Lo Yemen ha bisogno di speranza non di bombe

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Per inquadrare le vicende che stanno avvenendo in Yemen propongo di leggere questo interessante articolo de ‘il caffè Geopolitico” dal titolo “crisi in Yemen”:


Lo Yemen continua a far parlare di sé per i risvolti internazionali della sua complessa situazione interna. Da questo partiamo per comprendere gli eventi in corso

Tra i Paesi che hanno fortemente vissuto l’ondata delle Primavere arabe del 2011, e che a seguito del loro verificarsi hanno avviato – seppur faticosamente – un processo di transizione politica, lo Yemen continua a far parlare di sé per i risvolti internazionali della sua complessa situazione interna. Ed è da questa, e dalle caratteristiche/criticità del Paese, che bisogna partire per la comprensione degli eventi correnti.

Situato nella parte sud-occidentale della Penisola Araba, lo Yemen si trova in una posizione strategicamente rilevante grazie all’affaccio sullo stretto di Bab el-Mandeb. Questo rappresenta, infatti, un importantissimo crocevia commerciale che, attraverso il passaggio dal Golfo di Aden prima e dal Mar Rosso poi, consente alle imbarcazioni che partono dall’Oceano Indiano di raggiungere lo stretto di Suez.

La situazione economica

Alla posizione favorevole nella Penisola araba, però, non corrisponde una florida situazione interna. Come per gli altri Paesi dell’area, lo Yemen ha per lungo tempo contato sulle rendite petrolifere come principale fonte di reddito. Ma le riserve stanno via via esaurendosi, e addirittura potrebbero estinguersi del tutto nel giro di un decennio: tegola per uno degli Stati meno ricchi dell’area, che per contro vede un costante incremento della propria popolazione e il perpetuarsi di problematiche idriche e alimentari.

Nonostante i tentavi iniziati a partire dal 2011 per migliorare l’accesso a risorse e fonti energetiche, la scarsità di bacini idrici derivata dal clima desertico fa sì che quasi la metà della popolazione non riesca a rifornirsi di acqua, potabile e non, e rende particolarmente complesso lo sviluppo del settore agricolo. La vita dello Yemen, dunque, è vincolata all’importazione di derrate alimentari e agli aiuti internazionali, che dopo aver costituito per lungo tempo una parte rilevante delle entrate rischiano di subire una brusca frenata a causa dell’instabilità politica, poiché talvolta legati collegati a clausole di condizionalità.

La siruazione politica

La debolezza economica si intreccia con quella del tessuto sociale, che vede una frammentazione della popolazione lungo tre direttrici:

  1. la profonda divisione tra popolazioni del nord e del sud, che vantano origini differenti e non si sono amalgamate dopo l’unificazione territoriale del 1990;
  2. la presenza di diverse tribù in contrasto tra loro, intrecciata a doppio filo con le divisioni religiose, che vedono la compresenza di una maggioranza sunnita e di una minoranza sciita, prevalentemente zaidita;
  3. il fatto che lo Yemen, storicamente Paese di militanti islamici, “ospiti” sul suo territorio parte del gruppo di Al-Qaeda della Penisola Araba (AQAP), e che la frangia yemenita è considerata la più pericolosa tra quelle affiliate ad Al-Qaeda.

Chiude il cerchio l’attuale conflitto civile, il quale vede contrapporsi gli Houthi (che nel 2004 avevano iniziato le proprie rivendicazioni contro il tentativo di affermare il culto salafita in luogo del tradizionale zaidita) e i lealisti al Presidente Hadi. D

opo mesi di proteste finalizzate alla cacciata del Governo, e il rifiuto della bozza di nuova Costituzione – che prevedeva tra l’altro la divisione federale del Paese in sei regioni distinte – lo scorso gennaio il Presidente ad interim Hadi e i membri del Governo si sono dimessi dopo essere stati assediati per giorni dagli Houthi, che hanno provveduto a sostituirli con un Governo temporaneo da essi guidato.

Posto agli arresti domiciliari, ma riuscito a fuggire, Hadi si è spostato nella città di Aden il 21 febbraio scorso, nel tentativo di ripristinare il proprio Governo, considerato come legittimo dalla comunità internazionale. Anche grazie al supporto delle armi iraniane (sebbene manchi la sicurezza del coinvolgimento diretto del Paese nell’attuale conflitto), gli Houthi hanno guadagnato sempre più terreno nella parte meridionale del Paese.

Preoccupati dalla loro avanzata – e anche dal potenziale ruolo che l’Iran avrebbe potuto giocare in essa –, alcuni Paesi hanno avviato, lo scorso 25 marzo, una campagna di bombardamenti nell’area di Aden. Il leader della coalizione internazionale anti-Houthi è l’Arabia Saudita, coadiuvata militarmente da Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Kuwait, Sudan e Qatar. Supporto non militare proviene da Belgio, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Turchia, e più recentemente dal Marocco.

Ben posizionato strategicamente ma bisognoso di supporto economico e politicamente frammentato, lo Yemen si pone dunque come Paese “ottimale” per accogliere un’influenza esterna ordinatrice, ruolo tuttavia conteso (o spartito) tra molteplici attori internazionali:

  • l’Arabia Saudita che, complice la condivisione della corrente religiosa e la presenza di numerosi lavoratori yemeniti sul proprio territorio, cerca di influenzare anche politicamente l’andamento del Paese;
  • l’Iran, che vorrebbe sfruttare la posizione geografica dello Yemen e la minoranza sciita (circa il 35% della popolazione), per creare un proprio “avamposto anti-saudita”;
  • i Paesi della NATO, Stati Uniti in testa, che considerano lo Yemen come il baluardo della lotta contro AQAP.

E saranno proprio le influenze esterne di Arabia Saudita, Iran, Sudan, Consiglio di Cooperazione del Golfo, Stati Uniti, Europa e Paesi NATO ad essere al centro di questo approfondimento.

fonte: il caffè geopolitico licenza  Creative Commons BY-NC-ND 3.0

 

vedi anche al Jazeera: “ Analysis: Yemen needs hope not bombs”

BBC: i ribelli intensificano la pressione su Aden

 

Situazione attuale:

“A sei giorni dall’inizio di attacchi aerei sullo Yemen, la Coalizione guidata dall’Arabia Saudita non è riuscita nel suo obiettivo di fermare l’avanzata delle milizie Houthi. Anzi. Del 29 Marzo è la notizia della caduta del porto di Shaqra a 100 km da Aden mentre il giorno successivo erano segnalati scontri all’interno della città.

Secondo l’ambasciatore Saudita negli Stati Uniti, Adel al-Jubair, Riyadh “non ha avuto scelta”nell’intervento e“e le loro azioni sono state dettate dal desiderio di preservare il legittimo governo yemenita e impedire la presa di potere del radicale movimento degli Houthi.”

Allo stesso tempo, però la prospettiva di un attacco via terra sembra essere stata sospesa. Probabilmente questa decisione è stata presa ricordando la non esemplare prova data dall’esercito Saudita contro gli Houthi nel 2009”.

(Veronica Murzio)

Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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