Sull’entusiasmo per la vittoria di Trump: uno sguardo oltre l’euforia
Mentre testate come il celebre Zero Hedge celebrano i successi in atto, ritengo opportuno mantenere uno sguardo lucido. È innegabile la rapidità e la forza con cui stanno emergendo temi e battaglie che, fino a poco tempo fa, sembravano patrimonio esclusivo di una minoranza che si opponeva al Deep State globale. Tuttavia, anche riconoscendo l’importanza del cambiamento in corso, ritengo essenziale sottolineare alcune riserve che solo il tempo potrà sciogliere.
Le ragioni della cautela
1. L’incognita della politica estera di Trump
Nonostante i segnali incoraggianti, come l’avvio di un dialogo con la Russia e un apparente distacco dalle guerre infinite tipiche dell’era neoconservatrice, è impossibile ignorare alcune ambiguità. La presenza di figure neoconservatrici nella nuova amministrazione è un campanello d’allarme, poiché potrebbe preludere a qualsiasi esito: dalla pace con Mosca a una pericolosa escalation militare. Non possiamo escludere che tra quattro anni ci si trovi con il nulla di fatto, con la delusione di chi aveva riposto speranze in un mutamento reale.
2. La fragilità delle vittorie politiche
Anche se Trump riuscisse a ottenere successi significativi, resta aperto il problema della loro durata. Il sistema statunitense è profondamente segnato dall’influenza di poteri trasversali: ONG, lobby transnazionali e un establishment mediatico e giudiziario che potrebbe facilmente ribaltare ogni risultato. Nulla impedisce che, con un cambio di amministrazione, i globalisti/liberali tornino al potere e cancellino i progressi raggiunti. Questo rende fragile qualsiasi speranza di cambiamento duraturo e potrebbe trasformare l’attuale fase in una semplice parentesi, lasciando a chi osserva dall’esterno, come la Russia, la sensazione di aver solo perso tempo.
3. Il nodo del potere interno: una sfida quasi impossibile
Una vera inversione di rotta richiederebbe un’opera radicale: smantellare l’influenza delle élite globaliste all’interno delle istituzioni, dal Congresso alle amministrazioni locali, dal sistema giudiziario fino alle ONG. Sarebbe necessario riconoscere queste forze per ciò che sono: un’opposizione sistemica a ogni sovranità reale. Tuttavia, la storia e la natura del sistema americano rendono estremamente difficile, se non impossibile, un’operazione del genere.
Un cambiamento reale o solo una parentesi?
Per questo, invito a mantenere la calma e a non lasciarsi trasportare da facili entusiasmi. Gli attacchi al pensiero unico liberal-globalista possono essere piacevoli, persino salutari, come una boccata d’aria fresca nell’asfittico panorama occidentale. Ma il punto resta: siamo di fronte a un cambiamento strutturale o a una semplice ricalibrazione temporanea?
L’esperienza ci insegna che i mutamenti politici, senza una rivoluzione culturale e strutturale profonda, rischiano di essere effimeri. Solo il tempo potrà dire se questa stagione segnerà davvero un punto di svolta o si rivelerà una breve pausa prima che il sistema torni a imporre il proprio dominio. In ogni caso, vigilare e mantenere uno sguardo critico sarà essenziale.
Nel frattempo però nulla ci impedisce di sostenere il cambiamento e vivere pienamente il presente. Anzi, credo sia l’atteggiamento più saggio. Inoltre, non è affatto detto che gli esiti debbano necessariamente essere negativi o effimeri. Al contrario, mantenere la libertà interiore rispetto agli esiti, se la causa è giusta, è una posizione profondamente umana e autentica. Esistono innegabili opportunità politiche che potrebbero trovare il loro “momentum” per emergere dalle nicchie in cui il sistema le ha confinate. Perché allora queste mie note che sanno di reticenza e distinguo? Perché è innegabile che esiste un dibattito anche tra i sostenitori del cambiamento. E quindi in proposito voglio essere chiaro: sono pienamente consapevole dei rischi, e non mi sfuggono affatto. Il giudizio finale è che vale la pena giocarsi.
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