Parigi, atto unico del grande teatro repubblicano
Marine Le Pen, leader dell’“abominevole” estrema destra – così estrema da raccogliere milioni di voti – è stata appena colpita da una sentenza che le vieta di ricoprire cariche elettive per i prossimi cinque anni. Tempismo perfetto, guarda caso, proprio in vista delle presidenziali del 2027. Ma tranquilli: sarà sicuramente solo una coincidenza.
La decisione arriva come un colpo di teatro, perfettamente in linea con la narrazione di una République che si professa garante dei valori, ma che fatica sempre più a nascondere il proprio volto inquisitorio. Le Pen, che ha lasciato l’aula prima della lettura del verdetto (forse per non rovinarsi la sorpresa, o forse perché l’epilogo era scontato come quello di una soap di seconda serata), ha commentato con amarezza:
“È una decisione politica. Tutto mi era chiaro.”
Non solo è stata squalificata, ma – a suo dire – nemmeno messa nelle condizioni di difendersi. Il giusto processo, nella Francia democratica 2.0, sembra ormai una voce facoltativa: prima si condanna, poi – forse – si discute.
“Il magistrato si è assunto l’onere di disporre l’esecuzione provvisoria dell’ineleggibilità, di rendere inutile il mio ricorso su questa questione, impedendomi di candidarmi ed essere eletto Presidente della Repubblica”. Ha detto Le Pen.
BREAKING: Marine Le Pen breaks her silence with a DEFIANT message:
“I’m a fighter. I’m NOT going to let myself be eliminated. I will pursue every avenue of appeal that I can. I have fought for the French people for 30 years and I will keep doing so all the way.”
— Cillian (@CilComLFC) March 31, 2025
L’accusa: segretarie troppo operative?
Secondo quanto riportato da The European Conservative, Le Pen sarebbe colpevole di aver impiegato alcune assistenti parlamentari europee anche per attività legate al suo partito in Francia. Insomma, funzionarie che – oltre a Bruxelles – lavoravano sul territorio nazionale. E questo, per la giustizia francese, sarebbe “appropriazione indebita” di fondi UE.
Un’accusa che, di per sé, suona già surreale. La difesa ha sottolineato come le norme dell’Europarlamento non definiscano in modo chiaro i limiti del ruolo degli assistenti, e che – vista la natura transnazionale del lavoro degli eurodeputati – la presenza e l’attività sul territorio nazionale sia parte integrante del loro mandato.
Ma la corte ha scelto la linea dura, l’“opzione massimalista”: condanna e interdizione. E il messaggio appare fin troppo chiaro: Le Pen fuori dai giochi. Non per motivi politici, ovvio. Solo per una “questione tecnica”, s’intende.
Nel frattempo, il Rassemblement National ha già restituito 3 milioni di euro. Ma anche questo non è bastato.
C’est une décision politique qui a été rendue.
La magistrate a assumé de mettre en œuvre l’exécution provisoire de l’inéligibilité, de rendre mon appel inutile sur ce sujet pour m’empêcher de me présenter et d’être élue présidente de la République. pic.twitter.com/N7TlTc4r9f
— Marine Le Pen (@MLP_officiel) March 31, 2025
Democrazia a geometria variabile
Il ricorso è stato annunciato. Ma a molti l’impressione è che l’unico vero ricorso ammesso, oggi, sia quello al galateo progressista, marchiato UE. Intanto, milioni di cittadini sono stati gentilmente accompagnati fuori dalla scena politica: merci et à bientôt… ma solo se la prossima volta votano bene.
Siamo davanti a un caso emblematico di lawfare, quell’uso spregiudicato e strumentale del sistema giudiziario per eliminare l’avversario politico. E come spesso accade, l’apparato si muove con puntualità chirurgica proprio quando l’esito delle urne potrebbe mettere in crisi l’equilibrio di potere.
Chiamatela democrazia, se vi va. A noi pare più utilizzo delle istituzioni per fini elettorali e preservazione dello status quo.