Libano: Captagon, il nervo della guerra siriana

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di René Naba – 20 agosto 2017 Crisi di Arabia Saudita, Israele, Libano, Siria.

[su_panel shadow=”2px 1px 2px #eeeeee”]Propongo il seguente articolo sul Captagon, usato molto nella guerra di Siria. Tuttavia a mio parere, il suo uso non esaurisce l’eterna lotta quotidiana tra la tendenza dell’uomo per per il peccato e la sua vocazione per la bellezza e l’infinito, quindi la sua libertà e la possibilità di una scelta in ogni situazione. Anzi l’esistenza del male come negazione di ciò a cui ognuno di noi è chiamato, aumenta la responsabilità di ogni azione e la libertà di scelte rispettose del mistero  vita. Di conseguenza non si può imputare a nessun tipo di droga la responsabilità a cui un uomo liberamente si sottrae.

Vietato Parlare[/su_panel]

DA RENÉ NABA | 20 agosto 2017 – Traduzione G.P.

[su_heading style=”modern-2-blue” size=”18″]I – DEL FINANZIAMENTO DELLE GUERRE CON LA DROGA[/su_heading]

Ogni guerra ha la sua droga: l’oppio in Vietnam e in Afghanistan nel decennio 1970-1980, il crack commercializzato dall’FBI in seno alla comunità nera di Los Angeles, per finanziare i “contras” in America Latina, specialmente contro il regime Sandinista del Nicaragua, negli anni ’80, e Captagon, infine, per le guerre di predazione economica del mondo arabo nel XXI° secolo.

Fin dalla prima antichità, la via della seta e dell’incenso ha convogliato il suo profumo di oppio, caro allo stilista francese Yves Saint Laurent e ai grandi signori della guerra, se non l’hanno apprezzato alla maniera di André Malraux o del generale Raoul Salan, non confidano in questa pozione come la sorgente delle loro fantasie ma ne fanno la fonte di finanziamento per le loro armi da guerra.

Il consumo di sostanze psicotrope in Oriente è un fatto di civiltà. Dalle strade di Katmandou alle fumerie di Hong Kong e di Macao, il suo uso si è diffuso sulle sponde del Mediterraneo e nella zona del Sahél Sahariano sia come fenomeno di moda che per interessi di lucro, sia per lo sviluppo coniugato nella società dello svago come quello della società della scarsità, con l’emarginazione sociale che ne è derivata a causa dell’instaurazione di una disoccupazione strutturale.

Fenomeno di convivialità o di dipendenza, si consuma abbondantemente sulle rive del Nilo ai suoni delle melodie di Oum Kalsoun, di nascosto della temibile polizia religiosa saudita “Al Moutawa’a” nella penombra di Ryad e di Jeddah a compenso di troppo forti frustrazioni, e naturalmente, in Israele, nella disperazione che condurra gli amatori dell’euforizzante White Lady a costruirsi paradisi artificiali a “GOA Karma Kosher”:

http://www.courrierinternational.com/article/2010/06/22/karma-casher

La tossicodipendenza in Israele precede la nascita di Hezbollah e l’insediamento di Tel Aviv  (dall’originale arabo “Tall Ar Rabih, collina di primavera” ), detiene un record regionale nel consumo di farmaci psicotropi senza che la formazione scita ne abbia qualche colpa. Una delle ragioni del ritiro precipitoso dell’esercito israeliano da Beirut nel 1982 è stata la pesante corruzione dei soldati israeliani legata al traffico di narcotici che avveniva sulle linee del fuoco dei Fedayin, in una replica della legge del debole al forte .

La droga è stata ampiamente usata per finanziare attività illecite, anche da parte delle autorità statunitensi, nonostante la presenza di una formidabile  «US Food and Drug Administration»,  sia sul piano interno che nei teatri di operazioni militari all’estero, sia per neutralizzare l’ascesa della comunità afro-americana, che per finanziare la guerra del Vietnam.

Argomento tabù se i 28 giornalisti americani che si sono avventurati a trattare la questione, inclusa la demenziale commercializzazione del Krack da parete della CIA, all’interno della comunità afroamericana di Los Angeles, per ostacolare l’elezione di un sindaco nero in questa grande metropoli della California, sono stati condannati alle “miniere di sale”.

La Jihad ha assunto surrettizzamente una dimensione planetaria in linea con la dimensione di un’economia globalizzata, sostituendo le petromonarchie a capo dei mercati della droga, nel finanziamento della controrivoluzione mondiale. Nel decennio 1990-2000, come nel decennio 2010 per contrastare la primavera araba.

Se la guerra del Vietnam (1955-1975), la controrivoluzione in America Latina, in particolare la repressione anti Castro e la guerra contro i sovietici in Afghanistan (1980-1989), sono state finanziate in gran parte dal traffico di stupefacenti, l’irruzione dei jihadisti sulla scena politica algerina firmerà la prima concretizzazione del finanziamento delle grandi proteste popolari nei paesi arabi (le cosiddette primavere) da parte delle petromonarchie del Golfo.

[su_heading style=”modern-2-blue” size=”18″]II-LIBANO,  CENTRO NEVRALGICO PER LA FABBRICAZIONE DEL CAPTAGON[/su_heading]

Come danno collaterale della guerra siriana, questo conflitto ha reso il Libano un fulcro per la produzione di Captagon e uno dei punti principali di transito di questa droga verso i paesi del Golfo, a causa del crescente interesse delle petromonarchie per questa sostanza considerata rivitalizzante.

Al di là di queste facoltà energizzanti, il Captagon ha un potere dissolvente di tutti gli antagonismi regionali ed etno-religiosi della zona. Sciiti e Sunniti collaborano tra loro, con i siriani e i libanesi come produttori e le petromonarchie come consumatori. Un’unità araba stupefacente attorno agli stupefacenti.

Una sostanza ambita che il consumatore paga un prezzo elevato a compressa (da 5 a 20 dollari) contro un irrisorio prezzo di produzione (pochi centesimi).

Scoperta nel 1963, questa droga è compresa dall’UNODUC nel gruppo degli stimolanti di tipo amfetaminico (ATS), con una composizione chimica basata sulla Fenetillina, il captagon è l’energizzante preferito dei jihadisti amici degli Americani e dei Sauditi che ne fanno un ottimo uso per la conquista del loro paradiso terrestre.

A motivo della guerra siriana, il Libano è diventato rapidamente il principale produttore ed esportatore di questa sostanza. Laboratori clandestini collocati nella pianura della Beka’a nella regione del confine siriano-libanese, mentre Beirut, attraverso il suo porto e l’aeroporto, è stata promossa a strada principale di accesso per l’esportazione del Capagon verso i paesi del Golfo: il più grande mercato di consumatori per questo prodotto.

Con diversi nomi: Al Bahhar (navigatore), Aboul Hilalyane (il padre della parentesi), Lekrys (nome derivato da un famoso marchio automobilistico), in vari colori (Rosa, Giallo, Bianco) il Captagon è senza dubbio il prodotto più famoso per i consumatori e i trafficanti dell’epoca contemporanea con i “signori della guerra” della Siria e dei loro sponsor petro-monarchici.

80 milioni di compresse sono state sequestrate nel 2014-2015. Tuttavia questa cifra impressionante è infinitamente minore rispetto alla quantità di quella sfuggita alla vigilanza doganale e alla squadra anti narcotici. Sebbene molti trafficanti siano caduti nelle maglie della giustizia, la fonte non è affatto prosciugata.

[su_heading style=”modern-2-blue” size=”18″]III – UN’INDUSTRIA CHE TRANSCENDE LE APPARTENENZE POLITICHE.[/su_heading]

A- Un trafficante, fratello di un deputato pro Hezbollah.

All’inizio del 2012, al lancio delle principali offensive jihadiste in Siria, che culminarono con la battaglia di Bab Amro a febbraio, diversi laboratori che producevano Captagon nella Beka’a, che operavano all’interno del perimetro dei centri religiosi nelle vicinanze delle moschee sono stati neutralizzati. La maggior parte di loro erano di proprietà del deputato pro Hezbollah Hussein Al Moussawi.

La parentela del trafficante con questo deputato è stata un’occasione per i suoi avversari politici di avviare una campagna contro il partito sciita. Per dissipare ogni ambiguità, Hezbollah si dissociò da questo traffico, aprendo la strada per i procedimenti legali.

B- Arabia Saudita sotto i riflettori nel 2015

La campagna anti Hezbollah sarà di breve durata. Nel 2015, è stato il turno dell’Arabia Saudita, con il coinvolgimento del figlio dell’ex governatore di Medina, secondo luogo più sacro dell’Islam, nel traffico di droga.

Il principe Abdel Mohsen Ben Walid Ben Abdel Aziz è stato intercettato con i suoi 4 complici presso l’aeroporto di Beirut, il 27 ottobre 2015, quando si apprestava ad imbarcarsi su un aereo reale saudita con 2 tonnellate di Captagon e un’enorme quantità di cocaina contenuta in 40 valigie diplomatiche. Un anno prima, 15 milioni di compresse di Captagon erano state sequestrate nel porto di Beirut nell’aprile 2014.

Per il lettore arabo, il seguito su questo link:  http://www.raialyoum.com/?p=335225

C- “Prigione dorata” per il principe del Captagon

Il principe del Captagon, il personaggio più importante, è stato alloggiato letteralmente in una “prigione d’oro” nell’edificio che ospita gli uffici della lotta contro i narcotici a Beirut nel luogo chiamato “Makhfar Hbeich”. Una camera spaziosa è stata dotata di aria condizionata, dotata di televisione e di un computer portatile per comunicazioni esterne, con una guardia scelta tra gli effettivi facente funzione di segretario d’ufficio, un abbonamento a “Consegna gratuita” per la sue due razioni alimentari giornaliere oltre ad un secondo abbonamento giornaliero a un servizio di lavanderia (ottime lavasecco e non lavanderie da carcere) per la pulizia dei suoi vestiti.

Un trattamento regale per un ladro reale in conformità al principio della parità dei cittadini davanti alla legge.

http://www.al-akhbar.com/node/261685

D – Una transazione sospetta

Premonitore, l’ambasciatore saudita a Beirut aveva predetto l’esito della vicenda: “Il principe è innocente, andiamo a castigare il suo entourage”.

Il Reame wahhabita riuscì a convincere il portaborse del principe a assumersi la piena responsabilità di questo traffico.

Sulla scia della visita del generale Michel Aoun a Riyadh, la prima del presidente libanese all’estero dopo la sua elezione alla magistratura suprema, nel gennaio 2017, un emissario saudita si è incontrato a Beirut con un alto funzionario del Ministero della Giustizia prima di incontrarsi con il trafficante.

Gli è stato proposto il seguente accordo: o l’accompagnatore si assume la piena responsabilità del reato e la pena massima di cinque anni di carcere per questo tipo di traffico, in cambio di una grande somma di denaro, con la garanzia di un salvacondotto sicuro in Arabia Saudita, che lo esenta dalla minima causa dopo il suo ritorno nel paese natale; oppure, la prospettiva di una doppia punizione: detenzione in Libano e poi in Arabia Saudita, con una vita successiva di disoccupazione e senza risorse.

Il principe è stato condannato a una pena leggera per l’uso di droga, che praticamente ha già scontato dopo la sua detenzione un anno fa in Libano.

Durante la sua detenzione, il complice Yehya Al Chammari è stato arrestato negli affollati uffici del Comitato per il Controllo dei Narcotici e il Principe, Abdel Mohsen Al Saoud aveva una stanza indipendente, più spaziosa dell’ufficio del direttore della narcotici.

Una soluzione ideale, non fosse che manca di credibilità, esonera i potenti dalle loro turpitudini e infanga l’umile delle turpitudini dei loro padroni. Un esempio locale della famosa teoria dei “fusibili” alla francese  (capro espiatorio ndt).

Ma come si può allora spiegare la presenza di un carico di 24 casse e di otto valigie, timbrate con il nome del principe e imbarcate su un aereo della flotta reale saudita? Senza dubbio “senza la piena conoscenza dell’emiro”.

[su_heading style=”modern-2-blue” size=”18″]IV -LA SAUDI CONNECTION: LA CORTE SAUDITA TRA NARCOTRAFFICO E TOSSOCODIPENDENZA[/su_heading]

La famiglia reale saudita, graziosa figlia delle potenze occidentali e rigido prescrittore di un dogma rigoroso dell’Islam, non trova posto nella cronaca per il suo traffico, in cui partecipa attivamente. I festini di droga frequenti in Francia in rapporto con la famiglia reale saudita hanno dato luogo ad un lavoro di un ex funzionario di polizia che ha fatto riferimento apertamente alla «Saudi Connection».

Nel 2010, 111 kg di cocaina, valutati in 25 milioni di euro, sono stati sequestrati in un appartamento a Neuilly Sur Seine appartenente a una principessa saudita. Una vicenda oscura all’origine della comparsa in tribunale del commissario di Lione Michel Neyret, nel maggio del 2016.

In precedenza, nel 1999, l’enorme traffico di cocaina tra la Colombia e l’Europa tramite il Principe Nayef al-Shalan era stata smantellata. Il principe, che non è in linea diretta per la successione al trono Saudita, è sospettato di aver messo a disposizione il suo aereo privato per trasportare due tonnellate di cocaina colombiana destinata al mercato europeo. Il caso era iniziato il 6 giugno 1999 con la scoperta di più di 800 kg di cocaina in un padiglione a Noisy-le-Sec (Seine-Saint-Denis).

Durante l’inchiesta, i poliziotti francesi e poi americani hanno scoperto che il traffico aveva ramificazioni fino in Arabia Saudita. La droga, valutata in 30 milioni di dollari, è stata inviata in Francia nel maggio 1999 a bordo dell’aereo privato del principe, che era atterrato a Le Bourget vicino a Parigi. Doveva essere distribuito in Spagna e in Italia.

Di più:  Moujtahed, il twitter più temuto dai reali Sauditi, sostiene che la droga raggiunge grandi settori della popolazione saudita.

In un messaggio pubblicato in occasione dello smantellamento della rete “Il Turco”, egli ha assicurato che le devastazioni della droga hanno raggiunto le cerchie del potere, di cui alcuni membri sono sottoposti a regolari cure di disintossicazione, menzionando anche un pilastro della dinastia wahhabita, destinatario di una onorificenza in Europa.

[su_heading style=”modern-2-blue” size=”18″]V – LE RITORSIONI SAUDITE[/su_heading]

Uno degli attacchi più spettacolari in questo affare, l’intercettazione del principe saudita, è stata una fonte di preoccupazione per il Libano.

Furibondi che le turpitudini dei reali sauditi siano state smascherata alla luce del giorno, in un Paese da loro a lungo controllato, attraverso il clan Hariri,  i Sauditi han deciso di castigare il Libano il 19 febbraio 2016. Alla vigilia della ripresa dei colloqui di Ginevra III sulla Siria, il Regno ha sospeso il finanziamento di tre miliardi di dollari all’esercito libanese e il resto del finanziamento di un miliardo destinato alle forze di sicurezza libanesi.

Ufficialmente “per protestare contro le posizioni ostili di Hezbollah libanese verso di loro”. Nei fatti, pesando sul corso dei negoziati esercitando una forte pressione sull’amministrazione USA perché tenga maggiormente conto delle esigenze saudite.

Umiliati dai successivi rovesci nelle incursioni in Siria e Yemen, sulla difensiva in seguito delle rivelazioni sul suo coinvolgimento negli attacchi dell’11 settembre 2001 e dal voto del Congresso americano che autorizza la procedura giudiziaria per risarcire le vittime americane, la dinastia Wahhabita  ha incolpato Hezbollah del suo conflitto con l’Iran, che ritiene responsabile di tutte le sue disgrazie militari.

Seguendo l’esempio delle altre petromonarchie, han provveduto a espellere i lavoratori migranti libanesi di confessione sciita e sospeso i voli da e per Beirut. Tutte le suppliche e l’umiliante prostrazione della classe politica libanese davanti al monarca saudita e ai suoi complici fidati in Libano si sono rivelate inutili.

Molti osservatori a Beirut sono propensi a credere che solo il rilascio del “Principe del Captagon” saudita potrebbe portare ad un miglioramento nelle relazioni tra i due Paesi.

[su_heading style=”modern-2-blue” size=”18″]VI – LE DOGANE, IN TANDEM CON LE RETI MAFIOSE, SOTTO LA PROTEZIONE DI PERSONALITÀ POLITICHE.[/su_heading]

Dogane, porti, ospedali e traffico di rifiuti tossici, transito di armi chimiche, contrabbando, mercato nero dei medicinali e cibo adulterato, il traffico di droga. Tutto passa e i Libanesi muoiono nell’indifferenza generale dei loro avidi capi.

Secondo il ministro delle finanze libanese Ali Hassan Khalil, la corruzione delle dogane libanesi costa allo Stato  oltre 1,2 miliardi di dollari all’anno. Diversi gruppi con il sostegno dei politici, operano così in totale impunità, sia al porto di Beirut che all’aeroporto di Beirut-Khaldé, in collusione con le reti mafiose, facilitando l’ingresso in Libano di merci provenienti dall’India o dalla Cina attraverso Dubai.

Diciassette funzionari doganali sono già stati portati dinanzi ai tribunali. Le reti mafiose si ristabiliscono a tal punto che l’amministrazione doganale ha ordinato una riorganizzazione di questo dipartimento, costituita da 36 auditori, 34 ufficiali e 845 funzionari.

http://libnanews.com/liban-la-corruption-des-douanes-un-cout-de-12-milliards-selon-ali-hassan-khalil/

[su_heading style=”modern-2-blue” size=”18″]VII – IL LIBANO, DA DISCARICA TOSSICA A LABORATORIO PER LA FABBRICAZIONE DEL CAPTAGON.[/su_heading]

Se la guerra del Libano (1975-1990) è servita come pretesto per trasformare il Libano in una discarica tossica di tipo Seveso, la guerra siriana, vent’anni dopo (2011-2017), ha trasformato il Libano in un vasto laboratorio per la produzione del captagon .

Nel culmine della guerra civile libanese, una transazione dell’ordine di 80 milioni di dollari fu conclusa tra i presunti belligeranti – le milizie cristiane libanesi e il disertore baathista Abdel Halim Khaddam – al momento proconsole siriano In Libano. Una transazione succosa che tuttavia ha contaminato l’ambiente  libanese, in particolare la catena del Monte Libano, provocando una proliferazione cancerosa in seno alla popolazione.

L’ecologia non è certamente la principale preoccupazione dello strato parassitario che costituisce il potere libanese in quanto questo traffico lucrativo ha continuato anche nel dopoguerra, di nascosto, nel più grande segreto, indipendentemente dai danni inflitti alla natura e all’ambiente.

Per il lettore arabo, il resto della storia si può leggere a questo link: Il transito delle armi chimiche:

http://www.al-akhbar.com/node/206320

Vent’anni dopo, la guerra siriana (2011-2017) ha trasformato il Libano in un vasto laboratorio per la produzione di Captagon.

fonte Arret sur Info – Traduzione G.P.

NOTE:

(1) realizzata nel 2011 dalla NATO in un laboratorio in Bulgaria, il Captagon è attualmente prodotta nell’ intero Medio Oriente, compreso il territorio siriano.  “Captagón®, arma di base dei jihadisti

(2) Questo farmaco, ampiamente usato nel Medio Oriente, anche se praticamente sconosciuto altrove, permette ai combattenti per resistere e combattere per giorni senza riposo. Inoltre, il commercio di Catagon permette anche di generare i soldi per comprare le armi … . ‘Captagon’ è il marchio di fabbrica della fenetilina cloridrato. E ‘stata usata la prima volta negli ‘ anni ’60 per trattare l’iperattività, la narcolessia e la depressione, ma è stata vietata in molti paesi negli anni ’80 per essere troppo coinvolgente. Il Captagon è un anfetamina che provoca euforia e insensibilità al dolore, perdita il sonno, depressione dell’appetito, fornisce energia. Miscelata con altri farmaci come l’hashish, è la base jihadista che della razione di cibo. I ‘militanti non si sentono il loro dolore o quello inflitto agli altri. Essi possono commettere ogni sorta di atrocità con il sorriso sul suo volto.

(3)  INTERPOL riferisce che dal 1990 si sono diffusi laboratori clandestini in Bulgaria e l’ex Jugoslavia  in Turchia, Siria e Giordania. L’INCB, che sta per International Narcotics Control Board, un’agenzia collegata alle Nazioni Unite, riferisce che la Turchia ha un ruolo chiave chiave nel traffico di stupefacenti da lì, e gli altri paesi menzionati, producono tonnellate Captagon che vanno in preferenza in Arabia Saudita.

 

Patrizio Ricci
Patrizio Riccihttps://www.vietatoparlare.it
Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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