L’Ucraina vuole riprovarci con la Crimea: strategia sospinta dalla Gran Bretagna?

Mentre Zelensky parla con toni concilianti dopo l’incontro in Vaticano, avvicinandosi – a detta di molti commentatori – alle posizioni più realiste di Donald Trump, sul campo si assiste a un’escalation che va in tutt’altra direzione. In Crimea, secondo fonti russe e filorusse, sarebbe in preparazione un’operazione anfibia su larga scala, con l’obiettivo di destabilizzare la penisola e colpire le difese russe là dove sono più vulnerabili. Una mossa che, se confermata, segnerebbe un nuovo punto di rottura in un conflitto ormai sempre più dominato da logiche opache, messaggi ambigui e mosse ad alto rischio.

A dare l’allarme è il noto blogger militare Mikhail Zvinchuk, creatore del canale Telegram “Rybar”, vicino all’ambiente militare russo. Secondo lui, Kiev starebbe preparando una “grande provocazione” in Crimea. Ma il punto, sottolinea, non è tanto il numero delle truppe coinvolte – stimato in circa 550 uomini più reparti speciali – quanto la finalità: creare scompiglio, dimostrare capacità operativa e forzare una reazione mediatica e militare.

Un cambio di tattica, con un’impronta britannica?

Il canale “Rybar” descrive una progressiva evoluzione nella strategia ucraina nel Mar Nero. Dopo aver costretto, tra il 2023 e l’inizio del 2024, le navi russe a ripiegare verso il Territorio di Krasnodar, Kiev ha spinto sull’uso di droni marittimi e aerei per colpire infrastrutture navali e costiere. Un’offensiva asimmetrica che, pur non riuscendo a ottenere il controllo delle acque, ha messo in difficoltà le forze russe, spingendole a rafforzare le difese costiere.

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Con l’introduzione di droni navali dotati di missili antiaerei – capaci di abbattere elicotteri e caccia – la minaccia si è evoluta, colpendo anche l’aviazione russa. Gli analisti evidenziano un calo dell’attività aerea di Mosca nella regione, con l’Ucraina che ora concentra gli attacchi su postazioni radar, lanciamissili e postazioni SAM, soprattutto nel nord-ovest della penisola: la zona più adatta, secondo i russi, a uno sbarco via mare. Si parla in particolare delle aree di Mezhdvodnoye-Kotovskoye e Novoozernoe-Yevpatoriya.

Non manca chi intravede, dietro questa strategia, l’impronta britannica: “alcuni punti del piano originale della Gran Bretagna nel Mar Nero sono in fase di attuazione”, affermano gli analisti di Rybar. Accusa pesante, ma non supportata da prove concrete.

Guerra d’informazione e zone grigie

Sebbene le informazioni circolino soprattutto su canali russi o filorussi, come Telegram o siti di analisi militare, diversi indizi convergono: aumento di attività di droni, raduni navali nei porti ucraini di Odessa, Ochakov, Yuzhny, Ilyichevsk. Anche altre fonti russe rilanciano l’allarme, parlando apertamente di un “trampolino di lancio” pronto per l’offensiva.

Eppure, mancano conferme indipendenti. Nessuna fonte occidentale ha validato la portata o l’effettiva preparazione di un’operazione di sbarco in Crimea. Alcuni analisti NATO si mostrano scettici: troppo rischiosa, troppo complessa, troppo ambiziosa rispetto alle attuali capacità ucraine. Dopo due anni di guerra, logoramento e costi umani enormi, l’Ucraina ha sicuramente affinato l’arte della guerra tecnologica, ma resta difficile immaginare un’occupazione anche solo temporanea della Crimea con forze limitate, sotto il fuoco dell’artiglieria e dell’aviazione russa.

Una leadership ucraina in cerca di copione

Il paradosso si fa evidente: da una parte, il presidente ucraino flirta con la possibilità di una via negoziale, come dimostrato dai contatti vaticani e dalla retorica più cauta degli ultimi mesi; dall’altra, sul piano militare, emergono operazioni che sembrano fatte apposta per far saltare ogni ponte con Mosca.

È lecito allora chiedersi: chi decide davvero la strategia in Ucraina? Esiste un’unica regia, o convivono più anime, alcune delle quali strettamente legate agli interessi e ai piani dell’Occidente più interventista?

Di certo, se l’ipotesi di uno sbarco – anche simbolico – in Crimea dovesse concretizzarsi, si assisterebbe a un passaggio delicato e pericoloso. Non per l’entità dei danni militari, ma per l’impatto simbolico e politico. La Crimea, ricordiamolo, è stata proclamata “intoccabile” da Mosca e rappresenta una linea rossa invalicabile. Qualunque attacco diretto può scatenare reazioni incontrollabili.

Il problema della credibilità

A fronte di queste ambiguità, il governo ucraino si mostra sempre più delegittimato agli occhi di molti osservatori indipendenti. Il gioco delle dichiarazioni ambivalenti – pace a parole, guerra nei fatti – mina la credibilità internazionale di Kiev. Ma la responsabilità non è solo sua. I media occidentali che rilanciano acriticamente ogni dichiarazione ufficiale e le cancellerie che continuano a sostenere economicamente e militarmente Kiev senza alcun vincolo politico, contribuiscono a questa deriva.

In conclusione, l’ipotesi di uno sbarco ucraino in Crimea, al di là della sua fattibilità concreta, è sintomatica di un conflitto che ha perso la bussola della coerenza e si regge ormai su una combinazione di disperazione strategica e guerra dell’informazione. E come sempre, a pagare il prezzo più alto sono le popolazioni locali, prigioniere di un confronto in cui la verità è spesso solo un’arma tra le tante.

vedi anche: Perché Londra vuole la Crimea: il ritorno imperiale attraverso il Mar Nero