L’Europa come vittima del proprio strategismo (… altro che riunioni informali!)

L’Unione Europea ha convocato il 3 febbraio un incontro “informale” a Bruxelles, presso il Palais d’Egmont, con la partecipazione dei 27 leader dell’UE, affiancati dal Primo Ministro britannico Keir Starmer e dal nuovo Segretario generale della NATO, Mark Rutte. Sebbene presentato ufficialmente come un “ritiro informale” dedicato alla “difesa e sicurezza europea”, la sostanza della riunione racconta una storia ben diversa.

Come da prassi, il linguaggio ufficiale dell’UE si ammanta di retorica pacifista, mentre nei fatti si spingono decisioni che avvicinano sempre più l’Europa a una partecipazione diretta al conflitto. Nell’invito ufficiale si legge:

“La pace in Europa dipende dal raggiungimento di una pace globale, giusta e duratura in Ucraina. Questo incontro serve a preparare il terreno per le decisioni future e fornire indicazioni alla Commissione e all’Alto rappresentante nella stesura di un Libro Bianco sul futuro della difesa europea. Tale documento delineerà le iniziative congiunte necessarie e le risorse per realizzarle. […] Sono richiesti investimenti sostanziali aggiuntivi nella difesa per ricostituire le scorte, migliorare la prontezza militare e affrontare un ampio spettro di minacce, concentrandosi sulle priorità strategiche e sulle carenze critiche in termini di capacità, rafforzando la base tecnologica e industriale della difesa europea.”

Al di là delle formule di rito, il messaggio è chiaro: l’UE è ormai pienamente integrata nella strategia NATO e procede spedita verso un riarmo massiccio, con la concreta possibilità di un coinvolgimento diretto nella guerra. È bene ricordare ai vertici europei che un confronto militare aperto con la Russia potrebbe garantir loro la “pace eterna”… due metri sottoterra.

Comunque ciò che emerge ancora è  il modus operandi che non si discosta dalle sue decisioni: l’UE si muove con riunioni “informali” che preludono a decisioni già prese, pronte a essere attuate. La direzione sembra segnata: più investimenti militari, più allineamento con la NATO e un’Europa sempre più coinvolta in scenari di guerra.

L’incontro non si è limitato ai temi della sicurezza. Oltre alla presenza del Segretario generale della NATO e del Primo Ministro britannico, il vertice ha affrontato questioni di geopolitica economica, con particolare attenzione alle recenti decisioni del presidente statunitense Donald Trump. Le nuove tariffe commerciali su Canada, Messico e Cina rischiano di avere ripercussioni significative sulle relazioni transatlantiche e sulle strategie economiche europee.

Il vertice si è dunque articolato in due fasi: un’analisi della nuova configurazione geopolitica determinata dalle politiche statunitensi e, successivamente, discussioni sul finanziamento delle capacità militari europee. Nonostante la dichiarata informalità dell’incontro, la storia insegna che queste riunioni rappresentano spesso il preludio a decisioni già pianificate, pronte a essere ufficializzate al momento opportuno.

L’UE e il culto dell’unità obbligata

Le riunioni informali sono ormai diventate il tratto distintivo della governance europea. Castelli, residenze di lusso e chalet di montagna fanno da sfondo a questi incontri, dove i leader europei ostentano una coesione che appare più imposta che reale. Questo clima di uniformità forzata assomiglia più a una dinamica di tipo mafioso che a un autentico dibattito politico: chi esce dal coro rischia isolamento e ritorsioni.

Il paradosso del riarmo per la pace

Mentre si proclamano intenti di pace e stabilità, l’UE continua ad aumentare le spese militari e a fornire armi, alimentando un’escalation anziché cercare una de-escalation. Il principio della deterrenza ha storicamente funzionato quando entrambe le parti riconoscevano i limiti dell’escalation, ma nel caso della Russia – che ha una dottrina nucleare che prevede l’uso dell’atomica in caso di minaccia esistenziale – questa strategia si rivela estremamente rischiosa. Il rischio concreto non è quello di prevenire il conflitto, ma di renderlo inevitabile.

L’assenza di dialogo: un vicolo cieco

L’UE e la NATO hanno adottato un approccio monolitico: sostegno militare illimitato all’Ucraina senza alcun serio tentativo diplomatico. Questa strategia si fonda sulla convinzione che solo una vittoria militare possa portare alla pace, ma ignora due fattori essenziali:

  1. L’impossibilità di una vittoria totale – La Russia non è una potenza convenzionale qualsiasi, ma una superpotenza nucleare con risorse immense. Pensare di poterla sconfiggere senza conseguenze catastrofiche è pura illusione.
  2. L’accelerazione della radicalizzazione – Più il conflitto si protrae, più si consolidano fratture irreversibili tra Russia e UE, rendendo ogni futura trattativa sempre più difficile e costosa.

L’Europa come vittima del proprio strategismo

Anziché assumere il ruolo di mediatore, l’UE si è trasformata in una pedina di una strategia di confronto che non coincide necessariamente con i suoi interessi. Se l’obiettivo fosse davvero la sicurezza e la pace, la via maestra sarebbe quella di promuovere un tavolo negoziale, anche in assenza del pieno consenso degli Stati Uniti.

Il riarmo non garantisce sicurezza quando l’avversario è una potenza nucleare che considera certe condizioni come minacce esistenziali. Continuare su questa strada significa solo aumentare il rischio di una guerra su larga scala. Un’Europa che si piega ciecamente agli interessi atlantici e abbandona ogni pretesa di autonomia strategica non può che avviarsi verso un destino di irrilevanza politica e, nel peggiore dei casi, di devastazione.

L’Italia ora tra due fuochi

In questo scenario emerge il ruolo dell’Italia e della premier Giorgia Meloni. Da una parte, viene spesso sottolineato il suo presunto rapporto privilegiato con Elon Musk e, di conseguenza, con l’amministrazione Trump. Dall’altra, è evidente la sua totale adesione alle richieste di Bruxelles e della Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen, la cui agenda è strettamente legata agli interessi del cosiddetto “deep state” che Trump sta cercando di contrastare.

Il permanere di posizionamento ambiguo pone Meloni in una situazione estremamente delicata. Cercare di tenere “un piede in due staffe” potrebbe rivelarsi insostenibile nel lungo periodo, con il rischio concreto di finire isolata sia dall’Europa che dagli Stati Uniti. Un equilibrio precario che potrebbe presto trasformarsi in un vicolo cieco politico.