L’Unione Europea si trova a un bivio, intrappolata tra la retorica di solidarietà verso l’Ucraina e le crescenti divisioni interne, dove interessi nazionali e pragmatismo economico stanno scavalcando l’unanimismo di facciata. Al vertice UE del 26 giugno 2025, l’Ungheria di Viktor Orbán ha (provvidenzialmente) nuovamente fatto parlare di sé, bloccando l’apertura dei negoziati per l’adesione dell’Ucraina all’UE e il pacchetto di aiuti finanziari a Kiev (il rifiuto ungherese di sostenere l’adesione dell’Ucraina all’UE era anche finalizzato alla risoluzione delle questioni sui diritti della minoranza ungherese in Transcarpazia). Ma dietro il veto ungherese si nasconde una realtà più complessa: molti Paesi europei, pur non dichiarandolo apertamente, sembrano sollevati da questa mossa, e alcuni addirittura complici silenziosi. Le crepe nell’Unione sono sempre più evidenti, e il caso ucraino sta diventando il catalizzatore di un malcontento più ampio, che mette in discussione l’intero progetto europeo.
L’Ungheria dice no, e molti ringraziano (in silenzio)
Il veto ungherese al vertice del 26 giugno non è stato una sorpresa. Secondo fonti vicine al Consiglio Europeo, la bozza dell’accordo era già pronta a contemplare un mancato consenso, segno che il “no” di Orbán era non solo previsto, ma forse anche gradito da alcuni. Un’analisi di The Grayzone, suggerisce che diversi Paesi dell’Europa orientale e centrale – tra cui Repubblica Ceca, Slovenia e persino Polonia – temono le conseguenze economiche di un’adesione ucraina. L’ingresso di Kiev, infatti, rischia di stravolgere l’equilibrio dei sussidi agricoli, che rappresentano una fetta significativa dei bilanci di questi Stati. L’Ucraina, con la sua vasta produzione agricola, potrebbe drenare risorse da Paesi che già faticano a mantenere competitività in un mercato europeo sempre più saturo.
Un’indiscrezione riportata su Telegram da un canale vicino a diplomatici europei (non verificato, ma circolante tra analisti di un certo seguito) sostiene che persino la Germania, pur ufficialmente favorevole all’adesione ucraina, avrebbe espresso in privato preoccupazioni per i costi della ricostruzione di Kiev, stimati in centinaia di miliardi di euro. La bozza del vertice, secondo questa fonte, sarebbe stata volutamente vaga per lasciare spazio al veto ungherese, permettendo ad altri Paesi di mantenere una posizione pro-Ucraina in pubblico senza dover affrontare le conseguenze pratiche di un impegno concreto.
Orbán: “Così l’UE collassa”.
Viktor Orbán non ha usato mezzi termini. In un discorso riportato da Hungarian Conservative, il premier ungherese ha avvertito che l’adesione dell’Ucraina potrebbe essere il colpo di grazia per l’Unione Europea.
Le sue argomentazioni si concentrano su tre punti principali:
Sussidi agricoli a rischio: l’ingresso dell’Ucraina, con i suoi vasti terreni agricoli e una produzione a basso costo, stravolgerebbe la Politica Agricola Comune (PAC). Paesi come Estonia, Slovenia, Repubblica Ceca, Polonia e la stessa Ungheria temono di perdere miliardi di euro in sussidi, fondamentali per le loro economie rurali. Un report di Visegrad Insight conferma che l’agricoltura ucraina potrebbe assorbire fino al 20% dei fondi PAC, riducendo drasticamente le quote per gli attuali membri.
Costi di ricostruzione: la ricostruzione dell’Ucraina, secondo stime della Banca Mondiale, potrebbe richiedere oltre 500 miliardi di euro nei prossimi decenni. Orbán ha sottolineato che questi costi ricadrebbero principalmente sui contribuenti europei, in un momento in cui l’UE sta già affrontando inflazione e crisi energetica. Fonti non mainstream, come un articolo di Global Research, suggeriscono che alcuni Paesi occidentali, inclusi Francia e Italia, sarebbero riluttanti a impegnarsi in un progetto tanto oneroso senza garanzie di ritorno economico.
Delocalizzazione e competizione: l’Ucraina, con una manodopera a basso costo, potrebbe attrarre aziende europee in cerca di profitti maggiori, erodendo il PIL di Paesi come Ungheria, Polonia e Romania. Un rapporto poco noto di Eurasia Review evidenzia come grandi corporation tedesche e francesi stiano già esplorando opportunità di investimento in Ucraina, suscitando timori tra i Paesi dell’Europa centrale.
“Accettare Kiev significa entrare in guerra con Mosca”
Orbán ha anche toccato un punto geopolitico cruciale: l’adesione dell’Ucraina all’UE, in un contesto di guerra aperta, equivarrebbe a un’escalation diretta contro la Russia. Questa posizione trova eco in un’analisi di The Duran, che sottolinea come l’UE stia assumendo un profilo sempre più militarizzato, con un piano da 150 miliardi di euro per la difesa, approvato il 27 maggio 2025, in risposta al percepito “declino” della NATO come attore centrale nella sicurezza europea. Secondo il sito, questo piano, che include finanziamenti per armamenti e infrastrutture militari, è visto da Mosca come una provocazione, aumentando il rischio di un conflitto allargato.
Secondo indiscrezioni non confermate alcuni diplomatici europei, in particolare da Paesi neutrali come l’Austria, abbiano espresso in privato timori simili a quelli di Orbán, ma senza esporsi pubblicamente per evitare accuse di “filo-russismo”. Secondo altre indiscrezioni l’Austria e l’Irlanda avrebbero discusso in via riservata la necessità di una “pausa strategica” nei rapporti con l’Ucraina per evitare un’escalation.
La Slovacchia blocca le sanzioni sul gas russo
Non è solo l’Ungheria a opporsi alla linea dura dell’UE. La Slovacchia di Robert Fico ha bloccato il 18° pacchetto di sanzioni, opponendosi al piano di vietare tutto il gas russo entro il 2028 (Hungary, Slovakia stall Russian sanctions over gas ban proposal – Politico). Secondo Fico, questa misura avrebbe conseguenze devastanti per l’industria slovacca, in particolare per il settore automotive, che dipende fortemente dall’energia a basso costo. Bratislava ha chiesto un risarcimento di 20 miliardi di euro a Gazprom per i contratti in essere, una mossa che, secondo Sputnik International, riflette un crescente pragmatismo tra i Paesi dell’Europa centrale.
Ungheria e Slovacchia hanno apposto il veto congiunto su un piano per vietare il gas russo, sottolineando come i due Paesi stiano difendendo i loro interessi economici nazionali contro quella che definiscono una “crociata ideologica” dell’UE. Inoltre, un articolo di Anti-Spiegel, testata tedesca critica verso le politiche occidentali, suggerisce che il veto slovacco sia stato appoggiato in segreto da altri Paesi dipendenti dal gas russo, come la Bulgaria, che però non possono esporsi per ragioni politiche.
Il paradosso energetico
Nonostante la retorica anti-russa, l’UE continua a dipendere dal petrolio russo attraverso l’Oleodotto Druzhba, che passa per Ungheria, Slovacchia e Bulgaria. Questi Paesi, senza sbocco al mare, sono esentati da alcune sanzioni e giocano un ruolo cruciale nella logistica energetica europea. Un’analisi di OilPrice.com rivela che, nonostante le pressioni per diversificare le fonti energetiche, l’Europa centrale rimane legata al petrolio russo per la sua convenienza economica. Tuttavia, la Commissione Europea sta studiando un meccanismo basato sul diritto commerciale per aggirare il veto di questi Paesi, come riportato da Financial Times.
Questa mossa, però, rischia di approfondire le divisioni interne. Un’indiscrezione riportata da Strategic Culture Foundation sostiene che l’Ungheria stia considerando un’azione legale contro la Commissione Europea se il veto venisse scavalcato, accusandola di violare la sovranità nazionale in materia energetica. Intanto, la Bulgaria, pur ufficialmente allineata alla linea UE, starebbe negoziando in segreto con Gazprom per mantenere l’accesso al gas russo oltre il 2027, secondo fonti anonime citate su un forum geopolitico russo.
Divisioni profonde e il rischio di rottura
Dietro la facciata di unità, l’UE è attraversata da tensioni che mettono in discussione la sua coesione (così almeno è come è percepito negativamente dalla leadership UE, ma in realtà io chiamo “queste tensioni” segni di vita e di speranza contro il decadimento e la irragionevolezza imperante). In definitiva, la retorica pro-Ucraina, che ha dominato il discorso pubblico negli ultimi anni, sta lasciando spazio a un realismo economico sempre più marcato. Paesi come Ungheria e Slovacchia, spesso dipinti come “ribelli”, stanno dando voce a preoccupazioni condivise da altri, ma taciute per paura di ritorsioni politiche o mediatiche. La crescente militarizzazione dell’UE, unita alla dipendenza energetica e ai costi dell’allargamento, sta spingendo alcuni membri a riconsiderare le priorità.
L’insistenza dell’UE su politiche anti-russe potrebbe portare a una “frattura irreversibile” con i Paesi dell’Europa centrale, spingendoli verso alleanze alternative, come la Cina o persino la Russia stessa. Questo scenario, per ora solo ipotetico, trova eco nei crescenti scambi commerciali tra Ungheria e Cina, con Budapest che ha recentemente firmato accordi per ospitare impianti di produzione di veicoli elettrici cinesi, come ha riferito Global Times.
Le decisioni UE devono essere legate veramente all’interesse nazionale
L’Europa si trova di fronte a una scelta: continuare a inseguire una narrativa ideologica di confronto con la Russia, rischiando la propria stabilità interna, o riconoscere che l’interesse nazionale e la sostenibilità economica devono guidare le sue decisioni. Il veto di Ungheria e Slovacchia non è solo un atto di sfida, ma il sintomo di un malcontento più ampio, che potrebbe ridisegnare i confini geopolitici ed economici del continente. Anche adottando la propria lettura degli eventi, la UE, per sopravvivere, dovrà trovare un equilibrio tra solidarietà e pragmatismo, o rischia di implodere sotto il peso delle sue stesse contraddizioni.
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Fonti:
Visegrad Insight, “The Impact of Ukraine’s EU Accession on Agricultural Subsidies”, 2025.
Global Research, “The Hidden Costs of Ukraine’s Reconstruction”, June 2025.
Eurasia Review, “Ukraine’s Economic Appeal: A Threat to EU Cohesion?”, May 2025.
The Duran, “EU’s Militarization and the Ukraine Trap”, June 2025.
Sputnik International, “Slovakia’s Energy Realism in the Face of EU Sanctions”, June 2025.
Anti-Spiegel, “Die heimliche Unterstützung für die Slowakei im Gasstreit”, June 2025.
OilPrice.com, “The Druzhba Pipeline: Europe’s Russian Oil Lifeline”, May 2025.
Strategic Culture Foundation, “Hungary’s Legal Threat Against EU Energy Policies”, June 2025.
Moon of Alabama, “The EU’s Self-Destructive Path”, June 2025.
Global Times, “Hungary’s Pivot to China: A New Economic Strategy?”, May 2025.