Il vertice trilaterale tenutosi a Palazzo Chigi tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen è stato presentato come un tentativo di «tenere unito l’Occidente» per “i valori” e “il 30% del commercio mondiale”. Ma dietro questa dichiarazione d’intenti apparentemente nobile si cela, in realtà, un’ambiguità strutturale che rischia di svuotare di senso lo stesso concetto di “unità occidentale”.
Il contesto: la frattura profonda tra USA e UE
Con l’insediamento dell’amministrazione Trump il 20 gennaio 2025, gli Stati Uniti hanno segnato una netta discontinuità rispetto al ciclo globalista e progressista precedente. Il vicepresidente J.D. Vance, espressione dell’America profonda e tradizionale, ha più volte criticato apertamente l’Unione Europea, in particolare al convegno sulla sicurezza di Monaco, dove ha denunciato l’UE come un’entità ideologicamente scollegata dai suoi cittadini, fautrice della guerra per procura in Ucraina e promotrice delle agende globaliste.
Questa posizione non è episodica, ma esprime una visione politica strutturale, diametralmente opposta a quella incarnata da Ursula von der Leyen, che continua a rappresentare l’anima tecnocratica, progressista e interventista dell’Europa, ormai identificata con una governance sempre più distante dai popoli.
JD Vance meets with European Commission President Ursula von der Leyen and Italy PM Giorgia Meloni after attending Pope Leo inaugural Mass. pic.twitter.com/f0mMbccQz2
— Howard Mortman (@HowardMortman) May 18, 2025
L’errore di fondo di Giorgia Meloni
L’iniziativa della premier Meloni di far sedere attorno allo stesso tavolo il vicepresidente americano J.D. Vance e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen appare più come un’operazione di immagine che una scelta politica fondata. La motivazione ufficiale — la necessità di “unità” dell’Occidente “per difendere i valori e il commercio mondiale” — suona vaga e scollegata dalla realtà, soprattutto in un momento in cui le due sponde dell’Atlantico rappresentano visioni del mondo sempre più inconciliabili.
Non si tratta, infatti, di una semplice mancanza di dialogo, ma di una radicata incompatibilità ideologica.
Da un lato, la Casa Bianca guidata da Trump e Vance promuove una politica realista, sovranista, non interventista, fondata su valori tradizionali, sul primato della produzione reale sull’economia finanziaria e sulla riaffermazione dell’interesse nazionale come criterio guida della politica estera.
Dall’altro, l’Unione Europea guidata da von der Leyen si muove in senso opposto: continua a proporre modelli tecnocratici e iper-regolatori, ispirati da una visione progressista e globalista, oggi ancora più pericolosamente alimentata da una russofobia ideologica, che rischia di far precipitare il continente (e non solo) in un’escalation militare incontrollabile, fino al rischio concreto di un conflitto globale devastante. È una linea politica erede delle élite sconfitte in America nel 2016 e nel 2024, ma ancora dominanti a Bruxelles.
In questo scenario, l’idea di richiamarsi a un generico “Occidente” unito da presunti “valori comuni” non è solo ingenua, è fuorviante. Perché non c’è unità possibile quando i princìpi stessi su cui si costruisce la convivenza tra le nazioni sono messi in discussione da una delle due parti.
Un’occasione sprecata
Meloni avrebbe potuto cogliere l’occasione per intercettare il cambio di paradigma in corso a Washington, per posizionare l’Italia come interlocutore privilegiato di una nuova visione occidentale — più attenta alla sovranità, meno subordinata all’ideologia, più incline alla pace che alla guerra perpetua.
Invece, ha scelto di dare continuità a un quadro di alleanze ormai superato, quasi a voler salvare ciò che resta del vecchio ordine euro-atlantico. Così facendo, ha paradossalmente indebolito la possibilità di una vera ridefinizione dell’Occidente, che oggi non ha bisogno di appelli retorici all’unità, ma di una rifondazione valoriale e strategica profonda.
Non serve un vertice, serve una visione
Non è l’Occidente a dover essere “riunito” attorno a slogan generici, ma rifondato su basi nuove. L’amministrazione Trump-Vance rappresenta un’opportunità storica per ripensare i rapporti euro-americani secondo logiche di reciprocità, rispetto e realtà, fuori dagli schemi globalisti e dalle ingerenze ideologiche.
L’UE, se vuole restare un attore credibile, dovrà abbandonare la postura progressista e globlista, recuperare le proprie radici culturali e politiche, e smettere di farsi portabandiera di un’ideologia che divide anziché unire.
In questo scenario, l’Italia avrebbe potuto essere ponte tra due visioni. Ma per farlo avrebbe dovuto scegliere una parte. Non quella dell’apparenza, ma quella della verità.
Il punto vero è che il contrasto tra Trump/Vance e l’UE è ormai una frattura ideologica strutturale.
A Monaco, Vance è stato chiaro:
“Il nemico dell’Europa non è la Russia o la Cina, ma la perdita interna dei suoi valori fondanti.”
L’UE è dominata da élite tecnocratiche, progressiste e russofobe.
La nuova linea americana, invece, è realista, sovranista, non interventista e radicata nei valori tradizionali.
Allora ci si chiede:
Vuole Meloni che entrambi “cedano qualcosa” per un compromesso di superficie?
O immagina un vero incontro su valori comuni da rifondare, che oggi l’UE sembra aver smarrito?
Unire l’Occidente non può significare cancellare le differenze. Serve prima riscoprire le radici.
Il vero tentativo di Trump: ricostruire alleanze con interlocutori alternativi dentro l’UE
Se si vuole realmente ricostruire l’unità dell’Occidente, è indispensabile definire obiettivi comuni. Ma oggi, se l’”Occidente” — almeno nella visione dominante in UE — ha assunto significati che non coincidono più con ciò che lo ha reso grande e lo ha distinto da altre civiltà, allora una vera convergenza non è possibile.
Il pragmatismo nelle relazioni internazionali è sempre necessario, certo, ma non va confuso con l’identità di un blocco geopolitico. L’Occidente non è solo una tecnica di mediazione o una sommatoria di interessi momentanei: è (o dovrebbe essere) una visione antropologica e culturale comune.
Oggi ci troviamo di fronte a due soggetti differenti: da una parte l’UE, guidata da élite progressiste e tecnocratiche, dall’altra gli Stati Uniti di Trump, che con il movimento MAGA stanno cercando di ricostruire un altro tipo di Occidente. Se queste due forze si incontrano “sul nulla”, fingendo che non esistano differenze profonde, e senza un progetto di ricostruzione basato su valori condivisi, allora l’incontro è non solo inutile, ma addirittura dannoso per i popoli europei.
Il tentativo in corso da parte dell’amministrazione Trump/Vance sembra essere invece un altro: ricostruire alleanze con interlocutori alternativi dentro l’UE e, al contempo, indebolire il blocco globalista e progressista che domina a Bruxelles, espressione diretta delle élite di Davos e della finanza internazionale.