LIBIA, 19 marzo 2011 – Dalla prosperità al caos: il giorno in cui la NATO ha smantellato la Libia

Non so se oggi in Parlamento qualcuno abbia avuto il coraggio di ricordare la responsabilità dell’attacco criminale alla Libia del 2011. Di certo, ciò che è stato pubblicizzato è l’ennesimo spettacolo grottesco di una sinistra che grida istericamente al fascismo contro la Premier Giorgia Meloni, mentre allo stesso tempo sostiene con zelo il riarmo europeo e la prosecuzione della guerra in Ucraina, conflitto che ha già provocato centinaia di migliaia di morti.

 

In questo triste anniversario, il Parlamento italiano preferisce inscenare litigi e accuse retoriche piuttosto che affrontare le proprie responsabilità storiche. Tra petrolio, propaganda mediatica e presunti interessi democratici, la Libia è stata devastata e condannata a un caos permanente.

È un copione già tristemente noto, che oggi vediamo ripetersi con la crisi ucraina. Ma poco importa, perché ciò che conta davvero, a quanto pare, è continuare a gridare forte “pace” mentre si alimenta la guerra.

La cattiva coscienza dell’intera classe politica italiana emerge chiaramente nella mancanza assoluta di una pubblica ammenda per quei tragici eventi, che brevemente ricordo qui di seguito:

Il 19 marzo 2011 Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Canada diedero inizio a una brutale operazione militare contro la Libia, ufficialmente con il pretesto di diffondere la democrazia e proteggere i civili. Tuttavia, come documentato chiaramente da fonti indipendenti autorevoli come Michel Chossudovsky (Global Research) e Thierry Meyssan (Réseau Voltaire), l’operazione era principalmente dettata da precisi interessi geopolitici ed economici legati al controllo delle risorse petrolifere e finanziarie libiche.

 

Motivazioni economiche mascherate da ragioni umanitarie

WikiLeaks ha evidenziato che già prima dell’intervento militare diretto, la Libia era stata bersaglio di una pianificata destabilizzazione occidentale, attraverso sostegno occulto a gruppi ribelli e fazioni ostili al regime di Muammar Gheddafi. La testimonianza dell’ex generale americano Wesley Clark ha confermato che la destabilizzazione della Libia faceva parte di un piano già delineato nel 2001, mirato a ridisegnare strategicamente il Medio Oriente e il Nord Africa.

Il ruolo della disinformazione e dell’intelligence lacunosa

La narrazione occidentale sulla presunta “minaccia imminente” di massacro a Bengasi fu deliberatamente amplificata, similmente a quanto avvenuto successivamente in Siria, senza prove concrete. Il rapporto della House of Commons britannica (“Crispin Blunt Report”, 2016) ha successivamente rivelato che l’intelligence disponibile era scarsa e spesso influenzata da dissidenti libici in esilio con interessi personali. Questi elementi confermano che la decisione di intervenire fu essenzialmente politica, supportata da sofisticate campagne di PR volte a manipolare l’opinione pubblica.

L’intervento NATO, ufficialmente basato sulla dottrina della “responsabilità di proteggere” (R2P) sancita dalla Risoluzione ONU 1973, nascondeva chiaramente interessi occidentali legati al controllo petrolifero libico. Gheddafi aveva infatti iniziato ad assegnare contratti a compagnie cinesi e russe, limitando l’influenza delle major occidentali. In particolare, la Francia di Sarkozy vide nella caduta di Gheddafi un’opportunità per riaffermare la propria influenza economica e geopolitica in Nord Africa.

Il sabotaggio dei negoziati africani

Un aspetto spesso ignorato dai media mainstream è che l’Unione Africana aveva proposto già a marzo-aprile 2011 un piano di pace, accettato da Gheddafi, prevedendo un cessate il fuoco immediato e colloqui diplomatici. Tuttavia, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e NATO respinsero deliberatamente questa proposta, mostrando chiaramente l’intenzione di perseguire un regime change ad ogni costo, indipendentemente dalle conseguenze regionali catastrofiche.

 

In quel contesto, Monsignor Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, fu una voce critica nei confronti dell’intervento NATO. Nel 2011, denunciò più volte i bombardamenti dell’Alleanza, definendoli “immorali” e accusandoli di colpire indiscriminatamente civili, come emerge da interviste dell’epoca, ad esempio a Peacereporter (14 maggio 2011), dove parlò di “bombe che cadono senza tregua” su case e ospedali, distruggendo la vita sociale del paese. Fece anche appelli pubblici, invitando i politici occidentali a “venire a vedere” le conseguenze delle loro azioni. Altre sue dichiarazioni, riportate da fonti come AsiaNews e Famiglia Cristiana, evidenziano il suo tentativo di fa r cessare l’opera di distruzione occidentale e promuovere la pace.

Operazioni militari e impatto sui civili

Le operazioni militari “Odyssey Dawn” e “Unified Protector” videro il massiccio impiego di mezzi militari da parte di diciotto nazioni NATO, con bombardamenti indiscriminati contro scuole, ospedali e abitazioni civili. Secondo dati confermati da Amnesty International e dal rapporto della commissione indipendente guidata dall’ex magistrato italiano Franco Ionta, almeno 50.000 civili persero la vita negli attacchi NATO.

Particolarmente grave fu l’esecuzione sommaria di Gheddafi nell’ottobre 2011, avvenuta senza regolare processo e in circostanze mai chiarite, come denunciato da Human Rights Watch e dallo storico Daniele Ganser, che sottolinea l’assenza di una reale indagine internazionale.

Demolizione sistematica del welfare libico

Il lascito peggiore dell’intervento occidentale è stata la sistematica distruzione delle strutture socio-economiche costruite sotto Gheddafi. Come documentato dal giornalista e documentarista Fulvio Grimaldi, la Libia aveva un welfare avanzato con sanità e istruzione gratuite, prestiti senza interessi per case e automobili, salari dignitosi e sussidi di disoccupazione.

Simbolo principale di tale prosperità era il Grande Fiume Artificiale, una monumentale opera di ingegneria autofinanziata che forniva miliardi di litri di acqua potabile ogni giorno. Giornalisti indipendenti come Manlio Dinucci e Pepe Escobar denunciano che la NATO attaccò deliberatamente questa infrastruttura per eliminare l’indipendenza economica del paese, costringendolo alla dipendenza permanente da aiuti esterni e multinazionali.

 

Caos permanente, neocolonialismo e ipocrisia politica

Oggi la Libia è frammentata e devastata, dominata da milizie armate, gruppi jihadisti e trafficanti di esseri umani, diventando un punto strategico nel traffico migratorio incontrollato verso l’Europa. Analisti indipendenti come Paul Craig Roberts denunciano apertamente che questo caos non è casuale, ma è la diretta conseguenza di un intervento militare falsamente umanitario e realmente finalizzato a obiettivi neocoloniali.

Questa devastazione mette chiaramente in luce l’assurda ipocrisia dei governi occidentali, e soprattutto delle forze politiche di sinistra italiane che, come avviene costantemente oggi, riescono contemporaneamente a parlare di pace mentre premono per il riarmo europeo, e riescono a sventolare una retorica antifascista mentre sostengono il bellicismo dei Democratici USA e l’Europa tecnocratica e autocratica delle élites rappresentate dalla Von der Leyen. Una doppiezza morale che conferma una strategia deliberata di destabilizzazione permanente.

 

 

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