L’Onu si preoccupa per Idlib ma nessuno del popolo siriano da 8 anni in guerra

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Non occorre certo essere essere “embed” in apparati militari per essere allineati alla retorica di guerra: nel corso del conflitto siriano, i principali media laici – ed anche cattolici –  hanno abbracciato la narrativa occidentale secondo la quale “Assad è massacratore del suo popolo”: il mezzo è molto potente, a volte basta una nota apparentemente ‘asettica’ e ‘neutrale’ di un giornale per generare confusione e produrre una falsa percezione dei fatti.

Ecco un esempio di come leggerezza, approssimazione e superficialità equivalgono all’adesione alla guerra.

Questo è uno stralcio di un breve articolo del’Osservatore Romano :

(…) Il governo siriano e quello russo affermano di voler combattere i terroristi annidati a Idlib. Tra le decine di migliaia di miliziani presenti nella regione ci sono alcune migliaia di esponenti qaidisti locali. Intanto l’inviato dell’Onu in Siria, Geir Pedersen, ha affermato ieri di fronte al Consiglio di sicurezza dell’organizzazione, che le operazioni di “antiterrorismo” di Damasco, sostenute dal suo alleato russo, non possono giustificare la messa in pericolo di tre milioni di civili nella regione di Idlib.

Secondo quanto riferisce l’agenzia Afp, su iniziativa del Belgio, del Kuwait e della Germania, lo stesso Consiglio di sicurezza dovrebbe votare prossimamente una risoluzione per imporre la cessazione immediata delle ostilità nella Siria nordoccidentale e la protezione delle installazioni civili, comprese quelle mediche. Il testo dovrebbe richiedere anche l’accesso umanitario senza restrizioni in tutta la Siria.(…)

L’Osservatore Romano

Focalizzate questa parola:  ‘preoccupazione’…

La nota è del 30 agosto 2019, il titolo è ‘‘Cresce la preoccupazione per i civili in Siria”: naturalmente ‘preoccupazione’ è la parola chiave; è la parola più pericolosa per la pace oggi.

Nella politica internazionale parole come ‘preoccupazione’ o ‘crisi umanitaria’ costituiscono le  parola d’ordine ‘bipartisan’ (per laici e religiosi) tramite le quali si possono giustificare efferatezze ed ingiustizie. Alla fine ciò che risulta è che quando questa ‘benedetta’ ‘preoccupazione‘ prende il sopravvento, gli effetti che ne scaturiscono sono peggiori rispetto a quelli che si sarebbero prodotti conservando  la necessaria freddezza e lucidità.

In una parola, le conseguenze dei disastri per cui si giustificava l’intervento esterno, molto spesso risultano più grandi di quelle che si volevano evitare.

La domanda è semplice: come si può sollevare ‘preoccupazione’ solo ora – ovvero quando l’esercito siriano riguadagna terreno – visto che la situazione ad Idlib, da anni, è permanente? Lo sanno anche le pietre che la stragrande maggioranza dei gruppi armati in Idlib (e non solo ”alcune migliaia di esponenti qaidisti locali”), appartengono ad una coalizione di bande capeggiate da al Qaeda in Siria (Tharir al Sham) che mira alla realizzazione di un Califfato islamico! Per contro, l’esagerazione delle cifre dei civili insediati (che precedentemente sono state smentite puntualmente in occasione di Ghouta e Aleppo), mal nascondono l’intento di voler suscitare maggiore preoccupazione’‘!

In simili circostanze, la schiettezza di siffatta preoccupazione corrisponde all’occupazione  (da parte dei terroristi islamici caucasici)  il 3 settembre 2004 nella scuola Numero 1 di Beslan, nell’Ossezia del Nord , quando una intera scolaresca fu presa in ostaggio dai jihadisti. Cosa avremmo detto se allora la comunità internazionale avesse ipotizzato di imporre la cessazione immediata” di ogni tentativo di intervento per risolvere quell’emergenza?

In realtà la ‘preoccupazione‘ rediviva oggi dimostra solo una cosa: la comunità internazionale ha l’enorme torto di non aver mai preso sul serio la domanda  su come far uscire da questa situazione la popolazione di Idlib ed ha tirato a campare. Salvo poi svegliarsi quando ”l’esercito lealista” ha rimesso in piedi un tentativo di successo.

Si potrà obiettare che l’esercito siriano non agisce in modo ritenuto ‘congruo’ . Io credo l’esercito siriano da otto anni in guerra per far fronte ad una aggressione – soprattutto esterna – sta facendo il possibile per riconciliare i cittadini e garantire la sicurezza dei civili. Solo quando ogni tentativo di mediazione e di accordo naufraga,  solo allora porta avanti le operazioni militari in una situazione di legittimità con gli standard internazionali.

A questo punto si potrebbe obiettare che in fondo l’Osservatore Romano riporta semplicemente le parole dell’inviato Onu in Siria, Geir Pedersen…

In realtà, questa osservazione è molto debole:  l’azione che svolge l’Onu in relazione al conflitto siriano, rispecchia fedelmente quella dei paesi occidentali che hanno continuamente  fatto leva sulla situazione umanitaria per introdurre sempre nuovi elementi di destabilizzazione. 

Questo significa che si tratta di un giochino al massacro che va smascherato: anche le sanzioni sono state giustificate per la  ‘preoccupazione’ per il popolo siriano. Provvedimenti restrittivi sono stati acuiti ogni nuovo pezzo di territorio veniva liberato dall’esercito siriano. Ong straniere sono state legittimate mentre producevano false flag chimiche; report dei terroristi vengono presi come buoni senza alcuna verifica indipendente.
Completano l’opera la chiusura delle ambasciate, l’interruzione dei rapporti diplomatici, la fornitura ai jihadisti di fondi, armi e munizioni, il sequestro delle petroliere inviate dall’Iran per sopperire alle principali necessità della collettività…

Questo bisogna almeno dirlo caro Osservatore Romano e tutti. Sempre.

patrizio ricci @vietatoparlare.it

 

Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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