Ministro eletto dal popolo, e c’è quindi la codificazione del maggioritario a livello di Costituzione.
Di nuovo il feticcio attuale (il sistema maggioritario) che va ad alterare i principi.
Nel frattempo, aprile 2006, l’Unione vince le elezioni con lo 0,07% di vantaggio, sufficiente però a far cambiare il vento. Al referendum del giugno 2006 vanno a votare il 52,46% degli italiani, i SI sono solo il 38,71%, i NO il 61,29%, e la riforma del centro-destra non passa.
Resta quindi in vigore la Costituzione taroccata dal centro-sinistra nel 2001.
Quella volta votai un “sì”, sommesso.
Sono andato a rileggermi le motivazioni di allora: «Ho scritto volutamente il “sì” in piccolo: non attribuisco a questo voto nessuna valenza universale e non faccio inviti vigorosi a votare SI».

Il motivo era che, se vinceva il SI, subito dopo il centro-sinistra avrebbe fatto la sua nuova riforma della riforma, togliendo il premierato. E sarebbero rimaste, si spera, le giuste correzioni al Titolo V.
Ma comunque, al solito, le mie motivazioni sono più complesse: se hai voglia, vai a rileggere il testo del 2006.

2012 – il feticcio del debito
Torna l’attualità a danno dei principi.
Poiché non riusciamo a tenere sotto controllo il debito, il solerte Monti fa inserire il pareggio di bilancio (COMPRESI GLI INTERESSI PASSIVI) in Costituzione: una tassa perpetua ai finanzieri.
E un Parlamento ridotto a mite pecorella approva con la maggioranza dei due terzi: niente referendum.

2016 – il feticcio della governabilità
La legislatura 2013-2018 sperimenta l’ingovernabilità da maggioritario, per il boom dei 5 Stelle.
E Renzi, con una atto di hybris, partorisce una riforma globale della Costituzione, dove il Senato cambia di funzione e dove quindi la maggioranza alla Camera è sufficiente per comandare il paese: maggioranza alla Camera di tipo maggioritario, corrispondente quindi a una netta minoranza nel paese.
65,48% di votanti, 40,88% i SI, 59,12% i NO. Renzi si dimette. La Costituzione (taroccata del 2001 e sporcata nel 2012) è salva dal disfacimento completo.

Il feticcio di oggi: risparmio
Quale è il feticcio di oggi sulla riduzione del numero dei parlamentari?
Beh è un feticcio piccino, a misura di Di Maio: ridurre la casta e risparmiare.
A spanne dicono: risparmieremo 500 milioni a legislatura.
Ossia 100 milioni all’anno, visto che i conti dello Stato non si fanno “a legislatura”.
Innanzitutto limiamo la cifra.
I parlamentari hanno un’indennità lorda di 10.400 euro (al netto delle trattenute sono 5.000 euro circa), poi hanno una serie di rimborsi (per collaboratori, consulenze, convegni, diaria, telefono, viaggi, eccetera) stimabile tra 8.000 e 9.000 al mese (questi rimborsi non sono soggetti a trattenute).
Costo annuale = 10.400 x 13 mesi + 8.500 di media x 12 mesi = 237.200 euro.
Risparmio per il taglio di 345 parlamentari = 237.200 x 345 = 81.834.000 euro.
82 milioni l’anno. Ma la cifra è una finzione, perché le imposte sugli stipendi ritornano allo Stato (lascio perdere le trattenute previdenziali, lascio perdere il fatto che le indennità vengono spese e generano quindi altre entrate per lo Stato).
Bisogna come minimo togliere l’IRPEF che, su 10.400 x 13 mesi = 135.200 euro vale 51.306 euro.
81.834.000 – 51.306 x 345 = 64.133.430 euro. Il risparmio reale è 64 milioni circa.
Tanto, poco?
Pensate che il governo ha appena riannunciato 11.000.000 di mascherine al giorno per la scuola. Cosa costeranno, 10 centesimi l’una? Se costano 10 centesimi l’una abbiamo
11.000.000 x 200 giorni di scuola x 0,10 euro = 220.000.000 euro.
Ecco vanificati in un solo colpo più di 3 anni di riduzione di parlamentari.
Se le mascherine costano di più, fai tu i conti.

Il feticcio bis: allinearsi all’Europa
Non poteva mancare l’Europa: siamo quelli che hanno più parlamentari in Europa!
Va beh, quello è il numero assoluto. Ma noi siamo uno dei paesi più popolosi.
Rapportato al numero di abitanti, siamo al 23° posto in Europa, ossia siamo tra i paesi con meno parlamentari.
Se passa la riforma, diventeremo ultimi in Europa per rappresentanza.
Quindi il feticcio dell’Europa è un po’ come il feticcio del risparmio: risibile.
Ma è possibile fare ragionamenti con chi vuole inondare la scuola con 11.000.000 x 200 giorni = 2,2 miliardi di mascherine?

La realtà
La realtà è che potevano ridurre il costo dei parlamentari riducendone semplicemente gli stipendi, sempre che questo risparmio abbia qualche significato (corrisponde a 3 mesi di mascherine).
La realtà è che abbiamo un numero di parlamentari del tutto adeguato e, anzi, tendenzialmente basso.
La realtà è che ridurre il numero di parlamentari significa blindare ancor più la casta, sempre più lontana e sempre più impermeabile al popolo.
La realtà è che attualmente il parlamento sembra un ente inutile perché ci siamo abituati a far partorire tutto dai tecnici governativi: ci siamo dimenticati che il parlamento dovrebbe avere potere legislativo e il governo potere esecutivo.
La realtà è che tutto questo svilimento nasce dal sistema maggioritario: le elezioni nel maggioritario (quando funzionano) producono una maggioranza parlamentare uguale alla maggioranza governativa, per cui viene naturale far partorire tutto dal governo lasciando al parlamento solo la ratifica.

La sintesi
La sintesi è che non si tocca la Costituzione per boiate che possono essere risolte con leggi ordinarie.
I feticci del momento (federalismo, maggioritario, debito, governabilità, risparmio “alla Di Maio”) non devono o non dovrebbero tradursi in modifiche costituzionali,
perché questi feticci sono inconsistenti e svaniscono nel breve termine
e perché le teste dei Costituenti erano oggettivamente di livello superiore rispetto ai politicanti attuali, non fosse altro perché non avevano la TV sulla quale dover comparire un giorno sì e l’altro pure.
Lasciate stare la Costituzione, piccoli politicanti del tempo attuale.

E i partiti?
I partiti ovviamente non c’entrano nulla nella nostra scelta.
C’entrano perché condizionano le persone, e faranno vincere il SI senza colpo ferire, ma qui siamo nell’ambito della democrazia diretta, non abbiamo bisogno dei mediatori.
Non vale quindi il mio discorso classico che “dove c’è la Bonino io non ci sono di sicuro”, varrebbe solo se la Bonino fosse la promotrice del referendum.
Le posizioni che mi sconcertano di più sono quelle di PD e Lega.
Il PD era contro la riforma costituzionale e adesso chiede il SI per non spaccare il governo giallo-rosso.
La Lega vota SI per coerenza coi SI che diede quando era nel governo giallo-verde: ma quel SI era stato dato all’interno di un contratto di governo, come “rospo” da digerire in cambio di altre cose. Non c’è nessuna coerenza nel rispettare un contratto che non esiste più.
Insomma gli uni e gli altri sono condizionati da un partito che sta sparendo dal territorio italiano.
Mah.

Voto NO
Voto NO, perché voglio conservare la Costituzione così com’è (pur scassata dall’Ulivo nel titolo V, pur sporcata da Monti col pareggio di bilancio) in attesa che qualcuno si dia da fare, semmai, per realizzarla invece che per “migliorarla”.
Voto NO perché le ideuzze del momento partorite da politici di piccolo calibro non possono intaccare l’impianto della Costituzione, così come il covid non intacca l’idea di scuola della nostra direttrice.
Voto NO perché, quando (si spera) torneremo al proporzionale, noi avremo certamente bisogno di quel numero di parlamentari deciso dall’Assemblea Costituente: 1 deputato ogni 80.000 abitanti, 1 senatore ogni 200.000 abitanti.
Fanno 1056, un po’ di più di quelli attuali.

(…)

(stralcio da una mail/rubrica di G.L.)

Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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