Misurare la corruzione aiuta a contrastarla?

Negli ultimi decenni si è osservato un interesse crescente nel dibattito sia accademico sia politico-istituzionale sul fenomeno della corruzione, considerato a ragione un grave ostacolo allo sviluppo economico e sociale di un paese o di un’area geografica. Secondo la Banca Mondiale nel mondo vengono pagati circa mille miliardi di dollari di tangenti all’anno, pari al 3 per cento del PIL globale. Più di recente il Fondo Monetario Internazionale (Corruption: Costs and Mitigating Strategies, IMF Discussion note, 2016) ha stimato che il costo annuale delle tangenti nel mondo è pari al circa il 2 percento del PIL globale.

Specie se di livello sistemico, la corruzione indebolisce i fondamenti della democrazia, i principi di legalità e di uguaglianza, svilisce i principi di buon governo e di etica pubblica. Erodendo la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, nella classe politica e nelle relazioni interpersonali aumenta il rischio e l’incertezza, che rappresentano un costo significativo per gli attori privati e pubblici. Dal punto di vista economico, la corruzione rappresenta un grosso problema in quanto penalizzando le imprese sane altera il funzionamento del mercato; disincentiva nuove iniziative imprenditoriali e riduce gli investimenti interni ed esteri; crea distorsioni nell’allocazione delle risorse pubbliche e del capitale umano; aumenta il prezzo dei servizi pubblici e ne riduce la qualità generando effetti redistributivi negativi. Tutto questo si riflette in una riduzione del tasso di crescita che viene stimato pari a 0.5-1 punto percentuale all’anno.

Appare dunque evidente come la corruzione rappresenti un costo insostenibile per un paese come il nostro che fatica a trovare le risorse per favorire la crescita e l’occupazione. In questa prospettiva, contrastare la corruzione diventa un obiettivo prioritario.

La recente pubblicazione di due libri sul tema, Corruption and Public Administration: The Italian case in a comparative perspective di Francesco Merloni (Routledge) e Corruzione e Anticorruzione di Raffaele Cantone e Enrico Carloni (Feltrinelli) riaccende l’attenzione sul fenomeno della corruzione, e più ancora dell’anticorruzione, evidenziando il contributo che strumenti di analisi provenienti da discipline diverse possono fornire, in una prospettiva di prevenzione, alla comprensione e al contrasto della corruzione. Entrambi i volumi fanno, in vario modo, un bilancio interessante dei risultati raggiunti dall’ANAC – e di quelli che ancora non lo sono –, degli strumenti innovativi utilizzati per attuare la trasparenza dell’azione pubblica dando centralità alle amministrazioni pubbliche, dell’importanza della collaborazione degli stakeholders, della misurazione dell’impatto delle misure di contrasto attuate.

La stessa scelta della prevenzione, che rappresenta il fulcro dell’attività dell’ANAC, presuppone la centralità della misurazione: per essere efficace la prevenzione deve disporre di una piattaforma conoscitiva articolata e robusta. Misurare la corruzione, per quanto in maniera imperfetta, è pertanto indispensabile per monitorare la dinamica del fenomeno corruttivo e la sua distribuzione territoriale; per elaborare modelli di analisi al fine di individuare empiricamente la rilevanza di ciascuno dei numerosi fattori che ne alimentano la diffusione e la persistenza nonché i suoi effetti sulla crescita; per contribuire alla definizione di politiche di contrasto adeguate all’entità e alle specificità con cui la corruzione si manifesta.

Misurare un fenomeno latente non è facile a causa del convergente interesse al silenzio del corrotto e del corruttore e della scarsa visibilità del reato; né produce risultati univoci in quanto le sue stesse manifestazioni non sono facilmente osservabili e sono comunque diverse. La corruzione si presenta infatti come un insieme di attività alquanto differenziato per tipologia e per entità, riconducibile ad uno schema del tipo principale-agente in cui un funzionario pubblico (l’agente) scambia un atto di potere intenzionalmente contrario alla tutela dei cittadini (il principale) con un vantaggio personale monetario o non monetario. Si può essere interessati a misurare la corruzione emersa o quella sommersa, la grande o la piccola corruzione, la deviazione da regole morali consolidate, in un’accezione di tipo comportamentale, o dalle regole dell’ordinamento giuridico.

Tali difficoltà si traduce nella necessità di ricorrere a diverse metodologie di misurazione che producono una pluralità di indicatori di diverso tipo, soggettivi (di percezione o esperenziali), giudiziari (denunce, sentenze penali, sentenze contabili), economici (riferiti ad output misurabili come le infrastrutture, l’istruzione, la sanità); rilevati su base nazionale o regionale; aggregati o settoriali. Tale pluralità di misure è all’origine dei divari non irrilevanti che spesso esistono tra esse e che si manifestano in rappresentazioni alquanto differenziate di uno stesso paese. Mentre infatti gli indicatori soggettivi ed esperenziali catturano la corruzione sommersa e si prestano ad effettuare confronti diacronici e tra paesi, le misure economiche di tipo micro prediligono analisi di contesto e/o settori e quelle giuridiche, configurabili piuttosto come misure di efficacia dell’azione di contrasto, si rivelano più appropriate nell’analisi della corruzione emersa in un determinato paese o area geografica dello stesso.

Appare infine altrettanto importante promuovere l’elaborazione di indicatori di rischio di corruzione, fondate sui metodi di analisi del rischio consolidati a livello internazionale, che siano validati scientificamente e che aiutino le istituzioni preposte ad individuare le priorità di intervento. L’ANAC si sta da tempo muovendo in questa direzione, individuando una serie di indicatori di rischio nell’attività di contrattazione pubblica e nel settore sanitario. Le stesse prime rilevazioni sulla qualità dei Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione delle amministrazioni pubbliche, previsti dalla legge 190 del 2012, rappresentano un passo importante verso la predisposizione di un sistema continuo di monitoraggio dell’accuratezza, della coerenza e della precisione dei dati, che si avvalga di una pluralità di specifici indicatori di rischio, completi sia nella dimensione temporale che in quelle territoriale e settoriale.

Infine, molto promettente è anche la metodologia di misurazione della corruzione fondata sugli esperimenti di laboratorio che permettono di osservare il comportamento corruttivo dei partecipanti (individui o imprese) in un ambiente controllato in cui è possibile simulare diversi contesti istituzionali (Sequeira, in New Advances in Experimental Research on Corruption, 2012).

Come si diceva, il livello di corruzione di un paese risulta sensibile alle diverse metodologie di misurazione. In base agli indicatori di percezione, l’Italia appare come un paese in cui la corruzione è diffusa e persistente: i valori del Corruption Perception Index (in linea con gli altri indicatori di tipo percettivo) sono costantemente bassi e molto distanti da quelli di buona parte dei paesi dell’UE, anche se registrano negli ultimi anni graduali miglioramenti (nel 2017 il nostro paese è 50mo in una classifica di 180 paesi con un punteggio di 50 su 100). Se si utilizzano i dati degli indicatori esperenziali, nell’ultima rilevazione del Global Barometer riferita al 2016, il 28% dei cittadini intervistati considera la corruzione uno dei tre principali problemi del paese e solo il 7% dichiara di aver avuto esperienza diretta di corruzione nell’accesso ai servizi pubblici. Allo stesso modo, le più recenti rilevazioni dell’Istat nell’indagine sulla sicurezza dei cittadini (2017) evidenziano che il 7,9% delle famiglie ha dichiarato di essere stato coinvolto direttamente in episodi di corruzione quali richieste di denaro, favori, regali o altro in cambio di servizi o agevolazioni nel corso della vita, il 2,7% negli ultimi 3 anni, e solo il 1,2% negli ultimi 12 mesi. Il livello di corruzione appare ancor meno allarmante se si considerano i dati giudiziari relativi al numero delle denunce e delle condanne per i reati di corruzione e concussione commessi dai pubblici ufficiali (Istat, vari anni). La distribuzione dei reati di corruzione sul territorio nazionale appare inoltre eterogenea sia alla luce dei risultati della rilevazione percettivo-esperenziale dell’indagine della Commissione Europea – Università di Goteborg (2010-2013) che delle misure giudiziarie.

Nessuna delle metodologie attualmente utilizzate, prese singolarmente, è priva di problemi concettuali o statistici: complessità definitoria, carenza di dati, margini di errore, rischi di sovra- o sotto-stima, livelli di aggregazione o troppo elevati per poter essere utilizzati con finalità di prevenzione territoriale o settoriale, o troppo circoscritti a contesti o settori specifici e quindi difficilmente generalizzabili (Heywood e Rose, in Journal of Public Policy, 2014).

Queste limitazioni non devono tuttavia essere utilizzate come un’arma per depotenziare l’importanza della misurazione e per ridimensionare i progressi della ricerca scientifica e dei progetti condotti dalle istituzioni nazionali ed internazionali preposte al contrasto della corruzione. Se, da un lato, la consapevolezza delle difficoltà di misurazione può sfociare in un atteggiamento di sfiducia rispetto alla qualità e affidabilità degli indicatori esistenti, dall’altro evidenzia la necessità di sviluppare metodi di misurazione sempre più rigorosi e attendibili, da utilizzare (si spera) nei processi decisionali. L’analisi quantitativa del fenomeno rappresenta quindi un contributo complementare alle analisi di tipo qualitativo che non ha solo una valenza conoscitiva ma è condizione necessaria, anche se non sufficiente, a garantire azioni di contrasto che siano fondate su indicatori di vario tipo, prodotti a livello nazionale ma anche e soprattutto a livello regionale e settoriale dove si manifestano i deficit maggiori.

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